Valentina Petrillo racconta le sue paure di bambino: “Mio zio cacciò di casa una cugina transgender”
Le Paralimpiadi di Parigi si sono concluse senza medaglie – e neanche finali, né nei 200 metri né nei 400 metri – per Valentina Petrillo, la 51enne atleta italiana che è stata la prima transgender nella storia a prendere parte ai Giochi Paralimpici. Ma la partenopea non si abbatte, guarda già a Los Angeles 2028 e racconta la sua gioia di vivere il Villaggio degli atleti, mentre dall'esterno le arrivavano gli attacchi di chi contestava il suo diritto a competere tra le donne, fino ad arrivare a definirla "un uomo": "Era la vita perfetta. Era bellissima. Sono stata accolta da tutti. Fuori sappiamo che non sarà la stessa cosa". Già, Valentina lo ha capito bene nell'apprendere i feroci attacchi nei suoi confronti degli ultimi giorni. Nella sua chiacchierata a cuore aperto col Times, la Petrillo ripercorre i suoi turbamenti adolescenziali collegati alla propria sessualità e spiega perché ha tenuto nascosto la sua vera identità per decenni, sposandosi anche ed avendo un figlio: "Avevo una cugina più grande che era transgender e mio zio l'ha cacciata di casa. Avevo paura che succedesse anche a me, quindi ho tenuto tutto nascosto dentro".
Valentina Petrillo e la malattia di Stargardt, non c'è cura
Valentina ha gareggiato come uomo fino ai 45 anni, a Parigi era iscritta tra le donne nella categoria T12 per atleti ipovedenti. Quando aveva 14 anni, le è stata diagnosticata la malattia di Stargardt, una rara patologia ereditaria degli occhi che non ha cura e che ha lasciato delle aree scure permanenti al centro del suo spettro visivo. I medici dissero che la sua vista si sarebbe deteriorata completamente. "Sentivo i miei genitori piangere, era molto difficile", racconta ora. Ma la Petrillo ce l'ha messa tutta per prendersi dalla vita tutto quello che poteva, sebbene faccia fatica a distinguere le persone, riesca a malapena a leggere un testo poggiando una lente di ingrandimento su uno schermo e cerchi di sfruttare al massimo la visione periferica dei suoi occhi.
A 20 anni lasciò casa per trasferirsi a Bologna e studiare informatica all'Istituto dei Ciechi e da allora ha lavorato come programmatrice di computer. L'attività sportiva è finita in un cassetto fino ai 41 anni, quando Valentina è tornata a correre a livello agonistico: inclinando la testa, così da poter distinguere le linee della pista a pochi metri dai suoi piedi. Allora era ancora Fabrizio Petrillo e come tale nei successivi tre anni ha vinto 11 titoli nazionali nella categoria maschile T12.
La confessione alla moglie: "Mi ero detto che mi sarei portato il segreto nella tomba"
Poi non ce l'ha fatta più a fingere di essere altro da quello che sentiva di essere e nel 2017, poco dopo la morte della madre, Valentina ha detto alla sua ex moglie Elena, da cui ha avuto un figlio, Lorenzo ("è l'unico che può chiamarmi papà"), che non poteva più nascondere la sua vera identità sessuale e che in segreto aveva continuato a indossare abiti femminili. "Avevo sempre detto che era un segreto che avrei tenuto fino alla tomba. Significava distruggere tutto ciò che avevo creato. È stato molto doloroso – racconta adesso – Abbiamo visto insieme uno psicologo sessuale. Dopo quattro mesi, hanno detto che avevo disforia di genere (il disagio che una persona può provare a causa di una discrepanza tra il suo sesso biologico e la sua identità di genere, ndr). Essere omosessuali è stato rimosso come malattia dall'Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1990 e noi celebriamo questa giornata, ma essere transgender è considerato un disturbo mentale. Non è bello".
