Ital-tennis, un lustro di successi al femminile
Flavia Pennetta (a lei il successo del Torneo) e Roberta Vinci hanno dipinto d'azzurro l'Arthur Ashe, lo stadio più grande del mondo, e portato a New York l'Italy che più big non si può. Mai nessuna italiana era andata così avanti in un major diverso dal Roland Garros, mai prima d'ora due italiane si erano affrontate per giocarsi il titolo in uno dei quattro tornei più importanti del tennis. Nessuna giocatrice era mai arrivata a giocarsi così tardi, a 33 e 32 anni rispettivamente, la prima finale Slam in carriera. E mai in un major, l'età media delle finaliste in un major era stata così alta (battuto il primato di Wimbledon '77, 63 anni e 11 mesi, quando Virginia Wade sconfisse Betty Stove, premiata dalla Regina nell'anno del giubileo della corona).
Us Open, Slam tricolore – Una finale che vale tutto, un premio alla carriera per due esempi di tenacia, due modelli del meglio che lo sport possa rappresentare. Pennetta ha lasciato in semifinale quattro game a Simona Halep, che aveva eliminato Azarenka, considerata l'unica che avrebbe potuto contrastare Serena Williams nella corsa al titolo. E invece a fermarla è stata Robertina Vinci, soprannome che mai come in queste settimane diventa vezzeggiativo utile a confermare come nelle botti piccole scorra il vino più dolce. Quotata 300 a 1, ha giocato il miglior tennis della sua vita. E la numero 1 del mondo, cui ha tolto un posto che sembrava già fissato nella storia, la possibilità di completare il Grande Slam, impresa riuscita da ultima a Steffi Graf nel 1988, ha riconosciuto i meriti dell'azzurra piuttosto che insistere sui propri demeriti nel commentare la sconfitta. Lo Slam newyorchese diventerà da quest'anno lo Slam degli italiani, alla luce anche della spettacolare rimonta di Fabio Fognini al terzo turno contro Rafa Nadal, che nessuno era mai riuscito a sconfiggere recuperando due set di svantaggio. Di casa come e più del Roland Garros, dell'amata terra battuta che nell'era Open ha regalato al nostro tennis le più grandi soddisfazioni.
Tutto partì con Schiavone – E proprio a Parigi, la vie del tennis ha iniziato la sua vie en rose nell'ultimo straordinario lustro. Un percorso che ha una data di inizio precisa, il 5 giugno 2010, quando Francesca Schiavone bacia e morde la terra battuta del Roland Garros e regala all'Italia il primo Slam al femminile, il secondo nell'era Open, 34 anni dopo il successo di Adriano Panatta. L'aveva detto sette anni prima, nel 2003, quando finì in prima pagina sul New York Times dopo aver battuto Ai Sugiyama in un match interrotto e ripreso nove volte per la pioggia: "Prima o poi lo vinco uno Slam". Unica italiana ad aver giocato i quarti di finale in tutti i quattro Slam (memorabili le 4 ore e 44 minuti di spettacolo contro Svetlana Kuznetsova che la portano a superare gli ottavi in Australia nel 2011), Schiavone ha aperto una strada, ha segnato un punto di non ritorno. Ha creato un'atmosfera di positiva competizione nel quartetto d'assi di un colore solo che intanto ha continuato ad accumulare vittorie in Fed Cup e trionfi in doppio.
