La storia di Chuck Wepner, il vero Rocky che ha ispirato il film e buttato via milioni di dollari
Quando la sera del 28 marzo 1977 Jack Nicholson, letteralmente biascicando, chiama sul palco i produttori Irwin Winkler e Robert Chartoff, Sylverster Stallone che viene invitato a unirsi a loro due non fa il nome della persona grazie al quale sta vivendo il più importante momento della sua carriera di attore, la vittoria dell’Oscar per il Miglior film. Quel nome è abbastanza famoso in America e da due anni conosciuto anche in tutto il nome, si tratta di Chuck Wepner, il vero Rocky Balboa.
Wepner non è di origini italiane, come il pugile interpretato da Stallone, ma ha tutto il resto, volontà, coraggio, determinazione, voglia di non mollare e soprattutto una capacità di sopportazione del dolore e dei pugni altrui praticamente senza limiti. Ha perso contro George Foreman e Sonny Liston, in uno degli incontri più duri della storia della boxe, in cui va diverse volte al tappeto, ma si rialza sempre, manda a sua volta giù Liston, per poi essere fermato al decimo round per KO tecnico. Accadde perché Wepner ha un problema, ha una faccia troppo debole per i pugni degli avversari, che riescono subito a spaccargli l’arcata sopraccigliare e molte altre parti del volto. Questo lo porta a sanguinare così copiosamente da essere soprannominato il Bayonne Bleeder, letteralmente il Sanguinatore di Bayonne, il posto del New Jersey dove è nato nel 1939. Quell’incontro contro Liston fu un vero massacro, tanto è vero che furono 120 i punti di sutura che dovette subire.
Chuck Wepner è un mestierante del ring, ma i suoi incontri sono sempre spettacolari. Se ne accorge Don King, il quale vorrebbe proporre al suo nuovo campione del mondo, Muhammad Ali, un match non troppo difficile, ma che facesse rumore e permettesse di vendere biglietti, oltre a essere visto in televisione. Wepner è perfetto anche perché è quarto nella classifica dei Pesi massimi. Ecco la sua grande e inaspettata occasione quindi, proprio quella che ha anche Rocky Balboa quando Apollo Creed lo sceglie per caso sull’elenco telefonico e gli dà la possibilità di lottare per il titolo mondiale.
Prima del match ci sono le solite baruffe alle conferenze stampa, alla cerimonia del peso e il 24 marzo 1975, presso il non famosissimo (ma inaugurato un anno prima e quindi in attesa dell’evento che lo mettesse sulla mappa) Richfield Coliseum, a Richfield, in Ohio, si sfidano Chuck Wepner e Muhammad Ali, il più grande campione dei pesi massimi che la storia già a quel tempo considerava. Ali infatti veniva da “Rumble in the Jungle” contro Goerge Foreman, dove aveva sconfitto un uomo più forte e più giovane di lui, riconquistando le cinture e mettendo un suo marchio indelebile nella storia del pugilato. La sfida contro Wepner fu definita “Give the White Guy a Break”, nella scia di una narrazione che veniva da lontanissimo ed era sempre più valida in quanto l’ultimo campione dei massimi bianco era stato Ingemar Johansson perdente nel 1960 contro Floyd Patterson.
Come gli antipasti prima del match furono piccanti, un classico quando c’era di mezzo Ali, così il combattimento fu serenamente gestito dal campione, che alzò subito il ritmo per prendere il vantaggio sui cartellini (e far sanguinare ancora una volta la faccia di Wepner), per poi rilassarsi e controllare. Ma anche se prendeva pugni su pugni, Chuck non mollava e al nono round con un destro al fianco mette giù Ali, per la terza volta dopo i ganci sinistri di Henry Cooper a Wembley e quello di Joe Frazier al Madison Square Garden del 1971.
Wepner si rivolge al suo angolo e grida al suo allenatore Al Braverman: "Al, accendi la macchina, andiamo in banca, siamo milionari!". L’altro gli risponde: "Ehi Chuck, è meglio se ti giri. Si sta alzando e pare abbastanza incazzato". Braverman ha ragione, Ali infastidito per l’atterramento si rialza e accelera di nuovo il ritmo, martellando senza pietà Wepner, il quale non si sa come arriva al quindicesimo round. È una ripresa durissima, come le altre, ma Wepner non ha più forze a 19 secondi dalla fine dell’incontro, dopo un’altra serie infinita di pugni in faccia, Chuck crolla prima sulle corde e poi al tappeto.
Nella ricostruzione del match, abbiamo per un attimo perso di vista Sylvester Stallone. L’attore è un bel ragazzo, bella mascella e bel corpo, ha lavorato anche nell’ispettore Kojak. Però ha pochi soldi, i produttori non credono nelle sue idee, oltretutto sono pure poche le idee. Va a vedere il match in un cinema del Greenwich Village a New York e rimane estasiato non tanto dalla prova tecnica di Ali, ma dalla resistenza senza fine di Wepner. Butta subito giù un soggetto con la storia di un pugile mezzo sconosciuto che ha la possibilità di combattere per il titolo dei pesi massimi e fa di tutto per vincere o almeno resistere.
La storia è praticamente quella di Chuck Wepner e per non avere problemi, Stallone va dal pugile e gli chiede il beneplacito per realizzare il film sulla sua storia. Gli offre settantamila dollari subito o l’1% degli incassi futuri del film. Chuck ha problemi con la droga, con le mogli, con la vita in pratica e prende i soldi sporchi e subito. Ha buttato via milioni di dollari, perché la sua storia diventa uno dei successi cinematografici più importanti del cinema americano. A fine carriera conterà 329 punti di sutura sulla sua strana faccia, lo supererà solo un altro folle del ring, Vito Antuofermo, che arriverà a 359. Ma Chuck è ancora lì, è riuscito ad avere altri soldi per il fatto che Rocky fosse lui e questo gli basta per vivere con dignità.