Tyson vs Douglas, l’upset più incredibile della storia che ha cambiato per sempre la boxe
L’upset vero nello sport non è solo la sconfitta del più forte, più bravo o più talentuoso e la vittoria dell’altro che ha il segno meno vicino a tutto questo. C’è vero upset quando questa cosa sconvolge la disciplina sportiva nella sua interezza e ridefinisce alcuni punti cardine del panorama sportivo per quanto riguarda quel determinato sport. Un esempio potrebbe essere la sconfitta di qualche mese fa di Teddy Riner contro Kokoro Kageura nel judo. Quell’upset ha detto al mondo che anche Riner è battibile (non perdeva da nove anni) e adesso tutti hanno nuove idee e nuove armi per affrontarlo e batterlo di nuovo.
Ho premesso tutto questo perché oggi ricorre l’anniversario dell’upset degli upset, un momento di sport che ha rivoluzionato e in qualche modo anche fatto declinare una disciplina sportiva storica. Stiamo parlando della vittoria di James Douglas, detto “Buster”, contro Mike Tyson, detto “Iron Mike”, incontro tenutosi al Tokyo Dome l’11 febbraio 1990.
Buster Douglas era il classico “vorrei ma non posso” che nel mondo del pugilato vediamo spesso. Aveva talento, era dinamico, ma come atleta non aveva voglia di andare oltre quel limite del sacrificio sopportabile che ti fa diventare campione. Iniziava tutti gli incontri alla grande, ma se si scavallava l’ottavo round era difficile per lui concludere il match. Successe anche al suo primo incontro di cartello, valevole per i massimi IBF contro Tony Tucker. Fino al decimo round si era in una situazione di pareggio, anche se l’intraprendenza di Douglas nei primi round prometteva bene, poi per Tucker fu semplice andare a segno con costanza e vincere per KOT.
Nei due anni successivi continuò a combattere dimostrando il suo talento, battendo anche pugili di rango come l’ex campione del mondo WBC Trevor Berbick e arrivò anche per mancanza di buona e naturale concorrenza a dover affrontare il campione dei massimi WBC, WBA e IBF, Mike Tyson. Quello che sale sul ring giapponese è uno degli sportivi più importanti del mondo. E per importanza metto dentro seguito, bravura, potenza, capacità di far fruttare economicamente i suoi incontri, futuribilità del suo pugilato, peso mediatico per il suo sport.
Nel 1986, a 20 anni, 4 mesi e 22 giorni, distruggendo proprio Trevor Berbick al secondo round, divenne il più giovane pugile a conquistare un mondiale dei pesi massimi. Pochi mesi dopo batté anche Tony Tucker, unificando la corona della categoria più importante del pugilato. Prima dell’11 febbraio 1990 aveva battuto anche Michael Spinks, Larry Holmes, Frank Bruno. Negli ultimi tempi aveva avuto problemi con il divorzio da sua moglie, l’attrice Robin Givens (la Jackie de “Il Principe delle donne” con Eddy Murphy), il suo nuovo manager Don King era difficile da gestire, ma nel suo ultimo incontro contro Carl Williams erano passati solo 93 secondi prima di far finire il match, per cui sembrava davvero impossibile mettere fine alla sua parabola ascendente quella sera.
C’era all’orizzonte uno sfidante interessante, Evander Holyfield, imbattuto e in grande crescita e quello contro Douglas doveva essere davvero un allenamento, anche se si narrano le cose più oscene che Tyson avrebbe fatto le sere precedenti al match, sfruttando tutto quello che l’estremo oriente poteva mettere a disposizione. Conoscendo la parabola di Tyson ci crediamo almeno in parte, ma il risultato finale è comunque un miracolo. Come di consueto Douglas inizia l’incontro alla grande, è mobile, entra nella guardia di Tyson con il suo jab che alla lunga lo fa anche sanguinare.
Tyson poteva aspettarsi un inizio del genere, ma sembra molle, poco reattivo e soprattutto non riesce a portare il suo terribile montante, come ha sempre fatto grazie al fatto che con la sua statura era capace di entrare sotto la guardia dell’avversario e punirlo. All’ottavo round mentre Douglas lo martella alle corde, riesce a entrare in uppercut. Douglas va giù, stordito. E qui nasce il dilemma: l’arbitro Octavio Meyran ha iniziato a contare troppo tardi? Douglas si rialza al 9, ma per l’entourage di Tyson un conteggio normale sarebbe arrivato al 13.
L’inizio del nono round è drammatico, perché Tyson vuole finire l’avversario, ma non ha energia. Douglas cerca di riprendersi boxando e ribalta tutto. Stavolta è il gong a salvare Tyson da atterramento certo. Nel decimo Douglas capisce che Tyson può andare giù e appena riesce a entrare con dei jab, li doppia con un montante e altri colpi durissimi che abbattono il campione, per la prima volta KO nella sua esperienza da pugile professionista. Tyson riesce a rialzarsi con grande fatica, ma questa volta Octavio Meyran era già arrivato a 10. Buster Douglas era il nuovo campione indiscusso dei pesi massimi, a 23 giorni dalla morte di Lula Pearl, sua madre.
Quando un campione generazionale cede lo scettro si aprono due strade, entrambe positive per quella disciplina sportiva. La prima è che il campione voglia riprendersi il primato e sfidi il prima possibile l’avversario, che se è davvero molto più debole questa volta perderà senza dubbi. Se invece l’avversario è forte quanto il campione, allora si innescherà una sorta di “faida” sportiva ancora più interessante per chi segue. La sconfitta di Tyson però non portò a questo.
Mike tornerà a combattere e a vincere, ma dimostrando di essere subito calante rispetto al grande Tyson di fine Anni ’80. Poi la condanna per stupro praticamente metterà fine alla sua carriera, anche se questa continuerà ma senza squilli. Douglas invece non era un altro grandissimo pugile e nel match successivo perderà contro Holyfield al terzo round, smettendo anche con la boxe (poi tonerà ma anche lui inutilmente). Quando accade che il campione generazionale perde e nessuno prende il suo posto può accadere che il pubblico si allontani dalla disciplina e cerchi altre sfide. È quello che è successo alla boxe e solo oggi con Joshua soprattutto si inizia a vedere una leggera controtendenza.