La scelta iconica di Naomi Osaka, atleta del futuro: pensa e agisce perché lo sport cambia il mondo
La scelta del tedoforo che accende il braciere olimpico è molto spesso la scelta di un’icona che da un certo punto di vista rappresenta lo spirito del tempo, mentre dall’altra vuole essere un messaggio che lo sport mondiale, attraverso l’evento sportivo globale per eccellenza, vuole dare alla società del futuro, riflettendo su quello che si sta vivendo e sulle idee che lo sport ha in relazione alla società stessa.
Nell’altra Olimpiade giapponese, Tokyo 1964, l’ultimo tedoforo era nato a Hiroshima il 6 agosto 1945, un'ora esatta dopo il lancio della bomba atomica. Il Giappone voleva dire al mondo che anche attraverso lo sport, il futuro era tutto da scrivere. Alle Olimpiadi Atlanta 1996, gli organizzatori statunitensi scelsero il più grande di tutti, Muhammad Ali, l’uomo-mito del Novecento che ha inciso nel secolo che stava per finire (erano le ultime Olimpiadi del secolo) come nessun altro uomo di sport al mondo. A Sydney 2000 invece è stata scelta un’atleta ancora in attività, che in quell’edizione vinse l’oro nei 400 metri, Cathy Freeman, australiana e aborigena, simbolo nuovo dell’Australia senza razze e del mondo che si voleva creare. La scelta che il Giappone ha fatto con Naomi Osaka ci dice tantissime cose.
Naomi Osaka è nata in Giappone, da madre giapponese e padre haitiano. Cresce negli Stati Uniti, iniziando a praticare il tennis addirittura a 3 anni, grazie al padre Leonard François. Diventa una grande tennista molto giovane, vincendo l'US Open del 2018 a 21 anni, per poi vincerne un altro nel 2020, insieme a due Australian Open nel 2019 e nel 2021.
Fin dalle prime partite, momento in cui gli addetti ai lavori e il pubblico hanno scoperto la sua forza e il suo talento, Osaka ha dimostrato anche una capacità di riflettere sul suo mondo e su quello che la circondava davvero peculiare per il mondo del tennis. Si è fatta ritrarre in copertina di Sports Illustrated e per sottolineare come non fosse d'uso per quel giornale farlo, ha deciso di far inserire la didascalia: "Prima donna haitiana e giapponese in copertina".
Rivendica ogni volta che le è possibile il suo essere unica, come tutti gli altri che non devono essere incasellati in categorie di senso spesso usate per scopi razzisti. È vicina al movimento "Black Lives Matter” e durante gli US Open vittoriosi del 2020 è scesa in campo sempre con una mascherina che portava il nome di una vittima differente, fino alla finale, quando ha reso omaggio a Tamir Rice, ucciso a 12 anni dalla polizia a Cleveland.
Per il suo desiderio di impegnarsi, ha anche deciso di abbandonare un torneo. Accadde al primo torneo dopo la pandemia da Covid, il Western & Southern Open, disputatosi a New York. Dopo aver superato il terzo turno, battendo Anett Kontaveit, ha dichiarato di ritirarsi per protestare contro le violenze in USA da parte delle forze dell'ordine ai danni della gente di colore.
Infine un altro fronte importante, che ancora una volta Naomi Osaka ha voluto portare all’attenzione di un’opinione pubblica che vuole solo assistere agli show sportivi, senza nemmeno pensare a quello che c’è dietro e dentro. Al Roland Garros 2021, dopo aver superato il primo turno, decide di lasciare il torneo per le pressioni degli organizzatori soprattutto riguardo alla sua presenza in diverse conferenze stampa. La decisione di Naomi non riguardava tanto la difficoltà di conciliare le difficoltà fisiche del torneo e allo stesso tempo di avere rapporti intensi con la stampa, ma è stata una delle prime atlete al mondo che ancora in attività ha parlato apertamente dei suoi problemi psichici. Ha dichiarato sui suoi social: “Ho avuto davvero difficoltà a farcela. Qui mi sentivo vulnerabile e ansiosa, quindi ho pensato che era meglio prendermi cura di me stessa ed evitare le conferenze stampa. L’ho annunciato preventivamente perché ritengo che certe regole siano piuttosto obsolete e volevo evidenziarlo”.
L’ansia, la depressione, il born out che fino a oggi si sentiva echeggiare solo in qualche libro post carriera o giù di lì di alcuni atleti, Naomi Osaka ce lo ha sbattuto in faccia, chiarendo che prima di tutto per un atleta non viene il suo corpo, visto da tutti semplicemente come mezzo per fare spettacolo globale, ma la sua psiche, di cui bisogna prendersi cura. Oggi, lo ha dichiarato lei stessa, Naomi Osaka non è un’atleta, è fuori dal tennis e dal consesso internazionale dello sport, eppure il Giappone l’ha scelta come sua ultima tedofora.
Il messaggio è forte e chiaro: l’atleta del futuro deve non solo essere un corpo di rappresentanza nazionale, non deve essere un’etichetta politico-sociale del potere al momento in auge, ma deve agire nella società, deve riflettere sui tempi che vive, deve immaginare un altro mondo. Naomi Osaka è il simbolo dell’atleta che verrà, un atleta che impone lo sport come agente sociale determinante, in cui il corpo e la mente devono davvero fondersi in una sola espressione di benessere che poi sappia diffondersi nel tessuto sociale.
Naomi Osaka non è in questo momento nello sport perché i tempi non sono ancora pronti e lei sta attraversando il deserto, come Ali fece dopo il suo no al Vietnam. Ma oggi le Olimpiadi ci dicono che da questo momento in avanti tutto deve cambiare e non bisogna più attendere 30 anni, come per Ali, per riconoscere che lo sport ha cambiato e cambierà il mondo.