Lyles positivo al Covid abbraccia i suoi avversari dopo l’arrivo dei 200, Michael Johnson lo attacca
Noah Lyles non è riuscito a piazzare la doppietta da leggenda alle Olimpiadi, arrivando solo terzo nei 200 metri dopo l'oro nei 100, ma il suo bronzo è comunque un'impresa non da poco considerando che subito dopo l'arrivo della finale di Parigi, vinta da Tebogo davanti a Bednarek, l'istronico americano è apparso completamente svuotato di energie, al punto di dover essere portato via in sedia a rotelle. La verità sulle sue condizioni è emersa quasi subito, in diretta TV per bocca della mamma e poi confermata ufficialmente: Lyles aveva appena corso col Covid, contratto dopo la finale dei 100. Ha stretto i denti, confortato dal via libera dei medici, e ha dato tutto pur non essendo chiaramente al meglio. La sua partecipazione alla finale ha peraltro sollevato polemiche: in molti hanno accusato la delegazione statunitense di non aver ritirato l'atleta, così come ha destato perplessità la condotta di Lyles che dopo il traguardo ha abbracciato e stretto la mano agli avversari, in primis l'oro Tebogo.
Il 27enne della Florida dal canto suo ha dichiarato di essere orgoglioso di se stesso e di non avere rimpianti per aver corso col virus in corpo, nonostante l'inevitabile rischio di diffonderlo ad altri atleti: "Mi sono svegliato presto, verso le 5 di mattina di martedì (la finale dei 100 metri è stata domenica sera, ndr), sentendomi davvero male – ha detto Lyles dopo essersi un po' ripreso, indossando una mascherina – Sapevo che non era una dolenzia dovuta ai 100 metri, era qualcosa di più. Il mio primo pensiero è stato di non farmi prendere dal panico, sono stato in situazioni peggiori. L'ho affrontato giorno per giorno, ho cercato di idratarmi il più possibile. Direi che ha avuto il suo prezzo, di sicuro, ma non sono mai stato così orgoglioso di me stesso venendo qui e prendendo un bronzo".
Lyles: "Mi sono detto che non avrei trasmesso il Covid". Ma poi saluta gli avversari
Gli è stato chiesto se avesse preso in considerazione l'idea di ritirarsi e Lyles ha risposto con decisione: "No, No. Abbiamo solo detto che saremmo rimasti in quarantena il più possibile e che non avremmo cercato di trasmetterlo". Parole che cozzano un po' col suo comportamento dopo la fine dei 200, quando probabilmente l'adrenalina del momento e lo spirito olimpico gli hanno fatto dimenticare le cautele opportune con i suoi avversari, andando a salutarli e complimentarsi con loro prima di crollare al suolo sfinito.
Lyles ha poi ammesso che il virus potrebbe costringerlo a saltare la staffetta 4×100 in programma venerdì: "Al momento non lo so, mi sento più propenso a lasciare che il Team USA faccia il suo dovere. Hanno dimostrato di potercela fare senza di me".
Michael Johnson attacca sulla decisione di correre: "Il Covid è ancora pericoloso"
L'ex campione americano Michael Johnson è stato molto critico nei confronti di Lyles, intervenendo come opinionista alla BBC. L'ex mitico quattrocentista non ha usato giri di parole per mettere in discussione la decisione del velocista di correre i 200: "Molto bizzarro, il Covid è ancora una malattia pericolosa. L'intera faccenda è davvero strana. Ci sarà tutta questa storia con gli odiatori di Noah in giro, lui si è messo nei guai. E ci saranno anche persone che diranno che non è reale e che sta fingendo o cose del genere. Ma tralasciando questo, avere il Covid e venire qui e stare a stretto contatto con altre persone… so che probabilmente non c'è una politica per queste cose nei Giochi di Parigi, ma moralmente non sono sicuro che fosse corretto".
Gli avversari di Lyles non sapevano nulla: "Perché dargli un vantaggio?"
Ed in effetti non ci sono regole che costringano gli atleti a ritirarsi dagli eventi: per le Olimpiadi di Parigi tutti i protocolli anti-Covid sono stati abbandonati. All'inizio di questa settimana è stato segnalato che oltre 40 atleti erano risultati positivi al virus. Lyles in seguito ha detto che gli altri concorrenti non erano a conoscenza della sua condizione: "Abbiamo cercato di tenercela stretta. Lo staff medico, il mio allenatore e mia madre lo sapevano. Non volevamo che tutti andassero nel panico. Volevamo essere in grado di competere. Volevamo essere in grado di renderlo il più discreto possibile e non vuoi dire ai tuoi concorrenti che sei malato. Perché dovresti dare loro un vantaggio?". Parole che hanno ulteriormente sollevato critiche nei suoi confronti sui social.