Matteo Zurloni: “Vi dico com’era davvero il Villaggio Olimpico a Parigi, c’è stato un po’ di folclore”
Per capire che cosa rappresenti Matteo Zurloni nel panorama dell'arrampicata sportiva bisogna far parlare per prima cosa i numeri: 4″490, 4″95, 5″023. Sono rispettivamente i tempi del suo nuovo record europeo ottenuto nella fase a qualificazione a Parigi 2024, il suo attuale record italiano e il record europeo ottenuto nella vittoria del 2023 contro Jinbao Long che gli è valso anche il titolo di attuale Campione del Mondo di speed. Il tutto conquistato in una manciata di stagioni: nato a Segrate, 22 anni, affacciatosi allo speed senior a 19 anni, Matteo Zurloni ha bruciato tutte le tappe portando il proprio nome e quello dell'Italia vette altissime.
Poi, bisogna far parlare proprio lui, Matteo, che si è raccontato ai microfoni di Fanpage svelando non solo il mondo dello speed e dell'arrampicata ma la sua vita, andando oltre il ruolo di atleta. Raccontando i suoi sogni, le sue ansie, le sue gioie e le sue – tante – affermazioni: "E' accaduto tutto velocemente, in un anno e mezzo o poco più, ancora non me ne sto pienamente rendendo conto". Ovvio, per chi sta gareggiando ad altissimi livelli solo dal 2022 ed è riuscito a imporsi nel panorama mondiale. Traendo spunto anche dalle delusioni, trasformando le sconfitte in una voglia di rivalsa, come alle Olimpiadi: "Ho perso la medaglia per due millesimi… Ora sono diventati il mio simbolo: un muro che sogno di abbattere il prima possibile".
Matteo, iniziamo ricordando una cosa: sei Campione del Mondo di arrampicata speed…
"Davvero… Non ci si rende nemmeno conto di quanto fai se non nel momento in cui te lo fanno notare altri e detta così, sì: è davvero tanta roba. Ti viene in mente tutto il percorso che si è dovuto affrontare e come ci si è ritrovati a questo livello. Di certo è una carica di autostima indescrivibile".
Ma come è nato Matteo Zurloni, oggi migliore al mondo nell'arrampicata?
"Diciamo che è quasi partito tutto senza un reale obiettivo, un po' per tenermi impegnato: da bambino mi ha da subito affascinato, con i percorsi che continuavano a cambiare, i colori, l'ambiente molto bello e particolare, visto che la primissima arrampicata in assoluto che ho fatto l'ho svolta in palestra. Poi, visto che anche i miei arrampicavano è diventata quasi prassi naturale farlo anche all'aperto su roccia. Non mi ricordo assolutamente la prima salita ma il flash che ho ben vivo è che ero rimasto attaccato con tutte le mie forze perché avevo una paura matta di lasciarmi andare".
Ma è stata l'arrampicata a chiamarti o sei stato tu a scegliere l'arrampicata?
"Secondo me è stata più una mia scelta consapevole. Avevo già fatto diversi sport, dal pattinaggio al nuoto e semplicemente ho poi coltivato quella disciplina che mi attirava di più e dove alla fine riuscivo anche meglio. La passione vera e propria è scoppiata in realtà solo molto molto tardi, quando avevo già 19 anni, nell'ultimo anno delle giovanili quando sarei dovuto fare il salto importante nella categoria senior e iniziare a fare gare serie e intraprendere una vera e propria carriera".
Facendo due conti, ha deciso della tua vita in un momento particolare per tutti: parliamo degli anni della pandemia per Covid. Ha influito?
"Sì, è stato un periodo particolare e mi sono chiesto effettivamente se fosse davvero ciò che volessi fare. Poi fortunatamente sono riuscito a partecipare alle prime gare, aggregandomi alla compagine azzurra in giro per l'Europa. Ho disputato delle gare pessime, ma quell'esperienza col senno del poi, di stare a fianco con altri atleti e campioni mi ha fatto capire molte cose e soprattutto mi ha fatto venire quella "fame" per migliorarmi e cercare di ottenere dei risultati".
Tu hai bruciato le tappe, sei diventato il migliore in un paio di stagioni: come ci sei riuscito?
