Tamberi non finisce mai, l’animale da gara azzurro è l’esempio che segue la nostra atletica
Ma quante vite ha vissuto in un anno Gianmarco Tamberi? Per chi segue lo sport distrattamente e ancora di più l’atletica leggera che ha una visibilità inferiore rispetto al calcio, ricorda Tamberi a Tokyo con il gesso in mano che urlava al mondo la sua felicità per aver vinto un oro olimpico nel salto in alto insieme a un altro atleta, Mutaz Essa Barshim. Quasi un anno dopo lo ritrova ancora una volta vincente, questa volta agli Europei, dove imbastisce un altro show questa volta con la sua fidanzata, sua futura moglie. Insomma a occhi poco attenti, Tamberi sembra una gioiosa macchina da salti sempre pieno di energia e vincente.
Chi invece conosce anche a sprazzi la sua biografia e soprattutto le vicende di quest’anno post-olimpico, sa bene che Gianmarco Tamberi è un vortiginoso saliscendi, sia come uomo che come atleta, un ragazzo che vuole tanto, ormai si può dire che nella sua carriera ha voluto e praticamente ottenuto tutto (tranne i Mondiali all’aperto, ma ci saranno il prossimo anno a Budapest) e per questo motivo si tormenta, fa ogni tipo di sacrificio possibile ed è perennemente su montagne russe emotive per un viaggio sempre difficile.
Le settimane dopo l’Olimpiade di Tokyo le aveva vissute sulle prime pagine dei rotocalchi e nella testa degli italiani. L’uomo tornato dall’infortunio che gli aveva tolto l’oro olimpico nel 2016, cinque anni dopo lo ha finalmente vinto. Una storia fantastica. L’atleta poi non aveva mollato, si era presentato alla tappa di Diamond League a Zurigo ancora in forma e l’aveva vinta con un buon 2,34. Poi ha staccato, è andato in vacanza e ha ricominciato la stagione 2022 senza la pace dei sensi di tanti campioni olimpici, ma con la stessa cattiveria di prima.
Ci sono subito i Mondiali indoor a marzo, ma a febbraio ha un altro impegno abbastanza importante. Diventa una delle copertine dell’All Star Weekend dell’NBA (sua grande passione) per una sua schiacciata durante la gara delle celebrities, per poi andare a Belgrado e vincere il bronzo mondiale indoor con 2,31, battuto dallo svizzero Loïc Gasch che salta la stessa misura con un numero minore di errori e dal sudcoreano Woo Sang-hyeok che sale a 2,34.
Da quella ennesima medaglia in avanti iniziano i problemi, tecnici, di gestione delle gare, fisici, relazionali con il padre, il suo allenatore. Fa una brutta Diamond League, sbagliando gara sia a Doha, dove voleva festeggiare l’oro olimpico combinato con il padrone di casa Barshim, sia a Roma dove raggiunge un mesto 2,24. Lo si vede sempre più nervoso e sfiduciato, ha piccoli ma fastidiosi problemi fisici e agli Assoluti di Rieti è protagonista di una brutta scena, non stringendo la mano al secondo classificato (vince con 2,26), Marco Fassinotti, e mandandolo platealmente a quel paese.
È il segnale che Gianmarco è arrivato al limite. Dopo pochi giorni la notizia che sciocca tutti: decide di dividersi dal padre, l’allenatore che lo ha portato a vincere tutto. Dopo alcuni giorni davvero turbolenti, grazie alla mediazione del presidente FIDAL, Stefano Mei, tornano insieme per gli ultimi due appuntamenti, Mondiali di Eugene ed Europei di Monaco.
Ai Mondiali, con tutto questo carico di pressioni, compie un mezzo miracolo. Dopo essersi qualificato per il rotto della cuffia dà tutto in finale e arriva a 2,33, stessa misura del bronzo mondiale, che non vince perché ha commesso più errori alle prove precedenti. Quella gara però ha dimostrato la grandezza di Tamberi, confermata dalla vittoria agli Europei, mai veramente messa in discussione su un campo di gara bagnato e insidioso.
Gimbo è un animale da gara, un atleta che riesce ad esserci sempre quando serve, è un pregio che hanno in pochi e che in questi anni ha portato all’Italia medaglie e vittorie, ma soprattutto un esempio a cui sta guardando tutta l’atletica italiana.