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Luca Rambaldi: “Le Olimpiadi di Tokyo furono un lutto: la morte di Filippo, i litigi, il fallimento”

Luca Rambaldi si è raccontato a Fanpage rivivendo i suoi successi nel canottaggio e i momenti più duri, che ha saputo sempre superare con il piglio del campione: dall’operazione che lo portò vicino al ritiro, al dramma della morte di Filippo Mondelli, al fallimento di Tokyo. Fino alla chiusura del “cerchio” con l’argento di Parigi. Sognando Los Angeles..
A cura di Alessio Pediglieri
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Luca Rambaldi a Parigi 2024 ha chiuso un cerchio "magico", con un Olimpiade che lo ha visto festeggiare uno dei successi personali e sportivi più significativi di una intera carriera di canottaggio: "Più che un oro perso, un argento guadagnato", ama ricordare raccontandosi a Fanpage. "Nel ricordo di Filippo" aggiunge Luca, "con quel tricolore sventolato al cielo che era poggiato sulla sua bara".

Filippo è Filippo Mondelli scomparso dopo una lunga malattia nell'aprile 2021, amico e compagno di Luca: insieme vinsero tutto. Poi il dramma, umano e sportivo da superare e pochi mesi più tardi, il disastro dei Giochi di Tokyo: "La vissi malissimo, per me fu peggio di un lutto". In mezzo tanti successi di un talento in grado di bruciare le tappe, capace di alzarsi di fronte ad ogni caduta, per salire più in alto: "Sono stati più i giorni in cui mi chiedevo chi me lo ha fatto fare… Nel 2014 mi avevano detto che non avrei mai più remato ma ho sempre trovato la forza in me stesso per non fermarmi mai". Fino ad oggi, dove il sogno proibito si chiama Los Angeles: "Chi non vorrebbe parteciparvi? Ma ora penso ad arrivare in perfetta forma per l'estate per i Campionati Italiani e il Mondiale".

Sei stato talento precocissimo, iniziando a 9 anni, ma sei diventato canottiere quasi per caso: ci racconti cos'è successo?
Son sempre stato uno sportivo, ho iniziato col calcio ma ero sempre per terra, poi mi son detto: mi piace lo sport, la bici, pattinare… provo qualcosa. E così per casualità ho provato canottaggio tramite un volantino, i miei mi han dato fiducia e mi è piaciuto subito. In realtà non avevo mai pensato al canottaggio: alla fine sono stato spinto dalla curiosità e mi son trovato bene. C'era un bel gruppo di amici, si stava in mezzo alla natura e ci avevo preso gusto con le prime gare da bambino che erano andate subito bene…

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Tra gli juniores sei stato un portento: a 15 anni sei già pieno di medaglie. Come hai vissuto quel periodo, come lo ricordi?
Anni bellissimi, con tanti sacrifici e un bel po' di egoismo: pensavo molto a me stesso. Ma l'atleta in quanto tale dentro sé dev'essere egoista, a livello sano, per migliorarsi e costruire qualcosa a lungo termine. Ho raggiunto ciò che avevo iniziato a sognare, pensavo cosa avrei fatto e dove volevo essere nel futuro. A volte ho avuto problemi e difficoltà ma sin da subito avevo le idee chiare su che cosa volevo essere

Nel 2013 la svolta, hai 19 anni entri in Nazionale e ti prendi il bronzo agli Europei di Siviglia: ci racconti quelle emozioni?
Già nel 2012 il direttore tecnico mi aveva convocato come capovoga per gli Europei senior il tutto da under19… non da poco perché nel canottaggio più che in altre discipline l'età la fa da padrone perché lo sviluppo fisico lo si raggiunge solo ad un certo punto. Il 2013 è stato l'anno della maturità sportiva e personale: mi sono diplomato, ho preso la patente e andai agli Europei a prendermi il bronzo.

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Poi, l'ulteriore upgrade, quando entri nel GS Fiamme Gialle, cosa rappresenta per te?
Mi han dato sempre grande supporto e indosso la divisa con estrema fierezza e continuerò a farlo anche dopo la carriera sportiva. Ti sottolineo subito una cosa: quando abbiamo vinto a Parigi l'argento l'equipaggio era tutto composto da atleti che provenivano dalle Fiamme Gialle, una cosa unica. Di solito ci sono diversi gruppi sportivi rappresentati ma lì no: un esempio di professionalità, lungimiranza, gruppo unici.

Il momento forse più duro è nel 2014: vieni operato e la carriera è a rischio. Come lo ricordi quel periodo?
Il 2014 fu l'anno del niente… In quell'anno venni operato alla schiena e i dottori mi dissero che ero come un calciatore che si era rotto il crociato e che difficilmente sarebbe tornato a giocare. Non ci ho voluto credere, non mi sono arreso e mi son detto: "questo è quello che dite voi dottori". Appena sono stato un po' meglio sono tornato in acqua e ci hi riprovato per dimostrare a me e a tutti che potevo rientrare in squadra.

