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Mo Farah vittima di un atroce inganno da bambino, in Gran Bretagna illegalmente: “Ho un altro nome”

Mo Farah ha raccontato alla BBC la sua incredibile storia. Un passato terribile emerge dalle parole del mezzofondista quattro volte campione olimpico. Fu portato illegalmente in Gran Bretagna da piccolo costretto a lavorare come domestico. “Questo non è il mio vero nome”.
A cura di Fabrizio Rinelli
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Una storia da brividi, terribile se si pensa che a viverla in prima persona sia stato un bambino. Sir Mo Farah, mezzofondista e maratoneta britannico, quattro volte campione olimpico, la racconta con tutta la delicatezza del caso. In un'intervista alla BBC rivela il suo oscuro passato che si intreccia con una vicenda a dir poco tremenda. Tutti sapevano che Sir Mo era arrivato in Gran Bretagna da piccolo con i suoi genitori come rifugiato, dalla Somalia. Ma in realtà il suo racconto è totalmente diverso da questa versione ufficiale nota a tutti.

Nessuno dei suoi genitori è mai stato in Inghilterra, anzi, suo padre è morto durante la guerra civile e sua madre e i suoi fratelli vivono nella fattoria di famiglia nel Somaliland, nell'Africa orientale. "La maggior parte delle persone mi conosce come Mo Farah, ma non è il mio nome – spiega – La vera storia è che sono nato in Somaliland, a nord della Somalia, come Hussein Abdi Kahin. Nonostante quello che ho detto in passato, i miei genitori non hanno mai vissuto nel Regno Unito”. Il 39enne campione olimpico afferma di essere stato portato illegalmente a Londra da uno sconosciuto sotto falso nome dopo essere fuggito dalla guerra in Somalia. "Sono stato portato nel Regno Unito illegalmente con il nome di un altro bambino chiamato Mohamed Farah".

Una storia a dir poco scioccante che mette in evidenza delle vicende che forse ancora oggi noi tutti ignoriamo. Farah ha rivelato di ricordare una donna che aveva visitato più volte la casa per osservarlo. Gli è stato detto che lo avrebbe portato in Europa a vivere con i parenti. Fu anche informato che sarebbe stato ribattezzato Mohamed. Ma nel Regno Unito lo scenario fu diverso. “Avevo tutti i recapiti dei miei partenti e una volta arrivati ​​a casa sua, la signora me l'ha tolto di dosso e proprio davanti a me li ha strappati e li ha messi nel cestino, e in quel momento ho capito di essere nei guai". Farah spesso si chiudeva in bagno per piangere: "Mi dicevano che se avessi voluto rivedere la mia famiglia dovevo tenere la bocca chiusa" ha aggiunto. Se voleva mangiare doveva dedicarsi ai lavori domestici.

Insomma, una storia bruttissima per un bambino salvato però dalla sua grande voglia di scappare via, di correre. Ecco, proprio lo sport e la corsa sono stati i suoi grandi alleati. Fu iscritto a scuola dopo qualche anno e lì il suo angelo custode aveva una nome e un cognome: Alan Watkinson. Il suo insegnante di educazione fisica aveva ascoltato il bambino che gli aveva raccontato tutta la sua storia. Fu così che i servizi sociali affidarono Farah a un'altra famiglia somala. Non era la sua, ma quantomeno quell'incubo era finito. "Capiva solo la lingua dello sport" racconto il suo insegnante che lo aiutò poi anche ad ottenere la cittadinanza nel 2000. Al termine del documentario, dopo aver parlato in telecamera al vero Mohamed Farah, il campione olimpico spiega: "Non avevo idea di quante altre persone stessero esattamente vivendo ciò che ho passato io – ha detto – Quello che mi ha salvato è che potevo correre".

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