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Olimpiadi Parigi 2024

L’ultima rivale battuta da Khelif si comporta come nessuna aveva fatto: Imane ora è davvero felice

Quel che accade alla fine dell’incontro di boxe alle Olimpiadi tra l’algerina e la thailandese Janjaem Suwannapheng insegna cos’è l’onore e il rispetto nonostante la bufera mediatica su Khelif. Venerdì il match per l’oro con la cinese Yang Liu.
A cura di Maurizio De Santis
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Janjaem Suwannapheng è la pugile sconfitta da Imane Khelif nella semifinale della boxe femminile (categoria 66 kg). È uscita di scena con una medaglia (bronzo), con l'onore e il rispetto che ha meritato (e ha mostrato verso l'avversaria ricevendone altrettanto) per un incontro combattuto fino allo stremo.

La decisione unanime dei giudici di gara, però, ha vanificato ogni suo sforzo di competere per il metallo più prezioso: l'esperienza alle Olimpiadi di Parigi s'è infranta contro l'algerina che, nonostante la pressione mediatica per le polemiche furibonde sull'identità sessuale (nel polverone c'è finita anche l'italiana Angela Carini), s'è spinta fino a un passo dal podio più alto. Lo contenderà alla cinese Yang Liu nella finale di venerdì 9 agosto.

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L'atteggiamento della pugile thailandese: insegna onore e rispetto

Nonostante la grande delusione, il comportamento della boxeur thailandese è la migliore risposta si possa dare per smorzare la campagna mediatica che s'è scatenata nei suoi confronti, complici anche le implicazioni politiche e la lotta di potere tra l'IBA (che la definisce "un uomo" per una questione cromosomica e ormonale) e il CIO sulle regole e il futuro dei guantoni a livello internazionale.

Esce dal ring battuta, lo fa con compostezza e umiltà

Il braccio alzato dall'arbitro è quello di Khelif, Suwannapheng china il capo ma incassa il colpo con molto fairplay. Quel che avviene dopo restituisce un po' di serenità e la giusta dimensione sportiva a una disciplina olimpica nell'occhio del ciclone.

La thailandese, che s'è avvicinata alla sfida senza alzare i toni (come aveva fatto l'ungherese Hamori), abbraccia l'algerina e si complimenta con lei ma non abbandona subito il quadrato: prima va verso l'angolo della nord-africana e stringe le mani al suo staff, fa altrettanto verso l'arbitro, congiunge le mani in segno di preghiera e fa un inchino verso il pubblico, alza le braccia e saluta poi si avvicina ancora una volta a Khelif. Le rivolge un ultimo sguardo e le stringe la mano.

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Il gesto di Khelif in segno di riguardo verso l'avversaria

Molto bella anche la compostezza della vincitrice: è seduta sulle corde, aspetta che l'avversaria vada via, le rende l'onore delle armi (come si dice in gergo) e solo dopo averla congedata con lealtà torna al centro del ring abbandonandosi a un'esultanza più sfrenata, comprensibile per quanto accaduto e per essere giunta ormai a un passo dal sogno di infilare al collo la medaglia d'oro.

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"Non mi interessa cosa dice la gente su di me – le dichiarazioni a caldo di Khelif -. L'unica cosa a cui penso è solo restare a un alto livello di competitività e, grazie al mio talento, dare al mio popolo la più grande soddisfazione che merita per tutto l'appoggio che sto ricevendo". E sulle ali di questo entusiasmo è stata accompagnata dai cori d'incitamento ricevuti al termine dell'incontro che le ha spalancato la finale per l'oro. Tutto il resto è solo un brusio molesto non scalfisce né il suo animo né la sua storia.

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