Da quelle difficoltà che insegnamento hai tratto?
Le vittorie ti danno euforia e gioia, le sconfitte e i problemi frustrazione. Ma insegnano tanto e ho imparato a capire cosa prendermi dai successi e come gestire i fallimenti, senza mai abbattermi o eccedere nella gioia. Perché alla fine bisogna gestire le emozioni. Il rientro è stato lento e difficile. Le gare erano andate abbastanza bene nel 2015, ero riuscito a fare  un percorso in crescita. Poi all'ultimo, dopo essermi qualificato alle Olimpiadi, decisero di escludermi dal Mondiale, scegliendo un altro atleta.

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Mai pensato di smettere?
Devo ammettere che sono state più le giornate nel mio percorso in cui mi sono ripetuto "ma chi me lo fa fare", "perché ho scelto questo sport", "ne vale la pena continuare?". Nessuno mi ha obbligato alla fine, avevo dentro un fuoco e volevo dimostrare che il talento che da bambino vedevano in me: lo dovevo a me e a chi credeva in me. Nel 2016 ritorno in acqua, ma le cose non vanno bene. Non vado alle Olimpiadi malgrado fossi il terzo atleta della vogata di coppia maschile, nemmeno come riserva. Una frustrazione pesante perché mi ritenevo abbastanza pronto.

Perché Luca Rambaldi non ha mollato?
Mi sono fatto aiutare. Il 50% è l'atleta di suo, sia sul fronte fisico sia sul fronte psicologico ma il resto lo devi ricercare all'esterno, eventualmente da uno specialista. La centralina di tutto è il cervello e ha bisogno di cure: non solo quando c'è un problema per superarlo ma anche quando le cose vanno bene, per fissare gli elementi positivi e ricordarsele al momento giusto.

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È stato complicato affrontare quel percorso?
Sì, da noi la cura del benessere mentale viene vista ancora un po' come un elemento accessorio, marginale. Si dice sempre che l'atleta dev'essere duro di testa, un martello, convinto, saper soffrire e reagire alle sconfitte e basta. Ma non è così e in Italia questa "mental wellness" viene vista ancora con leggerezza, quasi non necessaria e spesso bisogna ricorrerci in modo privato, di nascosto, visto che queste figure professionali non vengono messe a disposizione dalle società.

E tu cos'hai fatto?
Io ho avuto bisogno di un supporto del genere e l'ho cercato quando nel 2021 è arrivata quella che posso serenamente definire la debacle di Tokyo: io da quelle Olimpiadi ne sono uscito peggio di un lutto, peggio che mi fosse morto un familiare, ero davvero a pezzi. Lì è stata veramente pesante, l'ho vissuta malissimo, ci sono state anche delle discussioni interne e mi sono ritrovato da solo. Ho cercato appoggio infine anche da uno psicologo che mi ha dato una vera e propria terapia sia materiale, con un aiuto farmacologico, sia mentale, affrontando i problemi e parlandone. Tutto ciò mi ha aiutato tantissimo e col tempo quella che era una ferita aperta si è trasformata in una cicatrice. C'è ma si è chiusa, ho imparato a conviverci.

Dal 2017 in poi si ritorna a sorridere: il 2018 è stata la tua migliore stagione?
Nel 2017 mi son detto: voglio tornare un punto di riferimento della squadra ma anche in quel caso non sono stato molto ascoltato, a dire la verità, nonostante i miei test e le prove in barca erano sempre tra i migliori. Mi hanno rigirato qua e là mai con le prime scelte finché per caso, sono stato messo con Filippo Mondelli. Anche lui in quel momento era stato scartato anche lui dal settore di punta.

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E con Filippo è scattata la magia…
Ci mettono insieme per caso e da subito incominciamo ad andare veramente forte. Convinciamo il direttore tecnico che ci schiera titolati e vinciamo l'Europeo in Repubblica Ceca. Da lì, il 3° posto in Coppa del Mondo a Lucerna e un 3° posto al mondiale. L'anno successivo andiamo a rinforzare il 4 di coppia e con un equipaggio molto giovane, età media 22 anni vinciamo subito tutto: l'Europeo, Coppa del Mondo e Mondiali. Anni straordinari, anni gloriosi.

A proposito di Filippo Mondelli, cosa accadde in quella primavera del 2021?
Eravamo in ritiro per le Olimpiadi di Tokyo, era fine aprile, quando c'è arrivata la notizia che Filippo ci aveva lasciato. Lo ricordo benissimo: tanti erano in lacrime. Quando andavo a Ferrara sempre o all'andata o al ritorno mi fermavo a Bologna e lo andavo a trovare in ospedale e vedevo come stava, cosa provava. Ogni volta che faceva un passo avanti a costo di sacrifici disumani, ne faceva due indietro e vedevo la famiglia come la stava vivendo. Quando è successo, mi sono sentito quasi sollevato.

