La prima partita dell’Italia nel Sei Nazioni di rugby, quel che poteva essere e non è stato
Questo dato ha sempre impressionato tanti perché dice molte cose di quel che è stato il rugby italiano in un momento preciso della propria storia, ma purtroppo anche tanto di quello che sarebbe potuto successivamente essere e invece non è ancora. Quello che oggi chiamiamo Sei Nazioni di rugby nasce nel 1883 come “Home Championship” e viene disputato solo dalle formazioni della Gran Bretagna, Inghilterra, Scozia, Irlanda e Galles. Nel 1910 fu ammessa anche la Francia, divenendo così “Cinque Nazioni”. Da quell’anno al 1914, quando il torneo si interruppe per la Prima Guerra Mondiale, la Francia vinse solo una partita molto rocambolescamente per 16-15 contro la Scozia in casa nel 1911. Per il resto solo nette e perentorie sconfitte. Quando l’Italia venne ammessa al Torneo, che per forza di cose divenne “Sei Nazioni”, tutti si aspettavano una camminata nel deserto molto simile anche per gli italiani, ovvero una fase di consapevolezza del livello delle squadre e del torneo, con relative sconfitte a raffica per anni e anni.
Stadio Flaminio, 5 febbraio 2000, l’Italia gioca la sua prima partita del Sei Nazioni e tanti si incollano alla tv per guardare uno sport che poche volte aveva attirato le attenzioni degli italiani, se non come appendice a volte anche noiosa delle trasmissioni di “Tutto il calcio minuto per minuto”, costringendoci a imparare svogliatamente i nomi di squadre come Petrarca Padova, Benetton Treviso e così via.
Lo stadio era pieno, i biglietti si pagavano ancora in lire e c’era gente che aveva sborsato anche 50mila lire per un posto comodo e al caldo (si fa per dire se parliamo del Flaminio). Il nostro Quindici ha nomi che allora dicevano poco al grande pubblico, mentre oggi sono comunque un pezzo di storia del nostro sport. All’ala e come tre quarti centro giocavano i fratelli Dallan, Denis e Manuel, due che se capitava la giornata buona erano devastanti. L’altro tre quarti era il rumeno naturalizzato Cristian Stoica, uno duro come la roccia dei Carpazi, le terze linee con i numeri 7 e 6 avevano due storie completamente diverse. Il primo era Mauro Bergamasco, all’epoca ventenne che diventerà insieme al fratello Mirko la faccia del rugby italiano degli anni zero, mentre l’altro era Massimo Giovanelli, l’uomo delle mille battaglie che dopo quella partita ebbe ricadute pesanti per quel che riguardava i suoi problemi alla retina e divenne quella la sua sessantesima e ultima partita in Nazionale.
E infine almeno altri tre nomi. Massimo Cuttitta, storico pilone azzurro e dell’Aquila, capace di dominare le mischie anche più dure con la sua incredibile forza di volontà, Alessandro Troncon, mediano di mischia e capitano di quella squadra e infine Diego Dominguez, mediano di apertura e genio del rugby che ci ha portato davvero in un’altra dimensione.
Vista oggi quella squadra era davvero il meglio che potevamo mettere in campo nella nostra storia. C’erano vecchi leoni che avevano fatto di tutto per entrare in quel club ristretto e volevano giocarsi le loro ultime chance al massimo possibile, giovanissimi che sarebbero diventati giocatori internazionali e desiderati da squadre francesi e inglesi e infine rugbisti maturi che sapevano guidare la squadra in ogni momento della partita. La Scozia non era una squadra in ricostruzione. Aveva vinto l’edizione precedente del Cinque Nazioni, perdendo solo contro l’Inghilterra.
Loro sono una grande squadra ma dopo dodici minuti perdono il capitano, John Leslie e questo li scombussola. Il primo tempo è molto equilibrato, gli scozzesi al 37’ vanno avanti grazie a una meta di Gordon Bullock, ma il piede di Dominguez li tiene sempre lì, anzi all’intervallo siamo 12-10 per noi. Nel secondo tempo dominiamo tatticamente. Abbiamo sempre la palla in mano e la nostra mischia fa caricare di falli gli avanti scozzesi. In questo modo Diego Dominguez continua a fare punti con i calci e quando il nuovo entrato Giampiero De Carli mette a segno la prima meta azzurra in un Sei Nazioni, il risultato dice 34-13 per gli azzurri al 39’. Una vittoria netta che non verrà offuscata poi dalla meta finale scozzese per il 34-20 definitivo.
A fine partita Dominguez, man of the match obbligatorio, ha segnato una conversione, sei calci di punizione e tre drop. L’alter ego scozzese, Kenny Logan, ha messo ha segno solo una conversione, sbagliando tutti gli altri calci a disposizione. Questa grande partita del nostro 10 spiega solo in parte però quella vittoria storica. In quella partita l’Italia ci ha messo davvero tutto, anche perché le altre, Inghilterra in testa, vedevano molto male l’arrivo di questa nuova squadra latina nel “loro” torneo. Quella vittoria ci diede subito il lasciapassare, senza attendere anni e anni come avevano fatto i francesi.
Chiaramente la vittoria sulla Scozia non ci fece diventare una pretendente per il titolo ogni anno. Per essere al livello delle grandi del rugby bisogna avere una base enorme e selezioni giovanili sempre all’altezza. La vittoria successiva nel Torneo riuscimmo a ottenerla solo il 15 febbraio 2003, contro il Galles sempre al Flaminio e gli ultimi Sei Nazioni sono andati molto male. Ma ci siamo e quasi nessuno se ne lamenta, nonostante stiamo diventando i possessori per antonomasia del cucchiaio di legno. Ci siamo e ci resteremo nell’elite del rugby europeo e lo dobbiamo a quella prima e incredibile vittoria, che ci spalancò la porta, senza farci più guardare indietro.