"Sinceramente non mi ero posto alcun concetto di record anche se è vero che è accaduto tutto in breve tempo, nel giro di un anno, un anno e mezzo. Anche la chiamata nel gruppo sportivo della Polizia è stato determinante. un upgrade al quale mi devo ancora abituare del tutto. La mia idea è sempre stata quella di abbassare i tempi e già nel primo anno vedendo i progressi mi ero prefissato di scalare pian piano le classifiche. L'obiettivo era di migliorarmi sul fronte italiano ma c'è stata anche una coincidenza fortunata: questa crescita è coincisa poi con il diventare anche il primo in Europa, approfittando anche dell'esclusione dalle gare dei russi che hanno da sempre dominato le scene internazionali".
Adesso, dunque sei già sazio o ti sei posto immediatamente un nuovo obiettivo?
"Tieni presente che per ottenere i titoli italiani, europei e mondiali ho dovuto ripetere e migliorare quei tempi perché nel nostro sport se fai un record nazionale non vale a livello europeo – anche se migliore – e lo stesso vale se ne fai uno europeo, non vale come record mondiale. Ora mi sono posto subito un altro traguardo. L'ho anche immortalato sul mio profilo Instagram con la scritta "road to 4.5″ che indica il tempo che voglio raggiungere il prima possibile e che corrisponderebbe al nuovo record del mondo che ad oggi si è abbassato più volte durante le ultime Olimpiadi arrivando a 4.74".
Perché hai scelto la speed tra le tante specialità dell'arrampicata?
"Non lo so veramente. La scintilla può essere nata quando ho vinto la mia prima Coppa Europa senior nel 2022: dopo migliaia di errori, prove, tentativi, gare andate male e allenamenti estenuanti il vincere una prima volta in un contesto così importante contro avversari particolarmente forti mi ha fatto provare sensazioni uniche. Pochissimi secondi di gara ma che hanno avuto un valore determinante all'interno del mio percorso generale".
Hai detto tutto in pochissimi secondi: come avviene una gara di speed?
"Una sfida su una parete di salita composta da due percorsi che restano sempre gli stessi, in modo da avere un record omologato. La parete è pendente 5 gradi, con 11 prese per le mani e altrettante per i piedi. Si fanno due giri di prova, per testare la parete soprattutto se le gare sono all'aperto visto che le condizioni ambientali sono importanti, dal clima, all'umidità. Poi c'è la gara vera e propria con due turni di qualifica dove l'obiettivo non è vincere ma è fare il tempo più basso possibile, perché sono i dati su cui stilano le classifiche per le finali: i primi 16 accedono alla fase finale con scontri diretti, con gli ottavi, i quarti, le semifinali e la finale. Per vincere anche in quel caso basta arrivare prima dell'altro, non conta il tempo".
Ma ultimamente avete provato anche qualche nuovo format?
"Sì, si sta lavorando per rendere ancora più spettacolare il tutto. A Madrid per la prima volta si è provata la speed a quattro vie, creando più competizione visto che invece di uno alla volta ne vincono due, stile batterie di qualificazione. E abbiamo provato anche la staffetta, due a due, per il momento maschile ma si può fare benissimo anche mista".
Un'evoluzione che fa bene al movimento?
"Sicuramente sono scelte sensate e positive perché danno la possibilità a molti più atleti di competere ad alti livelli e dimostrare le proprie caratteristiche e qualità. Poi la staffetta è interessante perché trasforma l'arrampicata da disciplina rigorosamente individuale in una vero e proprio gioco di squadra, una novità assoluta che può far solo bene a qualsiasi sport".
E in Italia come vedi il panorama attuale dell'arrampicata?
"In Nazionale sono dentro da tempo oramai e posso testimoniare che c'è stata una crescita forte grazie al lacoro che sta facendo la FASI [la Federazione Arrampicata Sportiva Italiana fondata nel 1987, ndr]. Siamo tutti consapevoli che per arrivare ai livelli delle migliori Federazioni c'è ancora tantissima strada da percorrere, però siamo nella giusta direzione. Al momento c'è un richiamo e un interesse maggiore ma a livello di immagine si può certamente fare molto di più. Poi anche a livello strutturale si deve migliorare: al momento nel mondo dell'arrampicata circa l'80% di chi la pratica la fa come hobby, servono più figure professionali come i tecnici e un Centro Federale di riferimento per poter gestire a livelli alti una squadra nazionale".
Per diventare campione del Mondo e restare a livelli altissimi, quanto incide l'aspetto psicologico, mentale oltre a quello fisico?
"Di certo è fondamentale la preparazione fisica, visto che senza non si può ovviamente fare nulla se non stai bene. Senza la correlazione di un buon aspetto mentale, però non si va da nessuna parte: abbiamo degli atleti che potrebbero fare ottimi risultati, anche record europei o altro ma che cedono di testa e questo incide moltissimo. Essenziale è sapersi approcciare alla gara, riuscire a capire come gestire una salita e saperla tirare quando devi e puoi farlo. Io personalmente ho un mindset forte che mi porto dietro sin da piccolo anche grazie ad aver svolto altre discipline".
