Matteo Piano: “Ogni tanto mi arrabbiavo con la pallavolo. Ora vorrei lavorare in TV, ho un sogno”

Matteo Piano dal 2017 è un centrale della Powervolley Milano. Prima ha giocato per Piacenza, Città di Castello e Modena. Per anni ha indossato anche la maglia della nazionale vincendo un bellissimo argento olimpico a Rio de Janeiro nel 2016. Oggi, a 35 anni, dice basta con la pallavolo. Si racconta a Fanpage.it.
A cura di Giorgia Venturini
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Matteo Piano dice sempre quello che pensa. Lo fa quando gli chiedi perché dopo anni e anni di pallavolo ha deciso di dire basta. Lo fa quando gli chiedi cosa vorrebbe fare ora: "Mi piacerebbe la tv. Tutti mi dicono che sarei bravo. Ho fatto le Olimpiadi, ora punto a Sanremo". Scherza (o forse no? Lo scopriremo nel tempo).

Incontriamo Matteo Piano prima di un allenamento nel palazzetto Allianz Cloud (Milanosport) a Milano: lui dal 2017 è un centrale della Powervolley Milano. Prima ha giocato per Piacenza, Città di Castello e Modena. Per anni ha indossato anche la maglia della nazionale vincendo un bellissimo argento olimpico a Rio de Janeiro nel 2016. Oggi, a 35 anni, dice basta con la pallavolo. Si racconta a Fanpage.it in un palazzetto vuoto che durante le partite però si riempie di tifosi che quando si rivolgono a lui gridano: "Capitano! Capitano!".

Matteo, quando hai deciso che è arrivato il momento di smettere?

La scorsa estate. Ho fatto l'intervento al menisco dopo la Coppa Italia: l'ennesima operazione. Sentivo che era arrivato il momento di smettere.

Più una decisione mentale o fisica quindi?

Un po' entrambi. Dal punto di vista fisico avrei potuto reggere sicuramente ancora. Anche se sto dietro al mio fisico da così tanti anni…Ho avuto così tanti infortuni che il mio corpo mi chiede tanto. Ogni tanto mi annoia vedere la leggerezza di alcuni miei compagni che non hanno mai avuto problemi.

Chi è la prima persona a cui hai detto di aver deciso di smettere? 

Non so chi sia stato. Anche perché è da dieci anni che dico che smetto.

Quindi ogni tuo allenatore sapeva che con loro poteva essere l'ultima stagione?

No (ride). Ogni tanto mi arrabbiavo con la pallavolo. O meglio, con me stesso. E mi dicevo: basta, faccio gli ultimi anni e arrivo a 30 anni. Il momento più difficile è stato nel 2018 quando ho avuto problemi al tendine d'Achille: è stato l'unico infortunio che mi ha messo a dura prova. Poi a 29 anni ho avuto questa illuminazione quando eravamo in Giappone e lì ho capito che "cavoli, gioco bene a pallavolo".

Hai scoperto che sai giocare bene a pallavolo a 29 anni? 

Pensa te! Ero in riva al mare ad Hiroshima. Stavamo facendo la World Cup e io ero capitano: ho pensato che stavo bene al mondo con me stesso, con quello che sono e come giocavo a pallavolo. Ma anche adesso penso che se dovessi contare solo sulla mia grinta potrei giocare altri 15 anni, fino a 50. Perché ne ho e mi piace.

Poi però c'è tutta una serie di cose. Alla fine ho dato tutto nella pallavolo: non credo devo imparare ancora qualcosa in questo ambiente e anche a livello di ambizione mia personale, penso di aver preso tanto. Non tutto forse, ma tanto.

E cosa è mancato?

Direi niente. I rimpianti li hai quando non hai dato tutto. Poi ti dico: volevo vincere le Olimpiade? Sì, ma sai quante cose vuoi fare nella vita? Quindi è andata bene così, è stato un bel argento quello a Rio nel 2016. Alla fine non sono un rosicone.

Neanche quando la nazionale maschile di pallavolo ha vinto l'oro mondiale nel 2022?

No, ero contento e ho scritto ai ragazzi. Magari un po' mi dispiaceva per quell'ego che credo ognuno di noi abbia. L'ho detto platealmente fin da subito. Ma è vero, io non ho mai vinto un oro con la nazionale. Quindi ero molto contento per i ragazzi che sono anche miei amici, ma mi dicevo anche ‘cavolo che peccato'. Mi è durata tre giorni. Alla fine però non puoi avere tutto. Tutto e sempre.

