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Tamberi racconta il suo calvario: “Mi sono guardato allo specchio chiedendomi se fossi un illuso”

Gianmarco Tamberi ha raccontato a Fanpage.it la vittoria dei Mondiali di Budapest, è tornato sul percorso che lo ha portato a vincere la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Tokyo e di come sta impostando la sua rincorsa verso i Giochi di Parigi 2024.
A cura di Vito Lamorte
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Tamberi festeggia la medaglia d'oro ai Mondiali 2023 di Budapest.
Tamberi festeggia la medaglia d'oro ai Mondiali 2023 di Budapest.

Gianmarco Tamberi è unico. Non è piaggeria, né adulazione. Ha visto il baratro, stava per toccare il fondo ma poi è risalito per andarsi a prendere le vette più alte. Quelle che permettono di gustarsi il panorama in maniera perfetta. Lo ha fatto a modo suo, lottando tutti i giorni per un obiettivo che si era prefissato e che non ha mai voluto mollare.Per questo motivo la sua figura emerge nel panorama sportivo italiano e mondiale in maniera precisa e con linee nette.

Non solo per le sue eccezionali capacità atletiche ma per come è riuscito a rimettersi in piedi dopo il terribile infortunio alla legamento della caviglia che in uno sport come il salto in alto spesso vuol dire ‘carriera finita'. Gimbo ha lottato e lo ha fatto contro tutto e tutti, non smettendo mai di credere in se stesso e nel suo sogno. Dopo la mancata partecipazione alle Olimpiadi di Rio e un anno di pausa forzata, tra cure mediche e riabilitazione, Tamberi ha dovuto affrontare anche un periodo complicato a livello personale: "Una frustrazione che montava anno dopo anno e spesso mi sono guardato allo specchio chiedendomi se fossi un illuso nel credere in quello che stavo facendo".

Da quel momento la storia è nota: il primo agosto 2021, che lui ha ribattezzato "il secondo compleanno", alle Olimpiadi di Tokyo è riuscito a saltare 2,37 metri conquistando la medaglia d'oro; poi sono arrivati gli Europei di Monaco nel 2022 e qualche settimana fa i Mondiali. È il primo altista di sempre a trionfare in tutte e tre le competizioni.

A Fanpage.it Gianmarco Tamberi ha raccontato la vittoria dei Mondiali di Budapest, è tornato sul percorso che lo ha portato a vincere la medaglia d'oro alle Olimpiadi di Tokyo e di come sta impostando la sua rincorsa verso i Giochi di Parigi 2024.

Cosa ha provato Gianmarco Tamberi dopo essersi laureato campione del mondo di salto in alto?
“Molteplici sensazioni ed emozioni date anche dai tanti dubbi che mi portavo dalla vigilia, uno su tutti, il cambio di allenatore dopo tanto tempo. Ho avuto la conferma che la scelta era quella giusta e portare a casa un titolo che non avevo mai conquistato come quello mondiale significa tanto. Poi è l’anno prima delle Olimpiadi e dimostrare a me stesso che ci sono, vuol dire molto per un atleta che guarda sempre avanti come me. Ok i festeggiamenti in pista e fuori ma dopo si guarda avanti. Non ultima la felicità e la soddisfazione di chiudere un cerchio che mai nessuno in Italia aveva fatto, ovvero vincere tutte le grandi manifestazioni dell’atletica leggera".

