Veronica Yoko Plebani alle Paralimpiadi col triathlon: “La gara è solo un’ora di una vita”
Veronica Yoko Plebani, 28enne bresciana, parteciperà alle Paralimpiadi Parigi 2024 nella disciplina del triathlon, mettendosi alla prova in frazioni di nuoto, ciclismo e corsa. L'atleta e già campionessa a Tokyo 2020 si racconta a Fanpage.it: "Quando a 15 anni sono stata colpita da meningite fulminante la mia vita è totalmente cambiata in meno di 24 ore, lo sport mi ha fatto capire che avevo ancora tante possibilità".
Quando e come hai iniziato ad avvicinarti allo sport?
"Sono sempre stata una bambina iperattiva. Ho sempre fatto mille sport, provato tutto quello che c'era, dal rugby all'atletica, la pallavolo, danza. Ho sempre saputo che il movimento era il mio modo di espressione. Poi ovviamente è un po' cambiato il mio rapporto con lo sport nel momento in cui mi sono ammalata".
C'è un momento in cui ti sei resa conto che volevi dedicare la tua vita allo sport?
"Il momento in cui ho capito veramente che volevo fare solo questo è stato quando sono uscita dall'ospedale e mi sono ritrovata in canoa da sola, sul fiume, in un ambiente super particolare, a fare una cosa così importante. Lì ho detto ‘Ok, voglio stare qui'".
Quindi per te lo sport è stato ed è molto più che una passione.
"Sì, ho capito quante possibilità ancora potevo avere attraverso lo sport, attraverso il movimento, il mio corpo".
E così in poco tempo sei arrivata alle Paralimpiadi. Come affronterai la sfida di Parigi?
"Io ho fatto tre Paralimpiadi. La prima è stata quella invernale nello snowboard, a Sochi 2014, poi a Rio 2016 ho fatto canoa, a Tokyo 2020-21 ho fatto triathlon e lì ho preso il bronzo. Ora torno per la prima volta con la stessa disciplina. Il sogno è quello di fare lo stesso di Tokyo, se non meglio ovviamente".
Gareggerai nel triathlon. Come mai questa scelta?
"La gara di triathlon è una gara complicatissima ed è il suo bello, il bello di avere momenti di transizione dove ci si ricarica si riparte. Sicuramente la frazione che in questo momento mi preoccupa un po' di più, su cui sto lavorando tanto è la bici, perché so che posso fare la differenza e so che anche le mie avversarie possono fare la differenza, quindi spero di riuscire ad avere una buona prestazione, perché poi sono sicura della mia corsa. Voglio scendere dalla bici in una posizione vantaggiosa per poter ottenere quello che voglio correndo".
Che emozione ti dà partecipare alle Paralimpiadi?
"Entrare nel villaggio paralimpico è come entrare nel parco giochi della vita. È un'emozione incredibile. Ci sono persone da tutto il mondo che hanno esperienze di vita assurde, che sono lì per dimostrare qualcosa di infinito che va ben oltre lo sport. È molto più umano e personale".
Cosa ti porterai delle precedenti esperienze paralimpiche per dare il meglio a Parigi?
"È la mia quarta paralimpiade ed ero convinta di arrivarci più pronta all’emozione, invece anche stavolta sono in fibrillazione. Questa volta poi sarà totalmente diverso, perché negli ultimi tre anni, ho avuto un percorso fatto di tanti alti e bassi, a differenza di come sono arrivata a Tokyo, dove è stato molto più lineare. Ci arrivo quindi sapendo che ho lavorato veramente tantissimo per arrivarci e non vedo l'ora di dimostrarlo".
Qual è invece l'aspetto più duro dell'avventura paralimpica?
"La cosa più difficile affrontare alle Paralimpiadi è sapere che non sei lì solo tu, cioè quello che stai facendo, è il rappresentare il tuo Stato, l'Italia, tante persone che hanno lavorato per te, non deludere. È molto facile farsi prendere dalla pressione, dall'ansia del momento e per me questa cosa si sblocca molto quando sono felice, quando mi rendo conto di che occasione ho e del fatto che la sto condividendo con tutto il mondo. La gara alla fine è solo un giorno della vita, è solo un’ora della vita, a volte anche meno e quindi è importante raccogliere tutto quello che si può di un'esperienza così unica e irripetibile".
Chi porterai con te a Parigi?
"Sicuramente sarà fondamentale la presenza costante del mio allenatore, Antonio Serratore, che voglio sempre vicino anche prima delle competizioni. A Tokyo non avevamo il pubblico da casa che poteva arrivare sul campo gara, cosa importantissima per me, perché vedere il tifo, vedere le persone che conosco mi motiva un sacco e per assurdo nel 2021 anche solo scorgere la telecamera che passava con la moto mi faceva immaginare la mia famiglia, i miei amici a casa che mi facevano il tifo e mi motivava tantissimo. A Parigi sarà stranissimo poter di nuovo portare con me famiglia e amici, penso molto al fatto che condividerò questa gara con loro e sarà super emozionante".
Hai citato il momento della malattia come punto di svolta anche nel vivere lo sport. Perché?
"Lo sport è stato una soluzione molto importante per me, perché avevo un problema con il corpo e sono riuscita a trovare una soluzione attraverso il corpo. Ho avuto una meningite fulminante, quindi succede tutto nel giro di 24 ore, va presa tempestivamente e io ho avuto la fortuna di riconoscere la gravità del mio malessere e di trovare medici che hanno capito subito cosa avevo. Da quel momento in poi si entra in una fase di gestione della malattia che fortunatamente sono riuscita ad affrontare abbastanza bene, con tutte le difficoltà del caso, con tutti gli alti e bassi di una malattia così importante. Quando sono uscita è stata la parte più difficile, più dei quattro mesi di ospedale, perché devi fare i conti con la vita di prima, con il fatto di essere una persona con disabilità".
Che cosa significa esserlo?
"Dire disabilità è parlare di un mondo intero. Ci sono tantissimi tipi di disabilità, tantissimi ambienti in cui viverla. Sicuramente è una difficoltà e lo è sempre. È bellissimo raccontare storie positive rispetto alla disabilità, però è anche importante parlare di quante difficoltà ancora ci sono, perché nella vita di tutti i giorni anche gli atleti paralimpici che fanno cose eccezionali e incredibili e vengono dipinti come “eroici”, alla fine si trovano tutti i giorni ad affrontare ostacoli del quotidiano importanti. È qualcosa su cui bisogna lavorare ogni giorno e per tutta la vita, perché avere una disabilità non passa a un certo punto.
Oggi cosa diresti alla Veronica quindicenne che si è vista stravolgere la vita nel giro di 24 ore?
"Le direi brava, anche se lei in quel momento non si accorge di esserlo".