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Sarah Fahr racconta l’oro dell’Italvolley: “Prima delle Olimpiadi ci siamo dette una cosa, così è stato”

Sarah Fahr a Fanpage.it ha raccontato le emozioni vissute per la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Parigi e il percorso della Nazionale Italiana fino al tetto del mondo: la fortissima centrale dell’Imoco ha parlato del modo in cui ha preso la cittadinanza italiana, della reazione agli infortuni che ha subito e ha affrontato anche la tematica dei disturbi alimentari.
A cura di Vito Lamorte
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Sarah Fahr è stata una delle protagoniste del trionfo dell'Italvolley alle Olimpiadi di Parigi 2024. Una medaglia d'oro sognata e arrivata grazie ad una delle squadre più belle che si siano mai viste al torneo a cinque cerchi perché formata da giocatrici di altissimo livello e con storie diverse una dall'altra: un mix che ha avuto un grande regista come Julio Velasco ma le attrici principali sono state loro, che hanno scritto una pagina meravigliosa della pallavolo azzurra.

Il primo amore sportivo di Sarah è la ginnastica artistica ma grazie al suggerimento di un’amica decise di provare la pallavolo e questa scelta le ha cambiato la vita per sempre. Ha iniziato il suo viaggio nel volley da giovanissima e dopo le esperienze  di Novara, Roma e Firenze è approdata alla Imoco Volley Conegliano: oggi è una delle giocatrici più forti d'Italia ma il suo percorso non è stato semplice, visto che si è rotta il legamento crociato anteriore del ginocchio destro per due volte. Sacrifici, infortuni e rinascita, appunto.

A Fanpage.it Sarah Fahr ha raccontato le emozioni vissute per la medaglia d'oro alle Olimpiadi di Parigi e il percorso della Nazionale fino al tetto del mondo: la fortissima centrale dell'Imoco ha tracciato anche un profilo davvero interessante della sua persona, parlando del modo in cui ha preso la cittadinanza italiana e soffermandosi sulla reazione agli infortuni che ha subito e affrontando anche la tematica dei disturbi alimentari.

Cosa vuol dire vincere la medaglia d’oro alle Olimpiadi?
"Domanda a cui è difficile da rispondere. Credo sia il sogno di ogni sportivo poter partecipare ad un’Olimpiade e poi, quando si è fortunati come nel mio caso, anche di poter raggiungere una medaglia. Diciamo che per me la cosa che conta più di tutto è il percorso che porta a questo perché spesso mi viene chiesto che emozione provi dopo aver vinto ma in realtà forse provo più emozioni nel percorso e nei sacrifici che faccio tutti i giorni nella vita che ho scelto di vivere. Insomma, quando vinci, come in questo caso una medaglia olimpica, dai un ulteriore senso a tutto quello che fai, no? È una gratificazione, è un'affermazione, una conferma che insomma quello che stai facendo è positivo ed è giusto. Quando ti capita di vincere e di scrivere la storia anche del tuo sport, perché alla fine noi abbiamo fatto questo, ti rendi conto di essere anche un po’ fortunati, nonostante tutte noi siamo lì perché comunque siamo tutte delle atlete con la ‘A’ maiuscola. Però, insomma, ti rendi conto della gioia e di tutto quello che si può portare con lo sport e soprattutto di quanto in questa occasione sia importante per il tuo paese, per le persone, i ragazzini e i bambini che seguono il nostro movimento. Forse la cosa che ho visto più di tutti dopo aver portato a casa questa medaglia sono gli occhi dei bambini che brillano quando ti vedono e che quella sia un po' la cosa che ti rende più orgogliosa".

