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Myriam Sylla: “Vomitavo dopo aver mangiato. La mia tutor capì e tolse le chiavi dalla porta del bagno”

Sylla si racconta a tutto tondo nel giorno dei suoi 30 anni, dagli inizi fino al tema del razzismo: “La medaglia olimpica una promessa a mia madre, ho sofferto di bulimia”
A cura di Ada Cotugno
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Myriam Sylla riesce a stento a trattenere l'emozione sfogliando le pagine del suo diario, custode di tutti i pensieri e fedele compagno di viaggio delle ultime due Olimpiadi. Tra le pagine si legge la delusione per l'eliminazione ai quarti di finale a Tokyo e la gioia immensa per la medaglia d'oro di Parigi dedicata a sua madre, scomparsa qualche anno fa: "La medaglia olimpica gliela avevo promessa. E non una medaglia qualunque, ma quella più preziosa". Ha dovuto faticare tanto prima di arrivare sul gradino più alto del podio, partendo dal basso e da una situazione familiare complicata. Poi è arrivato l'incubo della bulimia e l'intervento provvidenziale di una tutor che le ha cambiato la vita.

La pallavolista si è raccontata a cuore aperto a Vogue per festeggiare i suoi 30 anni e il titolo olimpico conquistato la scorsa estate in Francia, un traguardo che ha inseguito con tutte le sue forze anche quando i risultati sembravano non arrivare. Tra risate e lacrime ha parlato anche del razzismo e dello Ius Soli, un tema per il quale si batte fortemente.

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Sylla racconta l'incubo della bulimia

Giocare a pallavolo da bambina ha portato la sua famiglia a fare enormi sacrifici, ma il talento era cristallino e tutti hanno lavorato per aiutarla a continuare questo percorso. La svolta è arrivata quando a 16 anni ha ricevuto il passaporto italiano che le ha aperto le porte della Nazionale giovanile: "Fino ad allora dovevo andare in questura a Lecco per rinnovare il permesso di soggiorno, e questo significava arrivare alle 5 del mattino, mettersi in coda per scrivere il proprio nome su un foglio che, se già troppo pieno, ti costringeva a tornare il giorno successivo e fare tutto daccapo. Non esiste che, nel 2024, ci siano ragazzini e ragazzine che non possano completare la propria identità. Sono nati qui, cresciuti qui, mangiano e parlano italiano, eppure viene detto loro: “Eh no, siete nigeriani”. Magari non sanno niente del Paese di origine dei loro genitori, o magari sì… Ma chi se ne frega?!".

Poi sono arrivate le prime grandi occasioni, la lontananza da casa e la bulimia: "Quando sono andata via di casa per giocare a pallavolo, lontana dalla famiglia e dalla stabilità, ho iniziato a vomitare dopo mangiato. Come me, un’altra compagna. Io lo sapevo che era sbagliato". La svolta è arrivata grazie a una tutor che ha capito per tempo la situazione, aiutando le due ragazze: "Abbiamo cercato di aiutarci a vicenda per smettere. E per fortuna, quando la mia tutor intuì cosa stava succedendo, tolse le chiavi dalla porta del bagno".

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