Paola Egonu portabandiera di tutti: dirà al mondo che ognuno può essere quel che vuole
Lo sforzo di tante persone che devono esprimere il loro opinionismo obbligatorio soprattutto sui social media è per forza di cose ragionare intorno a delle categorie, categorie qualsiasi, basta che tutto si muova intorno a una logica incasellante. È una scelta, anzi è la scelta tendente verso la logica scientifica (delle scienze non predittibili, direbbe il filosofo Taleb), capace di creare appunto categorie di ragionamento su cui riflettere e con cui lavorare sulla realtà. Un’ultima applicazione che abbiamo visto in relazione al mondo dello sport immerso in quello sociopolitico è stata quella di chi ha scritto/detto: hanno scelto Paola Egonu come portatrice della bandiera olimpica perché è diversa sotto tutti i punti di vista, razziale e sessuale soprattutto, e si vuole lanciare un messaggio progressista.
Hanno scelto un’icona in poche parole. Ci sarebbero almeno due cose da dire in relazione a questo discorso. Prima di tutto che le istituzioni internazionali e non solo devono scegliere le icone del tempo, anzi devono scegliere le icone del tempo futuro, non possono esimersi se vogliono essere davvero agenti sociali. Quando il Giappone nel 1964 scelse come ultimo tedoforo chi era nato a Hiroshima il 6 agosto 1945, un'ora esatta dopo il lancio della bomba atomica, sceglieva un’icona quasi didascalica nella sua facile comprensione, il Giappone sceglieva la vita dopo la catastrofe.
Quando Barcellona scelse Antonio Rebollo e il suo arco per accendere la fiamma olimpica di Barcellona 1992 era in corso nelle società occidentali un ampio discorso sull’importanza dell’inclusione sociale delle persone con disabilità (un esempio su tutti, in Italia il 5 febbraio 1992 fu promulgata la Legge 104, “la legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate” che ancora oggi disciplina gran parte di questa materia). Quando a Sydney 2000 si sceglie l’aborigena Cathy Freeman è un chiaro messaggio che invitava a vivere in una nuova Australia, dove l’integrazione fosse totale e sostenuta dalle scelte politiche.
Ora che il CIO sceglie Paola Egonu come portabandiera olimpica fa la stessa cosa, sceglie un simbolo chiaro, evidente, cristallino per guardare verso un mondo che si sta costruendo. Perché una cosa la storia ci insegna da millenni, non si possono fermare le onde dello spirito del tempo, non si possono frenare, almeno per troppo tempo, i nuovi modelli sociali. Un’istituzione deve capirlo e farlo capire a chi non vuole farlo.
C’è poi una seconda cosa che riguarda Paola Egonu nello specifico e si ricollega al discorso iniziale. Continuare a incasellare e creare categorie di ragionamento è un processo logico stantio che però quello che il filosofo Byung-Chul Han chiama Dataismo, la nuova religione dei Big Data, ha perpetuato attraverso la digitalizzazione del vivere. Cerchiamo sempre più dati per conoscere la realtà, sminuzzarla in categorie comprensibili, per poi reagire passivamente attraverso rapide emozioni. Ma “i Big Data”, afferma Byun-Chul Han nel suo libro “Psicopolitica”, “sono privi di concetto e di spirito”.
Ecco in cosa mancano coloro che criticano la scelta del CIO riguardo a Paola Egonu. Non volano sopra i dati e le categorie percependo come a voler essere rappresentato è lo spirito del tempo che cambia, a cui, ripeto ancora, non è possibile porre freni (nemmeno orbanizzando il mondo). Paola Egonu non è stata scelta perché è un soggetto, che in questo caso vuol dire “sottomessa” a un senso, ma è un’esperienza semantica eretica, (e sarebbe piaciuta tanto a Deleuze la scelta) che è tutta unica, senza categorie, senza incolonnamenti.
Lo ha capito perfettamente proprio Paola, che ha dichiarato: “Rappresenterò tutti gli atleti del mondo”. Non è la bandiera di una categoria, è l’assenza di categorie che porterà in mano e sugli schermi del mondo durante la cerimonia d’apertura. Dirà al mondo: Io sono Paola. Tu puoi essere quello che vuoi essere, senza che nessuna ti possa carcerare in un aggettivo.