La transizione di genere: "Inizio devastante, ho preso 10 chili nel primo mese"
Valentina ha trovato in Elena – che lo ha seguito a Parigi assieme al figlio Lorenzo e all'altra figlia di lei Caterina – una solida spalla che l'ha sostenuta all'inizio della terapia ormonale nel gennaio del 2019, per intraprendere il percorso di transizione: "L'inizio è devastante. Ho preso 10 chili nel primo mese. Il mio metabolismo è cambiato completamente. Nel primo anno, il mio petto è cresciuto e, mentalmente, tutto era diverso. Ho iniziato ad avere una sensibilità molto maggiore. La più piccola cosa mi faceva venire voglia di piangere". Dopo sei mesi di terapia, la Petrillo aveva perso più di 10 secondi nei 400 metri e circa 2"5 nei 200 metri, le due specialità in cui ha raggiunto le semifinali a Parigi, ma per lei era un sacrificio necessario: "Meglio essere una donna lenta e felice che un uomo veloce e infelice".
I turbamenti e le paure del Fabrizio bambino: "Meglio essere un camorrista che una donna"
Valentina torna con la memoria ai giorni in cui da bambino sentiva che qualcosa non era come ‘doveva' essere: "Ho capito che qualcosa non andava il mio primo giorno di comunione quando sono entrata in chiesa e ho visto le altre ragazze indossare i loro abiti bianchi e volevo stare con loro. A nove anni ho provato per la prima volta i vestiti di mia mamma, mi mettevo lo smalto sulle unghie, ma avevo una cugina più grande che era transgender e mio zio l'ha cacciata di casa. Avevo paura che succedesse anche a me, quindi ho tenuto tutto nascosto dentro. A quei tempi a Napoli, dicevo sempre che era meglio essere un camorrista che una donna".
Gli attacchi feroci da atleta transgender, tanti momenti dolorosi per arrivare a Parigi
Se adesso Valentina deve incassare attacchi di una ferocia terribile, come quello dell'autrice di Harry Potter, J.K. Rowling ("è preoccupata solo del fatto che io usi il bagno femminile, ma non sa nulla di me", le risponde la Petrillo), anche la strada per arrivare a Parigi è stata piena di momenti dolorosi per l'atleta azzurra, che ha gareggiato per la prima volta come donna nel settembre del 2020, sia in competizioni paralimpiche che non. L'anno successivo, più di 30 concorrenti nella categoria master per donne di età pari o superiore a 35 anni hanno firmato una petizione chiedendo che Valentina fosse bandita. "La sua superiorità fisica è così evidente da rendere la competizione ingiusta", scrisse all'epoca un'altra atleta che è anche avvocato.
Poi nel 2022 alcune atlete si sono girate sul podio per protestare, quando sono state scattate delle foto. La Petrillo ha detto che in quel momento non se n'è accorta a causa della sua vista deficitaria, gliel'ha detto un'amica in seguito. Ed ancora, ad un evento master ad Ancona, a Valentina è stato detto che non le era permesso usare gli spogliatoi femminili, vicenda che l'ha ulteriormente segnata: "Alla fine della gara, ho detto alle ragazze: Vi rendete conto che non ci vedo nemmeno?".
"Tutti questi aspetti negativi erano nel mondo olimpico. Nel mondo paralimpico, non ho mai avuto problemi – spiega adesso che può confrontare i due universi – Dal 2015, quando il CIO ha aperto le Olimpiadi alle persone transgender, c'è stata solo una persona che ha gareggiato, Laurel Hubbard, (una sollevatrice di pesi neozalendese, ndr). E c'è stata solo una persona transgender che ha partecipato alle Paralimpiadi, io. Quindi tutta questa paura che le persone trans possano distruggere il mondo dello sport femminile in realtà non esiste. La gente diceva che molti uomini sarebbero andati a gareggiare come donne solo per poter vincere, ma questo non è successo affatto. È solo transfobia. Spero che questo possa essere l'inizio di una trasformazione per le persone transgender".