Paola Egonu spiega cos’è il razzismo: “A 4 anni la maestra mi disse ‘Oddio, fai schifo! Ma quanto puzzi'”
Tra la Champions League di pallavolo col VafiBank e il palco del Teatro Ariston di Sanremo. Nei prossimi giorni la campionessa italiana, Paolo Egonu, puoi trovarla lì, accanto ad Amadeus (lo sarà effettivamente in occasione della terza serata del Festival) con il quale dividerà luce dei riflettori, sequenza degli artisti e accoglienza degli ospiti in scaletta. Smetterà per qualche ora i panni di opposto della selezione Azzurra di coach Mazzanti, prenderà il suo talento e lo mescolerà all'emozione, all'orgoglio di ritrovarsi sulla passerella dello storico evento canoro nazional-popolare.
Dall'Italia del volley era andata via un anno fa, lasciò il Paese tra rabbia e polemiche, quel senso di ingiustizia che si porta addosso perché ha la pelle nera e vi hanno strofinato sopra il razzismo come grani di sale. Brucia e fa male ancora, oggi come quando era una bambina di 4 anni e la maestra dell'asilo, dopo averla messa in castigo, le impedì di andare in bagno. Ci andò lo stesso ma non riuscì a trattenere la pipì e bagnò i vestiti.
Quando tornò, la donna "mi rise in faccia" e si sentì rivolgere queste parole: "Oddio, fai schifo! Ma quanto puzzi! E, per il resto del giorno, non mi ha cambiata – ha raccontati nell'intervista a Vanity Fair -. Non mi aiutò a cambiarmi, sono rimasta sporca fino all’arrivo di mia madre nel pomeriggio. Ancora oggi, a vent'anni di distanza, faccio fatico a usare una toilette che non sia quella di casa mia".
Quell'episodio è solo la punta dell'iceberg, fu come piantare un chiodo sulla coscienza di una piccola indifesa, che non capiva perché fosse diversa dagli altri compagni, perché dovevano farla sentire così, perché anche oggi a sua madre di chiedere un caffè al bar e "glielo servano freddo, che in banca lascino entrare la sua amica bianca ma non lei".
Paola Egonu è afro-italiana (come si definisce con orgoglio perché disse "una cosa non esclude l'altra") ma per ignoranza e sottocultura, che è dominante nel Paese negli aspetti più comuni della vita quotidiana, non lo è per davvero: non può essere connazionale perché non è bianca, perché i genitori sono di origine nigeriana, perché un conto è esserlo sulla carta e per legge, altro ancora è andare a fare le pulci a chi ti ha messo al mondo.
C'è un solo modo per definire questa situazione: si chiama razzismo ed è tale in tutte le sue sfaccettature, da quelle più brutali ad altre che si nascondono dietro i sorrisi falsi, atteggiamenti molesti, sguardi di disprezzo e un'indifferenza disumana. Alla pallavolista della Nazionale è capitato anche mentre indossava la maglia dell'Italia ai Mondiali quando, stanca e amareggiata, esplose per la delusione profonda: "Basta! Basta! Non puoi capire, è stancante. Mi hanno chiesto addirittura perché sono italiana".
E prese una pausa di riflessione dal sestetto azzurro per meditare sul futuro e se continuare a scendere in campo col tricolore addosso. "Succede che qualcuno mi dice la frase sbagliata e io mi domando: perché mai dovrei rappresentare voi? Poi però penso che provo emozioni molto belle, sono un esempio per tanti bambini". L'ex Presidente del Consiglio, Mario Draghi, parlò a lungo con lei al telefono dopo quello sfogo. Le istituzioni sportive le resero omaggio e le fecero sentire vicinanza emotiva.
Ma certe cose non le cancelli con le belle parole. Certe cose ti restano dentro e le ricordi per sempre perché ogni santo giorno è sempre la stessa storia. Certe cose ti portano a riflettere perfino sul desiderio di maternità e sull'opportunità di allevare un figlio in un mondo del genere:
"Se mai dovessi averne uno di pelle nera, vivrà tutto lo schifo che ho vissuto io. Se dovesse essere di pelle mista sarebbe anche peggio – ha aggiunto – perché lo faranno sentire troppo nero per i bianchi e troppo bianco per i neri. Allora mi chiedo: vale la pena, dunque, far nascere un bambino e condannarlo all’infelicità?".