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Jacobs e la scuola: “La mia classe raccoglieva i peggiori disadattati della città”

A 26 anni Marcell Jacobs è esattamente dove vorrebbe essere, ovvero sul tetto del mondo e con una popolarità sempre più straripante, come da suo progetto quando era piccolo: “Avevo le idee chiare, volevo diventare qualcuno”. Con la scuola un rapporto difficile: “Se non studi, non combinerai mai niente, dicevano i professori…”.
A cura di Paolo Fiorenza
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La passerella assieme alla compagna Nicole al Festival del cinema di Venezia, l'ospitata al GP di Formula 1 di Monza: Marcell Jacobs non si è certo annoiato negli ultimi tempi. Di tempo libero ne ha, visto che la sua stagione è finita con la staffetta d'oro alle Olimpiadi di Tokyo, che ha moltiplicato per due il trionfo nei 100 metri. Per rivedere il 26enne velocista azzurro in pista bisognerà attendere il prossimo anno, intanto Jacobs tornerà nelle case degli italiani con la sua partecipazione televisiva a Ballando con le stelle.

La popolarità del ragazzo nato ad El Paso e poi stabilitosi a Desenzano del Garda è ai massimi livelli, ed è esattamente quello che desiderava il Marcell bambino e ragazzo: "Avevo le idee chiare, volevo diventare qualcuno". Una volontà di emergere fortissima che andava di pari passo col suo rapporto difficile con la scuola: "Non mi interessava – ricorda – Alle superiori mi hanno messo in una classe che raccoglieva i peggiori disadattati della città. Se non studi, non combinerai mai niente, dicevano i professori. E io: tanto farò l’atleta!".

Sulle pagine del Corriere della Sera, Jacobs riavvolge il nastro dei ricordi: "Non mi sentivo unico, ma diverso. All’asilo solo io avevo un nome straniero, la pelle scura e, soprattutto, un solo genitore. La maestra diceva: disegnate la vostra famiglia, e io disegnavo mia madre. Mai nessuno mi ha rinfacciato il colore della pelle. Anzi, alle bambine piacevo di più: tutto coloratino, dicevano, con quei capelli ricci. Già, una volta li avevo… Adesso li ho persi sul davanti e ancora non lo accetto. Nicole, la mia compagna, mi ha convinto a raparmi a zero, ma così di profilo sembro un alieno… Un po’ alieno mi sentivo anche in pista. Ce l’avevo fatta, a 19 anni ero entrato nel gruppo sportivo della Polizia, e sarò loro sempre grato per questo".

Il campione olimpico parla con assoluta consapevolezza della sua attuale dimensione, quella di un uomo realizzato e completamente padrone della situazione: "Tutto quello che ho, l’ho desiderato, perciò adesso sono così sereno nel gestirlo. Ogni cosa accade per un motivo. Ai mondiali di Doha non dovevo correre forte perché non ero ancora pronto mentalmente per gestire il successo. Non mi turbano neanche le cattiverie gratuite sul doping. Nella vita esisterà sempre qualcuno che, non avendocela fatta, si rifiuterà di credere alla buona fede di chi ce la sta facendo. Io non conosco l’invidia, solo la competizione: se un altro ce la fa, voglio farcela anch’io. E non mi accontento di quello che ho. Cerco di raddoppiare". A Tokyo ne ha dato la dimostrazione più chiara, adesso il mirino si sposta sui Mondiali dell'anno prossimo: confermarsi sarà durissima, ma Jacobs non vuole assolutamente scendere dalla giostra.

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