‘Mamma mia quanto sono scarso’: come avviene lo switch mentale dalla difficoltà alla migliore prestazione? A Zurigo è stato clamoroso.
“È una cosa che mi succede molto spesso, quasi in tutte le gare importanti faccio fatica a trovare la condizione soprattutto mentale. Un po’ come se mi presentassi al meglio per il momento decisivo, e questo si è verificato più di una volta. Nelle qualificazioni io mi presento con la volontà di sprecare meno energie mentali possibili e tenerle per il giorno dopo. Una sorta di attivazione su cui lavoro e io tengo a bada, il primo giorno cerco di tenermi calmo e di sprecare meno energie possibili per poterle tirare tutte fuori nella finale. Questa cosa ha due facce perché io mi presento nel pre-gara con più tranquillità ma poi capita come a Budapest che devo riattivarmi e spreco qualche energia fisica in più. Quelle nervose provo a preservarle e per me è importante tenerle per la finale: se dovessi fare entrambi i giorni con la stessa intensità e la stessa adrenalina non arriverei mai ad essere così fresco come ci arrivo di solito. È un po’ un rischio ma me lo assumo per cercare di essere al top nel momento che conta, sia dal punto di vista mentale che energetico. Non è che io cerco di sbagliare di proposito, sia chiaro, perché il mio obiettivo è qualificarmi sempre subito, ma puntualmente non succede mai. Per me vuol dire molto il pre-gara e il modo in cui ti prepari, l’organismo brucia molto nelle ore precedenti e se riesci ad essere tranquillo sei molto più in modalità risparmio".

Il cambio di guida tecnica, passando da papà Marco a Giulio Ciotti: com’è stato e perché è arrivato proprio in quel momento, visto che si era appena confermato al vertice in Europa?
"I risultati ci sono ancora, fortunatamente. Il rapporto con mio padre non ha mai funzionato né a livello familiare né a livello sportivo. Siamo riusciti a trovare un equilibrio con alcuni compromessi: già le cose non andavano prima di Tokyo ma per me era troppo importante e siamo andati avanti. Dopo abbiamo provato a fare un altro anno insieme ma le cose non sono andate e ci siamo separati. Una cosa che, comunque, prima o poi sarebbe successa visto il nostro rapporto. È stata una grande scommessa per me perché da quando ho iniziato mi ha sempre allenato lui e non è stato per niente facile questa scelta. C’era anche una visione tecnica diversa su quello che io ritenevo giusto e quello che pensava lui, ovviamente non era una cosa solo caratteriale ma c’erano anche altre cose. Più che altro la questione era su cosa fosse giusto fare per me in quel momento e cosa no. Non avevamo la stessa idea".

Riavvolgiamo un attimo il nastro. L’oro olimpico è stato frutto di sacrifici e lavoro dopo tutto quello che era successo.
"Parlare di sacrifici è riduttivo, secondo me, per quello che ho fatto per tornare ad alto livello. Il tipo di infortunio che ho avuto io nel mio sport è complicato da affrontare ed è complicato tornare a competere per vincere. Adesso è facile poterlo dire, perché ci sono riuscito ma sono stato degli anni molto complicati. Il mio unico obiettivo era tornare per le Olimpiadi di Tokyo pronto per poter vincere: la mia ambizione era altissima perché non volevo solo tornare a gareggiare ma volevo essere protagonista. Non è stato facile perché per cinque anni ho lavorato pensando che quell’oro potesse essere vicino: tutti i piccoli step che facevo non li apprezzavo, il fatto di essere tornato a gareggiare per me non significava molto perché io volevo essere competitivo. Per cinque anni questa cosa non si è mai verificata ed è stato molto frustante e difficile, anche per le persone intorno a me che vedevano quanto io mi impegnavo. Tutti vedevano quanto io dessi l’anima e non era facile, perché sembrava che io stessi dando troppo rispetto a quello che ricevevo. Mi vedevano soffrire e mi guardavano con tenerezza, questa cosa mi faceva anche più male. Io volevo dimostrare a loro che ce la stavo facendo ma non ci riuscivo".

Ha parlato di depressione nel periodo post-infortunio: in che modo è riuscito ad affrontarlo e superarlo?
"Era una frustrazione che montava anno dopo anno e spesso mi sono guardato allo specchio chiedendomi se fossi un illuso nel credere in quello che stavo facendo. Alla fine cercavo e sceglievo quello in cui avevo scelto di credere e fino a quel primo agosto 2021 ho dato tutto me stesso per provare a realizzare quello in cui avevo sempre sperato. Questa cosa mi ha aiutato ad andare avanti, perché l’infortunio è stato un primo step ma quell’operazione ha portato a tante altre cose, come insicurezze mentali, e sono stati anni molto complicati".

