Kimia Yousofi arriva ultima ma non le importa: dietro al pettorale ha un messaggio che deve mostrare
Alle Olimpiadi di Parigi 2024 l'Afghanistan si è presentato con soli sei atleti, tre uomini e tre donne. Tra queste c'è anche la velocista Kimia Yousofi che ha debuttato nella mattinata di venerdì 2 agosto, nella batteria 3 del primo turno eliminatorio dei 100 metri femminili. Conclusasi con un tempo altissimo e un isolato ultimo posto con conseguente eliminazione. Ma tanto è bastato per mostrare al mondo un messaggio che celava dietro il suo pettorale, mostrato subito dopo il traguardo, a difesa e denuncia dello stato in cui versano ancor oggi le donne del suo Paese. Con due scritte: "Istruzione, i nostri diritti".
I 100 metri di Kimia Yousofi a Parigi 2024 e il messaggio nel pettorale
Kimia Yousofi non aveva assolutamente alcuna speranza di poter accedere al turno successivo nei 100 metri olimpici. Una batteria che l'ha vista subire la miglior prestanza fisica di tutte le sue avversarie in un turno dominato dall'africana Gorete Semedo rappresentante di una piccola nazione, São Tomé e Príncipe che ha chiuso in 11.44. Solamente un più che anonimo 13.42 per Yousofi che però ha saputo onorare al meglio la gara arrivando nel meglio delle proprie possibilità al traguardo.
Mentre subito dopo l'arrivo tutte le atlete si sono fermate a guardare i tabelloni luminosi in attesa di capire quali tempi avessero fatto e le rispettive possibilità di qualificazione, Yousofi si è invece concentrata in un altro "rituale": si è messa ad armeggiare con le spille da balia che tenevano saldo il pettorale col suo nome, per staccarselo e mostrarne il retro a favore di telecamere. Con due scritte: "Istruzione" e poco sotto "I nostri diritti" scritti in lingua inglese, a biro blu e rossa.
Il significato del messaggio di Yousofi sotto il pettorale
Ovviamente, la foto dell'atleta afghana che tiene il pettorale a favore di obiettivi e telecamere è diventata subito virale e Yousofi ha ottenuto la sua vittoria più bella che ben oltre i 100 metri: denunciare al mondo intero la difficilissima condizione delle donne del suo Paese. Le donne e le ragazze in Afghanistan hanno sofferto immensamente da quando il Paese è stato conquistato dai talebani nell'agosto 2021. Un rapporto delle Nazioni Unite dell'anno scorso ha affermato che il Paese asiatico è diventato il più repressivo al mondo per donne e ragazze, private praticamente di tutti i loro diritti fondamentali.
"Penso di dovermi sentire responsabile nei confronti delle ragazze afghane perché non sanno parlare", ha detto Yousofi dopo essere arrivata ultima nella sua batteria preliminare dei 100 metri. "Non mi sono mai occupata di politica, faccio solo ciò che ritengo sia vero e giusto. Posso parlare con i media. Posso essere la voce delle ragazze afghane. Posso dire cosa vogliono: vogliono diritti fondamentali, istruzione e sport. Questa è la mia bandiera, questo è il mio paese", ha poi concluso il proprio pensiero. "Questa è la mia terra".
La storia di Yousofi e le condizioni delle donne in Afghanistan
Kimia Yousofi è una velocista afghana ma non è nata nel Paese che rappresenta, bensì in Iran a Mashhad nel 1996. Poco prima che lei nascesse, infatti i genitori di Yousofi fuggirono dall'Afghanistan durante il precedente governo dei talebani: lei e i suoi tre fratelli nacquero e crebbero nel vicino Iran, pur mantenendo la nazionalità d'origine. Nel 2016 ha partecipato alle sue prime Olimpiadi, aveva preso parte ai Giochi asiatici indoor, poi nel 2018 partecipò ai Giochi asiatici di Giacarta e infine nel 2021 è stata la portabandiera per l'Afghanistan ai Giochi olimpici di Tokyo.
Nel 2012, quando aveva solo 16 anni, Yousofi ha preso parte a una ricerca di talenti per ragazze immigrate afghane che vivevano in Iran, ed in seguito è tornata in Afghanistan per allenarsi e avere la possibilità di rappresentare il paese alle Olimpiadi. Ma dopo che i talebani hanno ripreso il controllo del suo paese, più o meno quando sono iniziati i Giochi di Tokyo, si è trasferita definitivamente in Australia con l'aiuto di funzionari locali e del Comitato Olimpico Internazionale. Si sarebbe guadagnata un posto nella squadra olimpica dei rifugiati , pensata per gli atleti rifugiati come lei, ma lei voleva rappresentare il suo Paese, con tutti i suoi difetti, nella speranza che questo viaggio alle Olimpiadi contribuisse a denunciare la gravissima situazione delle donne in Afghanistan.