Cosa vorresti fare ora che smetti con la pallavolo?

Vorrei fare radio e televisione. Vorrei fare qualcosa con il mondo dello spettacolo in generale. Quello che ho fatto con la pallavolo è stato il mio palco, per comunicare. Mi piacerebbe farlo ora in radio per parlare di vita e anche un po' di sport. Poi mi piacerebbe un programma televisivo. Non lo escludo.

L'idolo della tv da cui potresti imparare?

Ma ce ne sono tantissimi. Non l'ho mai fatta io. Amadeus mi piace molto.

Quindi vorresti andare anche a Sanremo?

Dopo l'Olimpiade, Sanremo è un sogno (ride)

Da cantante o da conduttore?

Da tutto guarda. Da cantante devo studiare tanto, veramente tanto. No dai scherzo. Si inizia con umiltà. Penso che alla mia psicologa verrebbe un colpo se le dicessi ‘dopo le Olimpiadi faccio Sanremo'.

Tu sei di Asti. Senti il bisogno di tornare ogni tanto a casa soprattutto a fine carriera e riprenderti magari quegli anni in cui sei rimasto lontano dalla famiglia per la pallavolo?

No, quello no. Io ho avuto la fortuna e la capacità enorme di rimanere sempre attaccato ad Asti. Sono andato via da casa che ero maggiorenne, dopo che ho finito il liceo. Sono sempre tornato a casa, qualsiasi giorno libero io avessi. Ho avuto la fortuna di mantenere sempre le mie amicizie di Asti, che è una cosa pazzesca.

Anche in una delle ultime partite che ho giocato qui a Milano ci sono state 30 persone della mia città. Per i miei amici sono sempre stato Matteo. Forse la cosa più bella che mi sia capitata: l'amicizia è uno di quei valori che devi costruirti da giovane. Mi dicono che con il mio ritiro è finita un'era.

Poi il mondo della pallavolo ti ha regalato altre amicizie. Come quella con Luca Vettori (anche lui ex pallavolista della nazionale) con cui hai fondato Brodo di Becchi, un progetto etico che vi porta anche in giro per il mondo.

Luca è stata forse la persona con cui sono riuscito a esprimere tutta quella parte extra sportiva di cui avevo un bisogno enorme. Ci siamo trovati, ho iniziato a fare radio con lui. Lui è stato anche un mio compagno di viaggio nella pallavolo incredibile. Brodi di Becchi è stata un po' la nostra salvezza, un'alienazione dal mondo sportivo. Anche per essere più leggeri.

Abbiamo fondato questa radio perché volevamo parlare di altre cose che non fosse solo sport. Noi abbiamo fatto web-radio, podcast, poi abbiamo fondato un brand di moda etica con un progetto in Congo. Quindi abbiamo unito tanti tipi di artigianato.

Passerai alla storia anche per la tua battuta…

Ti piace? Mi avevano insegnato a portarmi la palla davanti prima di battere. Col tempo l'ho portata sempre più in alto e c'è stato un momento in cui avevo il braccio completamente disteso verso l'alto, come la Statua della Libertà. Torno a Modena dal mio allenatore Angelo Lorenzetti e mi dice: ‘Ma io non ti ho insegnato questa cosa qua'.

E ho inserito quindi un rimbalzo a terra durante la battuta che ho sempre fatto più forte. Mi fa ridere perché ogni tanto i miei compagni mi prendono in giro perché rimbalzo la palla talmente forte che mi chiedono come sia possibile che non mi scivoli. Ogni tanto mi è venuta l'ansia. Qualche ace però l'ho fatto, rimarrò alla storia anche per la battuta. Sicuramente unica.

Il momento più bello della tua carriera?

La festa che mi hanno fatto qui a Milano dopo una partita per salutarmi. Me la ricorderò per tutta la vita, è stato un raccogliere forse tutto quello che ho seminato. Poi ci sono tanti altri momenti: le Olimpiadi di Rio, è stata pazzesca. Ma anche la prima Coppa Italia vinta con Modena e la Challenge Cup con Milano. Ho fatto delle scelte. Anche adesso. Smetto di giocare, sono felice? Sì. Mi mancherà? Sì, tantissimo. Sarò triste? Può essere. Io comunque amo la gente attiva. Amo la gente che si prende delle responsabilità e che fa delle scelte. Se no…che palle!

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