Quant'è importante per tutto il movimento italiano?
"È un lavoro importante. La pallavolo era già uno degli sport più importanti che abbiamo in Italia. Sicuramente dopo questo oro è arrivata ancora più visibilità e la cosa di cui mi sono resa è che veramente tutti hanno seguito quello che abbiamo fatto perché è bastato rientrare in Italia per vedere che in qualunque posto io andassi c’era qualcuno che mi facesse i complimenti. Ti rendi conto di aver fatto qualcosa di grande, qualcosa di bello. Poi io mi sono resa conto anche un po' dell'importanza di quello che abbiamo fatto grazie a dei messaggi che mi sono arrivati da amici o conoscenti che mi raccontavano di aver visto queste ragazzine giocare e fare finta di essere me o le mie compagne. È una cosa bellissima, quella cosa lì credo che sia la gratificazione più grande per tutti noi sportivi perché vuol dire che comunque siamo riusciti a trasmettere qualcosa non solo agli adulti ma anche ai bambini che sono quelli che sognano. È davvero emozionante".

Naturalmente è il punto più alto di una generazione di giocatrici fortissime, ma il percorso è stato molto importante per tutte voi…
"Credo che noi come nazionale negli ultimi anni eravamo sempre forti. Io faccio parte del gruppo dal 2018, quando al Mondiale siamo arrivate seconde, e lì stava nascendo un'Italia che stava facendo appassionare perché quando siamo rientrate dal Giappone comunque c'era una folla incredibile ad aspettarci in aeroporto ed è stato bellissimo. Poi se inizi a portare a casa dei risultati la gente si aspetta che tu li porti sempre, e di migliori: negli ultimi anni le cose non sono sempre andate come tutti si aspettavano. A partire da Tokyo, dove avevamo delle aspettative altissime e tutti si aspettavano che noi andassimo da favorite. Quando non arrivano i risultati si è spesso sulla bocca di tutti, però credo che abbiamo fatto un percorso dove ci sono stati alti e bassi fino a quest’anno in cui abbiamo detto ‘Ok, pensiamo semplicemente a noi’. Sappiamo che ci sono le pressioni ed è bello perché vuol dire lottare per cose importanti, come mi succede a Conegliano. Comunque il cambiamento di staff credo che abbia portato un po' più di equilibrio all'interno della squadra e per questo siamo riuscite a concentrarci solo ed esclusivamente sul noi, sul gruppo, sullo stare tranquille, sull'aiutarci a vicenda, sul lavorare veramente di squadra. Credo che questa vittoria sia arrivata soprattutto per questo motivo qua, perché abbiamo lavorato da squadra e durante le partite dove non arrivava una c'era sempre un'altra per sopperire ai momenti di up and down".

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Quanto c’è di Velasco in questa vittoria?
“Ci ha fatto lavorare come gruppo ed è stato bravo a normalizzare la competizione, perché tu quando arrivi alle Olimpiadi, vuoi o non vuoi, l'ansia c’è. È il torneo dei tornei, tutti vogliono far bene e quindi sono stati bravi a normalizzare la situazione,  ha fatto questa scelta di farci stare fuori dal Villaggio Olimpico per poterci concentrare e per poterci riposare meglio, rendendolo un torneo normale. Perché uno non ci pensa ma, alla fine, anche andare nel villaggio e vivere lo spirito è bello e tutto quello che vuoi però alla fine ti dà anche un po' quella cosa ‘oh mio Dio, sono alle Olimpiadi’. Quindi tutto questo insieme di cose ha portato a fare un bel risultato”.

Adesso si riparte da Conegliano. Che stagione si aspetta?
“Si riparte come sempre, con tanta voglia. Dopo le Olimpiadi, ho sentito spesso interviste di gente che dopo quando vince dice ‘oddio non so cosa fare, ho raggiunto il massimo del massimo e adesso sono in un periodo in cui mi chiedo cosa fare della mia vita’. Per me non è così. Abbiamo vinto, adesso stacco dieci giorni poi voglio ritornare a godermi questa stagione e voglio voglio portare a casa altri risultati. La nostra società è stata in grado di creare un bel gruppo, con delle belle persone che si incastrano bene sia all'interno del campo che al di fuori: quindi, sono veramente curiosa di capire e di vedere dove questo gruppo può arrivare. Credo che, insomma, un altro dei punti forti di Conegliano sia che chiunque arriva sa che ci sono certi obiettivi e sa qual è lo standard. Spingiamo tutti i giorni al 100% perché sappiamo che noi quest'anno vogliamo portare a casa tanti trofei e per farlo è necessario che ognuno di noi dia sempre il massimo. Quindi non vedo semplicemente l'ora di iniziare questa stagione, di godermi le ragazze, di divertirmi e di poter pensare anche solo al miglioramento mio personale perché negli ultimi anni a causa degli infortuni non ho potuto fare molto in questo senso”.

