Valentina Petrillo a Fanpage: “Abominevole e ghettizzante creare una categoria per atlete trans”
Il mondo dello sport sta cominciando a cambiare il proprio approccio nei riguardi delle atlete transgender. Dal nuoto al ciclismo, passando per il rugby a 13, fino alle recenti possibili novità annunciate nell'atletica, diverse federazioni ne stanno limitando l'accesso con nuove regole che per Valentina Petrillo, prima trans a gareggiare con le donne, oltre che ad indossare la casacca azzurra, rappresentano un vero e proprio passo indietro rispetto a quelli in avanti fatti negli ultimi anni nel nome dell'integrazione sportiva. Questione solo di testosterone? Forse no.
“Secondo me è tutto qui, nella testa” risponde Valentina, che ai microfoni di Fanpage.it ha commentato le notizie delle ultime settimane, definendo “abominevole” l'idea proposta da qualcuno di creare una categoria aperta per gli atleti in percorso di transizione. “Sarebbe una cosa ghettizzante, discriminante – continua la campionessa paralimpica di origine napoletana, ma bolognese d'adozione da tanti anni -. Verrebbe meno il principio dello sport: i parametri fisici non possono essere una discriminante. Non si può fare una categoria per le persone di colore, ad esempio, perché hanno una predisposizione genetica di un certo tipo. Oppure si doveva fare una categoria a parte solo per Michael Phelps (ex nuotatore statunitense, recordman di medaglie d'oro olimpiche nella storia, ndr) perché era noto che avesse una capacità toracica fuori dal normale”.
Il principale argomento alla base delle restrizioni per l'accesso alle gare femminili di atlete e sportive transgender riguarda i vantaggi che queste avrebbero grazie alla loro produzione, chiaramente superiore rispetto alle donne, di testosterone. Dal 2015, cioè da quando il Comitato Internazionale Olimpico ha intrapreso il suo percorso di apertura verso le atlete trans, il limite fissato è di 5 o 10 nanomoli per litro. Un dato variabile in base alla singola federazione: il valore di testosterone per un uomo cisgender, tra i 20 e i 40 anni, è mediamente compreso tra 10 e 37 nanomoli per litro, mentre per una donna cis è inferiore a 2. Adesso, però, le regole potrebbero diventare più restrittive, tenendo anche conto dell'età anagrafica di inizio transizione.
“Non è comunque detto che un ex uomo sia avvantaggiato” ribatte Valentina Petrillo, che a settembre 2020, ai campionati assoluti di Jesolo, ha esordito in una gara femminile. È stata la prima in assoluto. Da lì è stato poi un susseguirsi di successi, ma anche di momenti complicati, come la mancata qualificazione ai giochi olimpici di Tokyo. “Non vinco sempre, purtroppo” sottolinea l'atleta paralimpica, ipodevedente da quando aveva 14 anni a causa di una malattia. La sua carriera sportiva, iniziata fin da giovanissima, vanta anche numerose medaglie vinte quando era ancora Fabrizio.
Il suo percorso di transizione (che a breve arriverà anche in sala grazie ad un film-documentario sulla sua vita, intitolato “5 nanomoli, il sogno olimpico di una donna trans”) è cominciato infatti dopo aver messo su famiglia e cercato di nascondere al mondo intero ciò che Valentina ha sempre saputo di essere. “Non mi sono inventata né sportiva e né trangender: seguo un protocollo medico – sottolinea –, sono controllata in maniera continua perché faccio una terapia ormonale e ho un certificato che attesta la disforia di genere. Quindi non è che un giorno Valentina Petrillo si sveglia e decide di fare la trans per vincere facile”.
“Non è detto che un ex uomo sia più forte – ribadisce –. Il vantaggio che ad esempio poteva avere Valentina viene eliminato facendo una cura ormonale”. Non solo. “Posso tranquillamente dire che ci sono donne biologiche più alte e più possenti di me. Il Cio dice che bisogna valutare caso per caso, questa è la strada da seguire. E dice anche che esiste sport e sport: in quelli di lotta, per esempio, esistono già dei parametri fisici, come il peso. In altri no, c'è solo il genere”.
Ma Petrillo ricorda anche un'altra questione: “Ci sono donne che hanno l'iperandrogenismo, quindi producono più ormoni, ma nessuno le controlla. A meno che non si arrivi a certi livelli, come Caster Semeya. Come dice il Cio, non possiamo più basarci sul genere maschile o femminile. E quando nel 2015 aprì alle persone trangender in molti parlarono di un'invasione di maschi per gareggiare con le donne: alla fine quanti casi ci sono stati? Uno? Due? Io questa invasione non l'ho vista”.
"Siamo abituati a pensare che gli un uomo debba fare certe cose, certi sport, vestire in un certo modo, ma sono solo cose nella nostra testa – conclude –. Se dovessero escludermi da domani dalle competizioni femminili? Accetterei la decisione, pur considerandola ingiusta. Spero invece che le cose vadano avanti in maniera più libera, più inclusiva, perché il fondamento dello sport è proprio questo”.