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La lunga ombra dello scandalo doping tra i vertici della Iaaf

Un anonimo membro della commissione medica ha rivelato che tra il 2006 e il 2008 almeno 150 atleti di tutto il mondo (tra cui 4 italiani) sarebbero stati ‘aiutati’ dalla Federazione Mondiale di Atletica nell’occultare esami con valori più che sospetti.
A cura di Alessio Pediglieri
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Un'anonima gola profonda ha scoperchiato il calderone dell'Iaaf, l'International Association of Athletics Federations, cioè la Federazione Mondiale di Atletica, il massimo organismo che dovrebbe controllare tesserati, Nazioni ed eventi ufficiali col massimo rigore e scrupolo. ‘Dovrebbe‘ perché le rivelazioni rilasciate da questo testimone senza nome all'emittente tedesca Ard, indicato semplicemente come un  membro della commissione medica, indicherebbero invece il contrario: tra il 2006 e il 2008 proprio la Iaaf avrebbe coperto e favorito pratiche di doping tra circa 150 atleti di tutti i Paesi, garantendo un silenzio e una connivenza per le pratiche illecite che oggi fatica a trovare una valida spiegazione. Un vero e proprio scandalo internazionale che coinvolge in primis l'attuale presidente Lamine Djack alla vigilia delle elezioni del 2015. Ma ridurre tutto ad una mera speculazione politica è troppo semplicistico vista la portata delle dichiarazioni e la pronta – ma maldestra – replica della stessa Iaaf,

La difesa che fa acqua da tutte le parti. I vertici della Federazione Mondiale di Atletica hanno prontamente diramato un comunicato in ‘difesa' del proprio operato in un biennio molto particolare, perché propedeutico alle Olimpiadi di Pechino del 2008. Secondo l'Iaaf, prima del passaporto biologico, varato a livello mondiale quale norma obbligatoria solamente dal 2009, non esisteva un quadro normativo che rendesse affidabili i test sul doping. In pratica la Iaaf afferma in un comunicato ufficiale che in quel periodo incriminato (2006-2008) i campioni di sangue servivano come eventuale controprova ai test sulle urine per cercare l'epo e un singolo valore ematico non era in grado di stabilire se l'atleta si fosse dopato o no. Oltre tutto, continua la Iaaf, un medico della commissione medica non potrebbe oggi sapere se fossero stati eseguiti degli approfondimenti sui test sospetti perché quei test di cui parla adesso l'anonimo testimone servirono per identificare quei Paesi a più alto rischio di doping, adeguando i programmi di controllo in base a queste statistiche.

150 atleti, tra cui 4 italiani. Insomma, una difesa d'ufficio che non ha evitato comunque un'inchiesta varata dalla Commissione Etica e che non spiega comunque fino in fondo perché nel biennio che ha preceduto i Giochi del 2008 molti test ematici presentassero valori sospetti che avrebbero meritato un approfondimento ulteriore, causa valori che sfioravano o addirittura superavano i limiti che lasciavano intravedere l'uso di sostanze proibite. E tutto ciò non solamente per i Paesi dell'Est, storicamente vicini all'uso di sostanze proibite, come la Russia, i cui test furono messi nel mirino anche in altre occasioni ma anche  – e soprattutto – Nazioni "insospettabili" come la Gran Bretagna (con il coinvolgimento specifico di un atleta)e poi altri tesserati kenyani, tedeschi, spagnoli, marocchini. Anche l'Italia è presente nella lista dove comparirebbero anche quattro atleti. In tutto sarebbero circa 150 atleti suddivisi in due elenchi, il primo con la dicitura "sospetti" e la seconda con "altamente sospetti" e di ogni specialità dai mezzofondisti ai marciatori fino ai maratoneti.

Questioni politiche. A questo punto non resta che attendere l'esito dell'inchiesta che però dovrà avere tempi strettissimi proprio per le prossime elezioni oramai alle porte dove al presente numero uno Iaaf Lamine Djack si contrapporrà l'ex campione d'atletica Sebastian Coe, neo candidato alla presidenza della Iaaf, che ha subito twittato: "E' vitale per la Iaaf, il comitato etico e la Wada completino il loro lavoro in merito alle recenti accuse. Solo allora potranno essere prese misure appropriate".

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