Il primo pensiero dopo l’oro a Tokyo qual è stato, se lo ricorda?
"È impossibile da descrivere. Per me è stato qualcosa di extra-terreno perché sembrava davvero impossibile per tutto quello che avevo vissuto, non ci potevo quasi credere. La sensazione che avevo era quella del cuore che mi usciva dal petto. Anche dalle immagini si vede che io tengo le mani sul petto, se ci fate caso. Cinque anni di dolore per un momento di felicità unica, irripetibile, perché sono certo che non proverò mai nulla del genere".

È un grande appassionato di basket e di NBA: scambierebbe la sua attuale carriera con una in NBA?
“Sì, senza dubbio. Perché era la mia passione da piccolo ed è quella di sempre. Il motivo per cui ho scelto salto in alto non era per una passione, anzi è stato difficile staccarmi da basket. Ho dovuto scegliere e sono andato su quello per cui ero più portato, non per quello che più mi piaceva fare. La scambierei per arrivare a quel livello anche perché non ero così portato e se mi dicessero di scambiarla lo farei senza dubbio”.

Lei suona la batteria: che musica le piace o ascolta prima di allenarsi o gareggiare?
“Definirmi un batterista è complicato, ho studiato per 4-5 anni da piccolo e suonavamo con qualche amico. Quando mi capita di averne una tra le mani mi da gusto provare a suonarla. L’ho fatto al Mondiale e lo feci anche al Maurizio Costanzo Show. La musica che ascolto prima di allenamenti e gare non ha la batteria perché è più elettronica o rap, da Eminem a 50Cent per fare due nomi".

Le dispiace quando viene definito ‘arrogante’ o ‘presuntuoso’ per il suo modo di caricarsi o di celebrare le vittorie?
“Un po’ sì, perché è chiaro che in quei momento lì chi guarda può capire quello che stai provando. Io quando vinco qualche competizione importante mi sento inondato da una felicità e una euforia enorme perché realizzo un sogno che durante l’anno mi sembra sempre difficile da realizzare. Quando mi alleno lo faccio perché so che affronterò atleti fortissimi e mi sembra sempre di partire un passo indietro rispetto a loro. Quando sono in pedana e riesco a batterli mi piace sfogare tutta la gioia e festeggiare. Il momento moltiplica tutto e spesso non riesco a tenere a bada le emozioni, ma capisco che da fuori è difficile immedesimarsi. So che alcuni mi criticano ma tanti mi vogliono bene per questo, perché esterno le mie emozioni senza filtro sia nei momenti positivi che negativi“.

È arrivato l’oro mondiale, dopo quello olimpico e i due europei. Quali saranno i prossimi obiettivi?
"Adesso ci sono le Olimpiadi, anche se in ordine cronologico dovrei dire gli Europei di Roma. I Giochi di Parigi mi spingono in questo momento in cui sto bene e ho acquisito una consapevolezza, un’esperienza da atleta di 31 anni. Sapere che i problemi si possono affrontare e che in una gara non ti presenterai mai in una condizione perfetta fanno tutto parte di un bagaglio di esperienza che mi permette di affrontare una preparazione olimpica due mesi dopo aver vinto i Mondiali con fiducia e consapevolezza. Il fatto che nessuno nella storia delle Olimpiadi ha vinto due volte di fila l’oro nel salto in alto è una sfida che stuzzica e sarebbe la ciliegina su una torta incredibile".

Che anno sarà il 2024?
"Per quello che mi riguarda sarà tutto concentrato sulle Olimpiadi. L’Europeo è un momento molto importante, fondamentale, ma la mia concentrazione sarà soprattutto su Parigi. Quando ci sono due eventi di quella portata bisogna fare una scelta e cercherò di arrivare in una condizione ottimale per essere competitivo".

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