In che senso?
Quando è stata fatta la scelta tra la medicina del dolore o togliergli il dolore con la morfina finché non fosse arrivato il giorno, ho capito che era la scelta giusta e quando ci ha lasciato sono stato sollevato per lui e per tutti i suoi cari, aveva smesso di soffrire. Anche in quel caso è stato un lentissimo metabolizzare, ci sono voluti molti mesi per capire il tutto: Filippo è stato un guerriero fino all'ultimo, io lo porto dentro come esempio.

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Anche perché tu persi non solo un compagno ma anche un amico, giusto?
Io ammetto che con Filippo, presi anche dagli ormoni della gioventù, dall'ego del giovane atleta che ottiene risultati importanti, spesso c'era un rapporto di amore e odio. C'era il periodo in cui eravamo davvero come fratelli, altre in cui non volevamo nemmeno stare in stanza insieme. Ma tutto nasceva perché volevamo entrambi la stessa cosa e, a posteriori, capisci che tutto faceva parte del pacchetto della nostra amicizia.

Le pessime Olimpiadi di Tokyo furono conseguenza naturale di quel drammatico periodo?
Sì, fu a livello umano devastante ma anche sul fronte sportivo. Filippo è scomparso ad aprile, da lì a poco ci sarebbero state le Olimpiadi di Tokyo. Oltre alle tante aspettative in gara eravamo sopraffatti da un enorme senso del dovere: non potevamo fallire in alcun modo. Ma tutto andò nel modo peggiore. Ci furono frizioni, discussioni, litigi.

Ad esempio?
Ti racconto un retroscena: noi dovemmo quasi litigare con la dirigenza di allora per poter partecipare ai funerali di Filippo. C'erano le Olimpiadi da lì a tre-quattro mesi, la richiesta era pensare solo a quello, era il periodo della pandemia non si potevano creare assembramenti. L'ordine era di evitare qualsiasi rischio Covid. Noi abbiamo insistito, Filippo era un nostro compagno. La celebrazione era all'aperto e non volevamo mancare, non ce ne fregava nulla del resto. Sulla bara di Filippo era appoggiata una grande bandiera tricolore. La stessa che la famiglia ci ha concesso di sventolare a Parigi.

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A proposito di Parigi, l'esatto opposto di Tokyo: sempre nel segno di Filippo…
Era tutto cambiato. La famiglia di Filippo non aveva voluto mancare a Parigi, aveva comprato i biglietti proprio per assistere alla nostra gara che era anche la gara di Filippo. Poi la sorella di Filippo, Lisa, grazie al suo impegno e tantissimi sacrifici anche lei con le Fiamme Gialle, era riuscita a chiudere il cerchio: Filippo si era qualificato alle Olimpiadi ma non c'era arrivato, lei sì. Fu una gioia indescrivibile per tutti. Con la sua famiglia siamo rimasti in ottimi rapporti, ci sentiamo spessissimo, e sono molto orgoglioso del rapporto che è nato.

L'ultimo alloro è stato a Parigi 2024, fu la chiusura di un cerchio?
Anche in quel caso ci furono situazioni particolari: come equipaggio vero e proprio siamo stati formati solo tre-quattro settimane prima delle Olimpiadi. Dopo Tokyo non avevamo più remato insieme, io personalmente ero stato messo un po' all'angolo con un percorso di singolo e di coppia. Però riuscii a reagire, Tokyo bruciava ancora, non volevo concludere il 4 di coppia in quel modo ma completare il ciclo e portare a termine per bene il percorso che avevo iniziato. Senza dimenticare il discorso umano riferito al ricordo di Filippo.

Tu hai detto una volta che sei alla ricerca della "migliore versione di te stesso": senti di averla trovata?
Posso dire di sì. Quando l'ho detto mi riferivo soprattutto al livello atletico, per le Olimpiadi, perché me lo meritavo: arrivarci trovando appunto la "miglior versione di me stesso". A livello personale, come Luca ritengo di essere soddisfatto di me stesso. Certo, lavoro ancora, provo a non accontentarmi mai. Ho solo 30 anni, sono troppo giovane per mettere un punto. Non per nulla ho ripreso gli studi in università e voglio formarmi nelle Fiamme Gialle.

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Hai detto anche che Parigi era la tua ultima Olimpiade, lo sarà davvero?
Per ora sì, i 4 anni li vedo ancora lunghissimi, la voglia per Los Angeles c'è anche perché ci sarà una rivoluzione visto che si andrà a gareggiare sui 1.500 metri invece che sui 2 mila per la prima volta nella storia del canottaggio…

Eppure?
Non mi posso nascondere dietro un dito e ho problemi seri alla schiena: per tre settimane dalla Olimpiade non ho più vogato per i dolori che sentivo. Sto capendo se sono problemi risolvibili e quindi mi sono posto come obiettivo ultimo Parigi: tutto ciò che verrà dopo sarà un di più.

Ma il tuo prossimo obiettivo?
Il mio prossimo obiettivo, che reputo alla mia portata, è farmi trovare pronto in estate ai Campionati Italiani con i colori delle Fiamme Gialle e provare la Coppa del Mondo a Varese. Son ritornato a vogare, mi mancava, ho riprovato le sensazioni belle di un tempo.

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