La vera storia di Imane Khelif: vendeva rottami per strada, è diventata pugile per combattere i bulli
Cosa sappiamo veramente della vita di Imane Khelif? Nulla. Cosa sappiamo cosa c'è realmente dietro la sua storia di ragazza poi divenuta pugilatrice? Nulla. Cosa sappiamo del percorso che l'ha portata a essere una delle più forti al mondo a 25 anni e, suo malgrado, a finire sotto i riflettori perché "donna che è nata uomo"? Nulla. Tutto si riduce al "fa malissimo" pronunciato da Angela Carini che ha gettato la spugna dopo appena 46″, è scesa al ring senza nemmeno fare un cenno all'avversaria.
La narrazione della vera storia della boxeur va ripercorsa a ritroso, tornando a quando aveva 16 anni ed era addirittura una promessa del calcio. A Tiaret, villaggio dell'Algeria Occidentale, una ragazza che praticava sport non era vista di buon occhio. Lei stessa raccontò in un'intervista al sito dell'Unicef (di cui è ambasciatrice) che se ha iniziato a tirare di boxe il merito (o la colpa) è stato dei bulli che la prendevano di mira.
Che ha sfidato anche la reticenza e i pregiudizi della sua famiglia perché aveva scelto uno sport "tipicamente maschile" e suo padre avrebbe preferito coltivasse la sua bravura nel calcio e non coi guantoni. Che se oggi è arrivata in cima è perché ci ha creduto davvero per la tenacia che l'ha aiutata a superare sacrifici personali molto forti: ha venduto rottami metallici da riciclare e sua madre cous-cous per le strade del suo villaggio così da procurarsi i soldi per salire in autobus e recarsi al centro per gli allenamenti.
Che lassù s'arrampicata un gradino alla volta: a 19 anni si è piazzata 17ª ai Campionati del Mondo di Nuova Delhi (2018), l’anno dopo (2019) è giunta 33ª ai Campionati del Mondo in Russia. Quelle in Giappone sono state le prime Olimpiadi della carriera. "Ho iniziato senza niente e ora ho tutto", ha rivendicato con orgoglio, lo stesso di cui ha fatto professione per se stessa, per il suo Paese che le ha fatto da scudo in queste ore di bufera mediatica in cui ha fatto la storia suo malgrado.
L'algerina è la stessa persona che a Tokyo 2020 s'è fermata ai quarti di finale perché eliminata da un'avversaria più brava e più forte di lei, che picchiava duro e faceva malissimo. Ma nessuno allora si sognò di gridare allo scandalo sostenendo che la lotta non fosse equa, né di avanzare sospetti sull'identità di genere dell'irlandese, Kellie Harrington, che la rispedì a casa a suon di cazzotti.
Khelif è la stessa che nella finale dei Mondiali 2022 chinò il capo ancora una volta perché battuta da Amy Broadhurst, un'altra irlandese. Poi nel 2023 quel pasticciaccio brutto tra IBA e CIO l'ha messa in mezzo a una storia che è più grande di lei, togliendole la possibilità di competere per l'oro a torneo in corso. La domanda sorge spontanea: perché non se ne sono accorti prima?