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Rio 2016, Phelps l’Immortale: “Volevo il record del mondo”. Come Leonida nel 152 A.C.

Il Cannibale ha vinto il 22mo oro, il 13mo individuale: nessuno ci riusciva dal 152 avanti Cristo. Si chiamava Leonida, vinse due gare di nuoto (sulla distanza di circa 200 e 400 metri) e la corsa con gli scudi. Phelps ha trionfato per la quarta volta i 200 misti alle Olimpiadi. Solo Carl Lewis e Al Oerter avevano conquistato quattro ori ai Giochi nello stesso evento.
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Aveva 36 anni l'ultimo uomo capace di arrivare a 22 ori olimpici individuali spalmati in quattro olimpiadi. Si chiamava Leonida, vinse due gare di nuoto (sulla distanza di circa 200 e 400 metri) e la corsa con gli scudi. Era il 152 avanti Cristo. Da allora nessuno come Leonida. Nessuno, prima di Michael Phelps.

Il Cannibale di Baltimora ha bruciato Pereira e Ryan Lochte (finito sfiancato e solo quinto) nei 200 misti, con una frazione a delfino che prepara gli ultimi, devastanti, 50 in stile libero. Si è preso di forza l'oro individuale numero 13 ai Giochi, il numero 22 contando le staffette, la ventiseiesima medaglia olimpica. È il terzo atleta al mondo dopo Carl Lewis e Al Oerter capace di vincere una stessa gara in quattro diverse Olimpiadi. E le gare potrebbero diventare due: è in finale nei 100 farfalla, in cui ha dominato le ultime tre edizioni dei Giochi. "Avrei voluto tanto battere il record del mondo. Ma è una sofferenza per il mio corpo, sono stanco, ho dolore alle gambe" ha ammesso. In fondo, è umano anche lui…

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Il rivale Lochte – È rimasto 66 centesimi sopra il record del mondo di Ryan Lochte, l'amico-avversario che più ha provato a contrastare Phelps negli ultimi 12 anni. “È incredibile che io e Ryan siamo stati alle Olimpiadi e insieme in nazionale dal 2004” ha detto Phelps. “Nessun altro competitor è stato in acqua con me per tutto questo tempo. E quasi nessun altro mi ha messo così tanto in difficoltà”. La più intensa rivalità nel nuoto moderno ha portato 10 primati mondiali e 15 migliori prestazioni stagionali. Ha fatto di tutto Lochte, per sconfiggere il tempo e il Cannibale. Ha cambiato vita, ha cambiato città e programma di allenamento, ha detto addio alla vita notturna e alle patatine, ha assunto lo chef di LeBron James, tutto per reggere ancora, a 32 anni, Nelle gare miste, però, a parte i 400 di Londra 2012, ha sempre vinto il Cannibale, che fa sembrare sempre tutto troppo facile.

Duro lavoro – Vederlo nuotare fa illudere che vincere un numero di ori inimmaginabile nell'arco di quattro Olimpiadi, che dominare a 31 anni come a 18 non sia poi così duro. Ha dato due secondi a tutti nei 200 misti e l'ha fatto apparire una passeggiata. “Non avete idea di quanto sia difficile, per chiunque, vincere un oro olimpico” ha detto il suo storico coach Bob Bowman. “Michael ne ha vinti talmente tanti che è perfino difficile avere la giusta prospettiva. Ma ognuno di questi arriva solo dal duro lavoro. Non è solo questione di talento. Il talento non basta. Serve la combinazione del talento e del lavoro incredibile che ha fatto, stavolta più che mai”.

Passione – Dopo Londra, nonostante quattro ori e due argenti, era uscito dall'acqua e dai Giochi con un gusto un po' amaro dietro il dolce sapore del trionfo. Non sentiva più quell'antica passione per il nuoto, quell'amore che ha trasformato un bambino iperattivo in un campione destinato all'immortalità delle leggende. “Adesso mi sento di nuovo un ragazzino” ha detto dopo il dominio nei 200 misti, “come quando avevo 18 anni. Solo così potevo tornare alle gare e continuare a gareggiare a questi livelli”.

