“Non ci stanno a perdere, che tristezza… fatti 6 controlli anti-doping”: via il fango da Jacobs!
Ci hanno provato a sporcare la gioia dell'Italia per lo splendido oro di Marcell Jacobs nei 100 metri alle Olimpiadi di Tokyo. Ci hanno provato americani e inglesi, con firme di autorevoli testate come Washington Post e Times a gettare lì mezze frasi sui mirabolanti progressi fatti dal 26enne velocista di Desenzano in pochi mesi: "Mai sceso al di sotto dei 10"03 prima del 2021, tempo che non gli sarebbe bastato nemmeno per accedere alla finale olimpica". Fango del tutto gratuito, non supportato da null'altro che invidia marcia del successo azzurro.
Parole che ricevono la risposta che meritano da parte dell'allenatore di Jacobs, l'ex triplista azzurro Paolo Camossi, che dal 2015 ha speso tutto se stesso per diventare tutt'uno col ragazzone nato ad El Paso e portarlo sul tetto del mondo, anzi sul monte Olimpo: "Le accuse di doping del Washington Post? Che tristezza, mi viene da sorridere – risponde al Messaggero – Con due record europei e due italiani in tre giorni, Marcell ha fatto praticamente 6 controlli anti-doping, e sono già 18 quest'anno. Queste insinuazioni non meritano risposta, anche perché vengono da un Paese che ha permesso a un atleta di arrivare alla squalifica per doping (parla del campione mondiale Christian Coleman, sospeso fino al 2022 per aver saltato due controlli, ndr), e che nella velocità ha il più alto numero di atleti bombati. Se uno migliora dev'essere per forza dopato? No, a meno che in un anno non metti dieci chili di muscoli e ti beccano positivo. La realtà è che non ci stanno a perdere. Sulla carta avevano l'oro in tasca con Trayvon Bromell, che neanche è entrato in finale; Ronnie Baker è arrivato quinto, e quello in teoria più debole, Fred Kerley, ha preso l'argento… Mi pare che finora l'unica squalificata per doping nell'atletica leggera sia una nigeriana (Blessing Okagbare, ndr), che si allena negli USA e con un americano".
Camossi spiega qual è invece la realtà che sta dietro la crescita di Jacobs: "Abbiamo fatto la scelta di spostarci a Roma, dove ci sono condizioni climatiche migliori rispetto al Nord e un Istituto di scienza dello sport che sta attaccato al campo. Lavoriamo con la tecnologia: fotocellule, riprese in 3D, optojump… Dietro la vittoria di Tokyo 2020 c'è un lavoro durissimo. La verità è che gli americani non accettano l'oro di un italiano nato in Texas!".
Quello che il tecnico non dice è poi il grande lavoro fatto sui problemi psicologici e sulla sfera personale del ragazzo, con la mental coach Nicoletta Romanazzi a spazzare via tutti i blocchi che impedivano a Jacobs di dare il meglio di sé, in primis il rapporto irrisolto col padre che lo aveva abbandonato da piccolo. E poi c'è la serenità familiare con la compagna Nicole, dalla quale ha avuto i figli Anthony di 2 anni e Meghan di 10 mesi (ne ha anche uno più grande, Jeremy, avuto da una precedente relazione): "Anche la sua mental coach ha detto che l'armonia familiare in certe situazioni può fare la differenza. Io seguo il suo regime, ascolto ciò che gli serve e lo aiuto a stare bene. Alla fine è il suo lavoro, è quello che ci fa mangiare. Davvero lo hanno accusato di doping? Non riesco proprio ad arrabbiarmi, mi viene solo da ridere – spiega alla Gazzetta dello Sport – Marcell è fissato con l'atletica pulita, che parlino pure. Una cosa così ci non tocca…".
Non poteva mancare anche una risposta più istituzionale, visto che si sta cercando di infangare il buon nome dell'Italia al livello più alto di fama planetaria: "Le considerazioni di alcuni vostri colleghi sono veramente fonte di grande dispiacere e anche imbarazzo sotto tutti i punti di vista – risponde a Radio Anch'io il presidente del CONI Gianni Malagò – Dispiace che qualcuno dimostri di non saper accettare la sconfitta. Parliamo di atleti che vengono sottoposti quotidianamente ai controlli antidoping e quando fanno un record tutto si raddoppia. Il numero dei test è impressionante. Per questo la mia è una difesa a spada tratta di Marcell".
Quanto al diretto interessato, Jacobs spiega bene alla Gazzetta cosa c'è dietro il suo miracolo, che miracolo non è, ma il frutto di tantissimo lavoro, aggiunto al suo talento: "Da settembre ho fatto un lavoro fantastico con la mia mental coach e sono riuscito ad arrivare alla finale molto concentrato. Non avevo nulla da perdere e tutto da guadagnare. E pure a livello tecnico sono migliorato, merito del mio allenatore. Col mio staff siamo stati i migliori e ci meritiamo tutta questa gioia". Sulla quale nessuno si deve più permettere di gettare ombre. Siamo i più veloci del mondo. Punto.