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Óscar De La Hoya, il più grande degli anni Zero, vuole ancora sorprenderci

Óscar De La Hoya è stato uno dei più grandi pugili del suo tempo, vincendo sei mondiali in sei categorie differenti, record incontrastato e difficilmente battibile anche in futuro. Ha combattuto contro Mosley, Whitaker, Trinidad e nella fase finale della carriera contro Floyd Mayweather Jr e Manny Pacquiao. Ma non gli basta ancora. Il 20 agosto 2020 ha annunciato che a 48 anni tornerà sul ring.
A cura di Jvan Sica
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Nel 1992 Tyson viene messo in prigione per accuse molto gravi che riguardano le molestie sessuali. In quel momento l’intero mondo della boxe ha uno scossone fortissimo e inizia una parabola discendente che non riguarda tanto i soldi che le girano attorno, ma quanto la passione popolare globale per uno degli sport più seguiti nel Novecento. Oggi la boxe sta ancora cercando di riaffermare il suo incredibile potere mediale che ha avuto dagli anni ’30 agli anni ’80, senza riuscirci pienamente ma con una luce nuova grazie a campioni, organizzatori e investitori di alto livello. Nella fase di mezzo che va dalla fine dell’età dell’oro a questa era di rinascita potenziale sono state poche le figure che hanno brillato a livello planetario, riuscendo a tenere su uno sport che per tanti motivi si immergeva sempre di più in una brutta melma di sospetti, combine, poca sportività e atleti mediocri. Fra le poche, quella di Óscar De La Hoya, che oggi compie 48 anni e vuole ancora farci una sorpresa, è una delle più riconosciute e splendenti.

Il grande pubblico americano e non solo conosce De la Hoya alle Olimpiadi di Barcellona ’92. Aveva già vinto i Golden Gloves del 1989, premio che riconosce il talento e la forza nel Paese che ha fatto grande la boxe, ma è solo con la vittoria dell’oro nei pesi Leggeri, battendo l’uomo che lo aveva superato ai Mondiali dilettanti l’anno prima, il tedesco Marco Rudolph, che De la Hoya può intraprendere il grande viaggio fra i professionisti e tenere fede al giuramento che aveva fatto alla madre Cecilia sul letto di morte, ovvero di portare a casa l’oro olimpico.

Atterra nel professionismo quest’ufo cresciuto a Los Angeles, è anche chiamato “The Pride Of East LA”, e detta subito la sua legge, ottenendo molto velocemente il titolo dei Superpiuma WBO e difendendolo anche contro l’italiano Giorgio Campanella, da cui subisce il primo KO della sua carriera. La categoria gli sta troppo stretta e nel 1995 passa ai Leggeri vincendo anche in questo caso il titolo WBO, per poi riunificare le cinture battendo Rafael Ruelas. Questo è il primo vero incontro di cartello di De la Hoya e lo vince schiantando un ottimo avversario al secondo round, segnale che quelli saranno i suoi anni dorati.

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Così accadrà, perché passa nei Superleggeri e nel giugno 1996 ha un primo scontro da incasso milionario, ovvero quello contro il messicano Julio César Chávez (all'epoca con il record mostruoso di 96-1-1 per il titolo WBC. Anche in questo caso il Golden Boy domina e al quarto round Chávez è fermato per quanto sangue fa esplodere sul ring a ogni colpo di De la Hoya. A 23 anni ha ben tre corone in tre diverse categorie di peso ed è a tutti gli effetti, pound for pound, ai primi posti di ogni classifica. Il passo successivo è entrare nei pesi Welter, cosa che farà ma per cui dovrà scontrarsi contro un altro grande pugile, Pernell Whitaker. Vince anche questo titolo nella quarta categoria differente e lo fa per decisione unanime con una differenziale fra i 4 e i 5 punti.

Decide di fermarsi in questa categoria storica e prestigiosa, anche perché l’obiettivo è riunificare la sua corona WBC con quella IBF detenuta dal portoricano Felix Trinidad, imbattuto e completamente all’opposto di De la Hoya in quanto ad aggressività costante e quasi violenta tenuta sul ring.
Il match del secolo vive una vigilia lunghissima, piena di momenti di marketing che lo rendono un evento davvero globale, e si tiene al Mandalay Bay Resort di Las Vegas. Parte forte De la Hoya, così forte che con il passare dei round frena a tal punto che la vittoria alla fine va per Majority Decision proprio a Trinidad. Óscar De La Hoya ha perso per la prima volta in carriera.

Dopo questa sconfitta molla di testa e la sua carriera inizia a prendere una brutta piega. Perde anche contro Shane Mosley e deve affidarsi a un nuovo allenatore, Floyd Mayweather Sr. (si proprio il padre del Pretty Boy e fratello di Jeff Mayweather, che De la Hoya aveva affrontato nel 1993 vincendo il match) e riparte.

Lo fa nei Superwelter, dove vince la sua quinta cintura mondiale in cinque categorie di peso differenti e dove affronta il re della categoria in quel momento, Fernando Vargas. Disputerà uno dei suoi match più belli, tornando ad affermare la sua grandezza e cerca subito il rematch contro Mosley. De la Hoya-Mosely II ci sarà il 13 settembre 2003 e il pugile di Lynwood vincerà di nuovo contro De la Hoya, togliendogli i titoli WBA e WBC.

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Un pugile normale mollerebbe, ma De la Hoya guarda ancora al gradino successivo e vuole tentare quello che a nessuno è riuscito, ovvero vincere il sesto titolo mondiale in sei categorie diverse. Scende in campo nei Medi e ce la farà, soffrendo tanto ma battendo il tedesco Felix Sturm per il titolo WBO. Come per le altre categorie in passato, anche questa volta tenta il colpaccio, cercando di riunificare le cinture sfidando il campione WBA, WBC ed IBF, l’altro grande pugile degli anni zero, Bernard Hopkins. Sarà una sconfitta netta per De la Hoya che dovrà subire la prima sconfitta per KO della sua carriera.

Per completare l’opera e passare il testimone a una nuova generazione di fenomeni nelle categorie leggere, affronta i due nuovi mostri, prima Floyd Mayweather Jr. e poi il filippino Manny Pacquiao. Perderà entrambe le sfide e sarà tra l’ottavo e il nono round del match contro Pacquiao, quando l’angolo di De la Hoya decide che è troppo vedere il proprio pugile subire una punizione così severa, che in pratica termina anche la carriera del Golden Boy.

Carriera, vita e fama da numero uno, ma prima abbiamo scritto di una sorpresa. Ed è così, perché il 20 agosto 2020, Óscar De La Hoya ha annunciato di voler tornare sul ring all’età di 48 anni. Niente è impossibile a un campione, come dice anche Michael Jordan, ma speriamo davvero di non vedere l’ennesima controfigura decadente degli anni belli, come accaduto a tanti altri prima di lui.

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