Dubbi e problemi – Eppure, di dubbi nell'ultimo biennio ne ha avuti. Quando è tornato ad allenarsi nel 2014, perdeva sistematicamente in allenamento contro le sue compagne di squadra. Ha chiuso nono nei 200 stile in un Grand Prix a Charlotte, a maggio 2014. L'anno scorso, prima dei Mondiali di Kazan, l'america lo rinnega e lo squalifica per sei mesi. «Preferiamo atleti esemplari, non chi danneggia la nostra immagine. In nazionale si rappresenta il paese non se stessi. La condotta di Michael è stata grave e richiedeva conseguenze significative», dichiarava Chuck Wielgus, direttore esecutivo della federazione. Il 30 settembre era stato fermato di notte dalla polizia del Maryland per guida pericolosa: la sua Range Rover viaggiava a 84 miglia orarie (135 km/h) quando il limite era di 45. E per di più era ubriaco: il tasso alcolemico eera oltre il doppio del consentito.

Favola a Rio – Ma a Rio fa dimenticare tutto. “Ho superato ostacoli che non avrei voluto affrontare in passato. ha detto. “Molte volte mi sono detto: ma perché diavolo lo sto facendo? Sono lentissimo, è terribile, che succede? Mi sentivo frustrato, ma ho accettato tutto, perché volevo essere capace di tornare dove sono adesso. Mi sono fidato di Bob. Non mi ha mai abbandonato”. E Bob l'ha ripagato con la luce dell'Olimpo, con l'ebbrezza più straordinaria: l'ha fatto salire ancora e ancora e ancora su un podio olimpico, con l'oro al collo e lo Star Spangled Banner nelle orecchie.

Il ruolo di padre – Ora Phelps non è più il quindicenne di talento che arrivò quinto a Sydney. È un uomo che va a baciare il piccolo figlio Boomer, di tre mesi. Michael, segnato dall'abbandono di papà Fred, vuole diventare soprattutto un buon padre. Ha il coraggio di mostrare le emozioni, la commozione e la debolezza. È un faraone che ha chiesto ai compagni di condurlo verso il trionfo in staffetta, e il giovane Haas ha obbedito eccome al condottiero capace di trasfigurare lo sforzo in orgoglio. Ha mostrato i segni della cupping therapy, una tecnica per migliorare la circolazione del sangue che tanto piace alle star di Hollywood e secondo la tv russa avrebbe effetti in fondo non dissimili da quelli del meldonium.

Commozione – Ha cambiato la sua immagine, è diventato l'immagine del nuoto, E così, come scrive Emanuela Audisio su Repubblica, davanti alla versione acquatica del Cristo redentore, “si mettono in fila: giapponesi, sempre molto timidi, inglesi e australiani. Come se andassero a cercare la benedizione del patriarca. Si inchinano, danno la mano, gli fanno coraggio. Come se fosse l'addio ad un imperatore che ha cambiato una civiltà e che ora emigrerà per fare altro”. E il campionissimo, l'uomo solo al comando, continua a commuoversi. “Ogni volta che sento l'inno nazionale ho talmente tanti ricordi in testa” ha detto. “E ogni volta che lo sento mi scendono le lacrime. Ho provato a trattenerle, ma stasera non ci sono riuscito”.

Finale perfetto – Uscire dalla piscina, dire definitivamente addio al nuoto, come ormai pare certo farà dopo Rio, è un po' più difficile dopo l'oro numero 13. “Non so cosa dire” ha ammesso a caldo. “Sto finendo come volevo. Penso che nel 2012 non l'avrei neppure immaginato. Sono riuscito a lavorare duro e a soffrire in ogni singola gara ed è esattamente questo il modo in cui volevo finire. Ho avuto una carriera straordinaria”.

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