Quando Colin Kaepernick ha cambiato lo sport, la società civile e il mondo con un piccolo gesto
Un gesto per diventare iconico e storico deve avere almeno tre elementi. Deve essere fatto in un momento molto importante, in un momento appunto in cui la Storia si fa, come il pugno guantato di nero di Smith e Carlos sul podio olimpico di Città del Messico 1968. Oppure il gesto deve essere facilmente comprensibile al primo sguardo, come la corsa disperata della bimba vietnamita che urla, completamente nuda, mentre il suo villaggio va a fuoco. Infine un gesto per diventare iconico può essere messo al centro di una discussione politico-sociale di alto livello, che fa confrontare i personaggi e le istituzioni che in quel momento guidano le sorti del mondo.
Quando Colin Kaepernick, prima si è seduto (era il 26 agosto 2016) e poi si è inginocchiato durante l’inno nazionale americano che suona ogni volta che c’è una partita giocata sotto l’egida NFL, il suo gesto diventa subito iconico e storico. E accade perché assorbe in sé addirittura tutte e tre le condizioni di cui sopra. Viene mostrato al mondo prima delle partite di NFL, che magari in Italia hanno poco seguito ma in USA, paese che in questo momento tutto muove, sono l’evento sportivo più importante che ci sia. In secondo luogo è un gesto che si comprende subito. Colin Kaepernick e tutti gli altri atleti dopo di lui con quel gesto vogliono criticare il Paese che fa issare quella bandiera e suonare quell’inno, perché hanno bisogno di far vedere il loro dissenso davanti a qualcosa che quel Paese sta compiendo, anzi che quel Paese è. Infine il gesto, attraverso i social media soprattutto, è diventato subito un caso nazionale e internazionale e ne hanno parlato e discusso tutti, dal successivo Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, in giù.
Quando Colin Kaepernick, quaterback della squadra di San Francisco 49ers, in quel periodo di fine estate decide di inginocchiarsi, lo fa per un motivo molto preciso. Lui stesso lo dichiara subito: “Non mi voglio alzare in piedi per mostrare orgoglio nei confronti di una bandiera di un Paese che opprime le persone di colore. Per me, questa è una cosa più importante del football e sarebbe egoistico da parte mia guardare dall’altra parte. Ci sono corpi per strada e persone che uccidono e se la cavano davanti alla legge”.
Kaepernick parlava della brutalità quasi ossessiva delle forze dell’ordine, che negli Stati Uniti usano due maniere molto differenti fra chi è bianco, magari ricco, e chi è di colore (qualsiasi colore) e magari povero. Pochi mesi prima, il 2 dicembre 2015, Mario Woods, nero di 26 anni, non aveva voluto gettare a terra un coltello ed era stato freddato con 20 colpi di pistola. Questo era solo uno dei tanti esempi, e negli anni successivi ne conosceremo tanti altri proprio grazie a quel gesto di Kaepernick, di violenza assurda della polizia americana.
Colin Kaepernick sfidava tutti, prima di tutto il suo Paese, poi il suo sport, poi i suoi sponsor, infine l’America che avrebbe votato poco dopo per Donald Trump, un’America arrabbiata e violenta. Per fortuna non rimase solo, fin dall’inizio. Nella partita successiva si inginocchiò il suo compagno di squadra, Eric Reid, poi Megan Rapinoe, la quale allargò la dimensione semantica del gesto, dichiarando che: “In quanto gay americana, so cosa significa guardare quella bandiera e sapere che nel Paese non si fa tutto il possibile per proteggere le libertà individuali”.
Poi fu la volta di Brandon Marshall, linebacker dei Denver Broncos, vedendo istantaneamente cancellato il suo contratto di sponsorship con l'azienda CenturyLink, Arian Foster dei Miami Dolphins, il quale ha spiegato meglio di chiunque altro cosa volesse dire quel gesto: "Io amo il mio Paese e tutte le libertà che permette, ma non posso lasciare che l'amore per un simbolo prevalga sull'amore per il prossimo".
Da lì in poi anche le star dell'NBA, degli altri sport americani, per arrivare addirittura in Europa sulle ali del Black Lives Matter e dell'omicidio di George Floyd anche nel calcio (con manfrine francamente stucchevoli e stupide durante gli ultimi Europei). Inginocchiarsi oggi vuol dire tanto. Vuol dire aver visto la deriva di un mondo senza approdi e volerlo portare su una rotta giusta, significa aver visto che il mondo è fatto di troppe differenze e volerle azzerare, significa aver visto un mondo violento e inumano e volerlo pensare almeno leale.
Colin Kaepernick vide tutto questo quel 26 agosto 2016 e ce lo ha mostrato con un gesto semplice ma profondissimo. Ora tutti noi vediamo quello che lui aveva già visto. Ci inginocchiamo e ne parliamo. Ma, come dice il Keapernick di oggi, è arrivato il momento di fare. Saremo forti, tenaci e capaci anche per fare il passo successivo?