E la pressione, le aspettative, le delusioni: come le gestisci?
"Ci sono state gare effettivamente difficili. Forse è più il prima che il durante che può incidere anche se come sono fatto io riesco a essere spesso tranquillo. Però ci sono atleti che soffrono questo aspetto. L'anno scorso a Roma ad esempio per la nostra nazionale la pressione era altissima: si gareggiava in casa, si arrivava dalla mia vittoria al Mondiale che aveva enfatizzato l'evento e le aspettative attorno a tutti, anche perché c'erano le qualifiche per le Olimpiadi. Molti hanno sofferto particolarmente il momento ma fa parte di un campione e di un atleta riuscire anche a gestire quelle situazioni particolari".
A proposito di situazioni sotto pressione, le Olimpiadi: come le hai gestite?
"Ho capito che avere un pubblico così grande e tanta visibilità mi piace. Non sapevo le mie reazioni, poteva anche capitare che con tutti quegli occhi addosso mi potessi esprimere non al meglio e invece quando mi son trovato lì ho sentito solamente una fortissima energia che andava verso la mia direzione. Io in gara sono fortemente concentrato, quasi mi escludo: preparo tutto e penso alla gara. A Parigi mi son concesso invece sempre quell'attimo per godermi il momento, guardare il pubblico, salutarlo e sfruttare quella sensazione a mio vantaggio. E' stato anche speciale per il nostro sport, vedere tutte quelle persone che ci seguivano e credo che abbiamo lasciato un signor segno della speed alle Olimpiadi".
Dunque, le polemiche su come era organizzato il Villaggio Olimpico, tra letti, aria condizionata e cibo? Nulla di vero?
"Son conscio che gli atleti che magari venivano dall'Olimpiade precedente a Tokyo facessero un confronto e abbiano sentito tantissimo le differenze, in negativo. Anch'io sono stato molte volte in Asia a gareggiare e mi sono reso conto che fanno tutto molto in grande non lasciando assolutamente nulla al caso. Però per me che erano le mie prime Olimpiadi assolute non ho avuto un impatto negativo. Avevo la mia dieta da seguire e sono riuscito a farla senza problemi: c'era di tutto e da tutto il mondo per mangiare. E tutto il resto era a posto".
Non c'era bisogno di dormire sul prato per letti scomodi o troppo caldo?
"I letti in realtà erano comodi e anche la questione sull'aria condizionata non l'ho percepita personalmente. Anche perché io mi sono allenato per tutto il mese precedente nella mia palestra a Milano e faceva decisamente molto più caldo che a Parigi. Più che polemiche direi che c'è stato un po' di folclore, ci sta alla fine, ma non credo abbia inciso sulle prestazioni di nessuno".
Cosa ti porti dietro da Parigi 2024?
"Sono riuscito a dare un simbolo preciso a quei due millesimi per cui ho perso. Diciamo che sì, avrei potuto alla fine fare una medaglia era nelle mie possibilità se fossi riuscito a svolgere fino in fondo la mia gara. Ma alla fine li ho visti come un simbolo che sta lì a ricordarmi che c'è ancora molto da fare e migliorare: alla fine i tre sul podio se lo sono meritato tutto, scendendo sotto il 4.80. E' un muro, momentaneo ma presente, che nei prossimi anni so che dovrò superare".
E i nuovi obiettivi per il 2025?
"E' tosta, perché nel periodo invernale è sempre il momento più duro per noi scalatori. Si lavora sulla tecnica, sulla testa, su mille aspetti. Senza le gare magari hai meno stimoli e ritorna il discorso della tenuta mentale e delle motivazioni: il solo allenamento è forse ancor più difficile da gestire rispetto alle gare in sé. In questo 2024 la mia crescita maggiore è stata proprio sul profilo mentale: è l'elemento vero che mi ha permesso di confermarmi in ogni gara di quest'anno ai massimi livelli. Ed il fatto di aver realizzato e che sto metabolizzando che ora sono davvero tra i più forti in assoluto mi ha dato ulteriori sicurezze e certezze: guardo meno gli altri e penso alla mia gara e alle mie qualità sapendo di poter vincere. Ora si punta a prendersi qualche medaglia in Coppa del Mondo, visto che sono riuscito a prendermi un secondo posto nella generale ma senza neanche una medaglia al collo"