A proposito di infortuni. Lei ne ha avuti due molto importanti, come si reagisce a stop di quella portata?
“Diciamo che la testa fa tanto in questi momenti, dipende tutto da come affronti il fatto che, insomma, nel tuo percorso si è presentato questo stop. La prima volta che mi sono fatta male è stato molto semplice: l'ho accettato, mi sono detta che fa parte del mio lavoro ed è successo a tanti atleti prima di me. Mi sono operata e sono tornata a lavorare: l’ho affrontato fin da subito in maniera positiva, vedendolo come una cosa che mi avrebbe aiutato a capire più cose di me come Sara, come persona e come giocatrice. Il primo percorso è stato molto facile, mentre il secondo l’ho patito un po' perché se ti fai male dopo quattro partite non è proprio il massimo. Quando rientri ti fai le tue idee su quello che vuoi fare, mi ero posta degli obiettivi e diventa una battuta di arresto un po' più pesante rispetto alla precedente. Nella tua testa pensi ‘è già successo, può accadermi di nuovo?’. In quel momento lì è stato difficile, poi mi sono rimboccata di nuovo le maniche e ho pensato che avrei potuto farcela anche questa volta, che le cose gravi della vita erano altre. Il secondo percorso è stato molto più difficile perché ci sono stati tanti up and down. Ho imparato una parola molto importante che è pazienza: spesso quando ti fai male vedi come parte difficile il recupero, la fisioterapia e il percorso che ti riporta in campo. Quando rientri in campo dopo due anni che sei stata ferma, vedi che non sei più in grado di fare certe cose come le facevi prima e lì devi veramente avere tanta pazienza. All'inizio ho fatto molta fatica e non c'era un giorno in cui non piangessi perché non vedevo miglioramenti e non mi riuscivano che le cose che prima facevo facilmente. Poi, però, anche grazie all’aiuto del mio ragazzo e delle persone che mi vogliono bene ho iniziato ad essere molto più tranquilla, ad accettare l'errore, ad accettare il fatto che appunto la situazione potesse essere questa e da quando ho iniziato a fare così è stato tutto un crescendo: mi concentravo più sulle cose positive che sulle cose negative, tutto poi è iniziato a venire da sé. Se tu oggi mi chiedessi ‘Sara, tornassi indietro, vorresti non farti male’, ecco io ti risponderei che senza quella cosa lì io non sarei la Sara di adesso perché ho capito di essere migliorata come giocatrice e come carattere".

