Mettiamola così: questa è solo una partita di calcio. Novanta minuti in cui i migliori (?) rappresentanti italiani e tedeschi di uno sport al collasso si affronteranno per continuare a competere per la conquista di un trofeo. Novanta minuti in cui a trionfare non sarà né la giustizia, né il merito, né la fortuna, né la tecnica, bensì piccole parti di tutto ciò. Novanta minuti di "sospensione del giudizio" di un'intera nazione, di istinto puro e razionalità a sprazzi. E non è poco. Ma è tutto.
Il resto non conta, non ha alcun senso. Perché non saranno undici "tizi in mutande" a riscattare l'orgoglio di una nazione, a mandare un segnale ai mercati, a farci dimenticare la crisi, a riconciliare gli italiani con il loro Paese. Non saranno loro a farlo, perché non possono e non devono. Senza replicare inutili tiritere moraliste sul Giovenale del terzo millennio "duas tantum res anxius optat panem et circenses"), sul moderno oppio dei popoli, il senso è più immediato e meno traslato: non prendiamoci in giro. Tifiamo, gioiamo, disperiamoci, sospendiamo il giudizio per 90 minuti, non uno di più. O magari perché no, riscopriamoci uguali ed uniti, passionali e felici, stanchi di inutili contrapposizioni e di tensioni indotte, dell'intolleranza e del nervosismo di chi "distingue gli uomini dal colore delle magliette". Lo so, è dannatamente banale, ma anche questo post durerà lo spazio di una partita di calcio, novanta minuti di uno sport al collasso. Come il nostro Paese. L'unica analogia sensata, purtroppo.