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Vito Dell’Aquila a Fanpage: “L’oro a Tokyo era un sogno, il taekwondo non è una disciplina violenta”

Vito Dell’Aquila ha vinto la seconda medaglia d’oro alle Olimpiadi di tutti i tempi nel taekwondo per l’Italia: a Fanpage.it il classe 2000 ha raccontato i momenti vissuti a Tokyo e il suo percorso nelle arti marziali.
A cura di Vito Lamorte
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C’è un comune di 26mila abitanti nella provincia di Brindisi, in Puglia, che è la capitale italiana del taekwondo. Mesagne è la città natale di Vito Dell’Aquila, che a Tokyo ha vinto la seconda medaglia d’oro di tutti i tempi per l’Italia nella nota arte marziale di origine coreana: prima di lui c’era riuscito Carlo Molfetta, anche lui originario della cittadina pugliese. Portare avanti le tradizioni è importante, se lo si fa vincendo è ancora meglio: “Capitale italiana del taekwondo? I risultati sono stati eccellenti, non solo per le nostre medaglie olimpiche”.

Dopo aver conquistato il suo primo podio internazionale ai mondiali di Muju 2017, Dell’Aquila si è portato a casa il bronzo agli europei di Kazan del 2018 ma il meglio doveva ancora arrivare: ai Giochi olimpici di Tokyo 2020 ha battuto in finale il tunisino Mohamed Khalil Jendoubi e ha conquistato la medaglia d'oro nel torneo della categoria fino a 58 kg. Una gioia incredibile, che si percepiva anche a migliaia di km. Vito ci ha sempre creduto e aveva avvertito tutti con parole chiare e cariche di emozione dopo la vittoria della semifinale al suo coach Claudio Nolano: ‘Non piangere, non abbiamo finito’. E il meglio è arrivato.

A Fanpage.it Vito Dell’Aquila ha voluto condividere i momenti che ha vissuto a Tokyo e il suo percorso nel taekwondo, partendo dagli inizi e arrivando fino allo stato attuale del movimento.

Qual è la prima istantanea che le viene in mente sulle Olimpiadi?
"È sicuramente quando ho ricevuto la medaglia d’oro tra le mie mani e ho realizzato che avevo raggiunto il mio grande sogno che avevo fin da bambino".

Il suo è il secondo oro olimpico di tutti i tempi nel taekwondo dell’Italia: quando ha realizzato davvero quello che aveva fatto? 
"Anche se era difficile pensarlo per le persone che mi guardavano ho realizzato subito quello che avevo fatto perché era un sogno a cui credevo tantissimo e per il quale mi ero allenato duramente. Era come se lo sentissi già mio e dovevo solo andarlo a prendere".

Dell’Aquila, Palmisano, Stano e Samele: la Puglia è terra di campioni olimpici?
“Sì, la Puglia è una fucina di talenti in qualsiasi sport e sono felice di aver condiviso questa medaglia d’oro con altri due atleti e con Samele che ha vinto due argenti. Sono felice per la mia terra e non poteva andare meglio per noi".

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"Tutti pensano che il taekwondo sia una disciplina violenta, in realtà è l’esatto opposto": come presenterebbe il suo sport a chi non lo ha mai visto e vuole iniziare a praticarlo?
“A detta di molti il taekwondo è uno sport violento ma si sbagliano fortemente perché è uno sport di combattimento ma è soprattutto un’arte marziale in cui c’è il rispetto, la disciplina, il rispetto delle regole, di se stessi e degli altri; e quindi non può essere considerato violento uno sport che insegna tanto. Noi che pratichiamo questa disciplina ne siamo la prova vivente, perché siamo dei ragazzi semplici, umili, che fanno dei sacrifici per raggiungere i loro obiettivi. Il taekwondo è tutto fuorché violento, anzi è l’esatto opposto“.

Da dove nasce la sua passione per il taekwondo?
“Me l’ha trasmessa mio padre. Ho iniziato a praticarlo all’età di 8 anni perché ero timido e perché a mio papà sono sempre piaciute le arti marziali ed è un fan sfegatato di Bruce Lee”.

Dallo "zero” di Rio 2016 all’oro di Tokyo: come sta il taekwondo in Italia in questo momento?
“Il taekwondo in Italia si sta evolvendo sempre di più. A livello olimpico siamo passati dallo zero di Rio al successo di Tokyo ma ci sono stati tantissimi altri risultati. Il movimento è in salute però questo è solo il punto di inizio verso qualcosa di più grande, si spera, nei prossimi anni“.

Quanto è stato importante il Maestro Roberto Baglivo nel suo percorso formativo?
"Importantissimo perché sin da piccolo mi ha insegnato qualcosa che non è semplice da trasmettere, ossia l’atteggiamento verso lo sport in modo serio e professionale. Mi ha formato soprattutto dal punto di vista caratteriale, quindi le radici non si scordano mai. Anzi, sono quelle che ti permettono di dare il meglio quando sei in gara".

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Tu, Carlo Molfetta: si può dire che Mesagne è la capitale italiana del taekwondo?
"Assolutamente sì. I risultati sono stati eccellenti, non solo per le nostre medaglie olimpiche ma per tutti i riconoscimenti che abbiamo ottenuto, che sono veramente tanti".

Perché in nazionale ti chiamano ‘Cavaliere nero'?
"Perché quando ero piccolo ero molto serio e tranquillo, ma quando combattevo vincevo la maggior parte delle volte e fanno riferimento alla barzelletta di Gigi Proietti ".

‘Ho intenzione di iscrivermi a Scienze della Comunicazione e diventare un giornalista': sei ancora convinto di voler fare questo percorso?
“Sì, mi sono appena iscritto a Digital Communication alla Link Campus e sto studiando. Tra poco darò il mio primo esame e sono convinto che sicuramente una strada difficile, perché devo conciliare scuola e sport, però è la mia passione oltre al taekwondo e cercherò di fare il meglio per riuscirci”.

Dopo la semifinale ti sei girato verso il tuo coach (Claudio Nolano) e hai detto ‘Non piangere, non abbiamo finito’: il tuo pensiero era già alla medaglia d’oro?
"L’ho fatto per due ragioni: sia per smorzare un po’ l’emozione del momento, perché volevo rimanere concentrato; e soprattutto perché non era finita e volevo raggiungere la medaglia d’oro che desideravo tanto. Andavo lì per vincere quanto più possibile. L’argento sarebbe stato ottimo ma perché fermarsi quando puoi puntare a qualcosa di più grande e più nelle tue corde?".

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