Rispetto a qualche anno fa si parla di più di alimentazione e c’è più attenzione ai disturbi della nutrizione: ci parli della sua esperienza e cosa si potrebbe fare di più in questo ambito?
"Domanda difficile. Io ho sempre parlato un po' di quello che mi è successo, perché spesso intorno a questo argomento c'è forse vergogna, paura, di essere giudicati. Non so, c'è sempre questo velo disteso sopra per cui non si sa se parlarne o non parlarne. È un tabù o non tabù. Credo che i disturbi alimentari probabilmente nella società di oggi sono presenti perché semplicemente ti chiedono sempre di essere perfetta, di non avere un filo di grasso, con modelli che anche social media diffondono in maniera costante. Soprattutto quando sei piccolo pensi ‘oh mio Dio, no, anche io devo essere come quella là’, però quando cresci ti rendi conto che in realtà tutti noi abbiamo delle imperfezioni e quelle imperfezioni ti rendono anche la persona che sei, ti rendono bello per come sei. Nel mio caso i social, però, non c’entrano molto: ho iniziato ad avere un disturbo alimentare in un anno in cui volevo migliorarmi, dove volevo essere in forma perfetta per arrivare alle Olimpiadi nel miglior modo possibile, in cui volevo fare un salto di qualità proprio nel mio sport. I disturbi poi si accentuano quando tu sei insicuro, quando ci sono delle cose che proprio non vanno dentro di te. Sono riuscita a andare avanti facendo comunque un percorso con lo psicologo, capendo da dove scaturivano certi sentimenti e anche questo può dare una mano a far capire ai ragazzi che spesso l'insicurezza che si ha, che ognuno di noi all'interno ha qualcosa che va elaborato, qualcosa che gli è successo nella vita o su cui lavorare per conoscersi meglio. Rivolgersi anche a queste figure di riferimento ti aiuta, se non sei in grado di farlo da solo, a trovare te stesso, a capire da dove partono certi meccanismi. Io, solo dopo aver fatto questo lavoro, sono riuscita pian piano ad uscirne totalmente e a star bene con me stessa, ad accettarmi, a sentirmi bella per come sono. Alla fine è il punto principale, soprattutto poi nei disturbi alimentari nelle donne e nelle ragazzine”.

Puntualmente dopo ogni edizione dei Giochi ricorre il tema sulla ‘cittadinanza' per gli sportivi, sullo Ius Soli e sullo Ius Soli Sportivo. Adesso si parla tanto dello Ius Scholae. Lei è nata in Germania ma ha vissuto sempre in Italia: ci racconta la sua storia?
“Mio padre è arrivato in Italia nel 2000, aveva trovato un lavoro all'Isola d'Elba. Con mia madre, che era incinta quando sono partiti, hanno deciso di andarsene dalla Germania perché volevano cambiare aria. Sono nata in Germania ma poi sono cresciuta in Italia, tornavo tutte le estati per stare con la famiglia fino a quando la pallavolo non ha iniziato ad essere una cosa seria: fino ai 13 anni io tutte le estati almeno un mese stavo in Germania, per imparare anche bene il tedesco, per gli amici e tutto il resto. Sono diventata italiana nel momento in cui ho iniziato a giocare a pallavolo, nel giro prima della provinciale, poi della selezione regionale e poi è arrivato l’interesse della Nazionale. Ad un certo punto è arrivata questa chiamata però io ancora non ero italiana e non potevo essere selezionata”.

E cosa è successo?
“Mio padre, che stava in Italia già da più di 10 anni, ha chiesto la cittadinanza e io ho ricevuto la cittadinanza, perché l’ha presa mio padre e di conseguenza siamo riusciti a prenderla anche io e mio fratello. Così sono diventata italiana. Da lì ho fatto tutte le nazionali giovanili e ho visto che poteva diventare realtà il mio sogno: mi sono rimboccata le maniche e a 13 anni e mezzo sono uscita di casa, andando a vivere da sola a Novara”.

Quali sono i progetti e gli obiettivi futuri di Sara Fahr.
"Di tornare in palestra e di godermi questi sport come faccio sempre. O forse anche di più. Nel senso che l'Olimpiade è il coronamento del sogno dei sogni però, adesso, la mia mentalità mi dice che tutti gli anni devo riconfermarmi e devo dimostrare che quella cosa lì, che non me la sono conquistata per puro caso. Questa vittoria mi ha dato uno stimolo in più pazzesco, voglio andare in palestra, voglio allenarmi… negli scorsi anni ho sempre dovuto pensare al ginocchio, tutti i salti erano centellinati, tutti i miei allenamenti dovevano essere controllati e più di un tot non potevo fare. Adesso voglio semplicemente godermela, voglio godermi questo sport, perché alla fine sono fortunata ad avere come lavoro la mia passione: negli anni ho capito che quando mi diverto e quindi penso solo a godermi la pallavolo, allora arrivano i risultati e arrivano le buone prestazioni. Sono molto serena, vogliosa di fare, di divertirmi e di continuare a scrivere la storia per il club per cui lavoro e per la Nazionale".

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