Pennetta, prima top-10 – Quella vittoria ha dato una spinta ancora maggiore dell'ingresso in top-10 di Flavia Pennetta, prima italiana a riuscirci, nella magica estate del 2009, sempre in America, nell'anno delle quindici vittorie consecutive. Un successo nutrito in Puglia ma per certi versi "born in the Usa", quello di Flavia, che ha centrato la vittoria più prestigiosa nei tornei WTA (Slam esclusi) per il nostro tennis l'anno scorso a Indian Wells, in finale contro una Radwanska un po' incerottata. Un premio ai meriti di chi ha saputo portare l'eccellenza italiana e pugliese (perdonatemi, da pugliese, l'orgogliosa sottolineatura) nel mondo. Ha giocato almeno i quarti sei volte nelle ultime otto edizioni dello Us Open, ha cancellato sei match point a Vera Zvonareva negli ottavi del 2009 e regalato all'Italia la prima partita di sempre in sessione serale sull'Arthur Ashe, rimasta l'unica prima della vittoria del boyfriend Fabio contro Nadal, ma prima di questo straordinario 2015 le era rimasto forse il rimpianto del quarto di finale del 2011, quando si trovò avanti di un break al terzo contro Angelique Kerber, allora ancora lontanissima dalla top-10, con la prospettiva di affrontare in semifinale Samantha Stosur, da cui non perde mai, e che infatti ha battuto anche nella sua cavalcata verso una finale che sa di storia, di leggenda, di riscatto, di rivalsa verso un destino che le ha messo davanti ostacoli e infortuni (tutti e due i polsi, la spalla, la fascite plantare).
L'esempio di Errani – Non secondario, poi, il ruolo di Sara Errani nel cambio di passo del nostro tennis femminile, diventato la guida, il faro, in un certo senso la salvezza del movimento in anni in cui al maschile i risultati sono rimasti al di sotto delle aspettative. Il passaggio a una racchetta di tre centimetri più lunga, che lei stessa ha chiamato Excalibur, l'ha spinta verso limiti raggiunti mai. Memorabile il suo 2012 iniziato con i quarti all'Australian Open, battuta senza sfigurare da Petra Kvitova, e proseguito con la finale del Roland Garros, preceduta da due vittorie di fila contro top-10, le prime dopo 28 sconfitte consecutive, e la per certi aspetti ancor più sorprendente semifinale allo Us Open. In questi cinque anni, Errani ha scritto anche pagine d'oro per il doppio azzurro, ha vinto almeno una volta tutti i quattro titoli dello Slam in coppia con Roberta Vinci, e insieme resteranno nella storia di questo sport come la prima coppia tutta italiana numero 1 del ranking di specialità.
Vinci, che riscatto – Ed è proprio l'esempio dell'amica ad aver motivato, aiutato, stimolato Roberta Vinci negli anni dei dubbi per i risultati che in singolare continuavano a non arrivare. Imbattuta in doppio in Fed Cup fino al doloroso spareggio di Genova contro la Francia, la tarantina, cittadina onoraria di Palermo dove ha trovato la sua seconda casa con il coach Francesco Cinà, era l'unica che fino a questa settimana non aveva ancora giocato nemmeno una semifinale Slam. Di certo, non scorderà mai la prima, la serie di punti memorabili contro la miglior giocatrice del mondo, e quell'incredibile invito al pubblico ad applaudire anche lei, e non solo Serena Williams. Di sicuro, non dimenticherà la demi-volée sul match point, icona e sintesi di una partita che l'azzurra ha vinto più di quanto Serena l'abbia persa, soprattutto nel terzo set. Lei che a 18 anni, in coppia con Sandrine Testud, batteva un'altra icona del tennis, Martina Navratilova, che spaccava la racchetta per la rabbia di essere stata sconfitta da una ragazzina, ha sempre mostrato il tennis bello e ricamato, lontano dal gioco di resistenza atletica e potenza premiato oggi dai risultati. Sotto la guida di Cinà, ha completato il quadro senza perdere di sensibilità estetica, ma è servita anche la spinta di Sara a darle la definitiva convinzione di poter riuscire a superare i propri limiti anche in singolare. I due quarti allo Us Open 2012, proprio contro Errani, e 2013, contro Flavia Pennetta, hanno finito per apparecchiare il terreno, per creare l'atmosfera. Vinci, che a un certo punto sembrava destinata a una carriera di successo solo o quasi in doppio, ha finito per sfiorare la top-10. E tornerà a bussare alle porte del sole, dell'élite del tennis, dalla prossima settimana. Impossible is nothing.