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Il campione di rugby schiavo delle sue ossessioni: spegnere bene la luce per non far morire i genitori

Henry Slade, pilastro della nazionale inglese di rugby, ha raccontato come il suo disturbo ossessivo compulsivo abbia avuto un impatto devastante sulla sua vita e sulla sua carriera: “Pensavo che se avessi fatto certe cose in un certo modo, sarebbe successo qualcosa di brutto a me, alla mia famiglia, ai miei amici, si sarebbero fatti male, sarebbero morti o si sarebbero ammalati”.
A cura di Paolo Fiorenza
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David Beckham tuttora deve andare in giro di notte per casa sua, mentre la sua famiglia dorme, per pulire le candele: "È stancante andare in giro per ogni singola candela a pulirla. Taglio la cera della candela, pulisco il vetro, mi dà fastidio il fumo all'interno di una candela…". Il campione inglese deve farlo, non riesce a sottrarsi a quel comportamento che lui stesso sa essere strano, glielo impone il disturbo ossessivo compulsivo da cui è affetto. Quello stesso disturbo – che obbliga una persona ad attuare azioni ripetitive per tranquillizzarsi – che ha condizionato pesantemente la vita e la carriera di un altro sportivo di alto livello, il campione inglese di rugby Henry Slade: il 31enne pilastro dell'Exeter ha rivelato che il suo disturbo era così grave da temere che i suoi genitori sarebbero morti se non fosse riuscito a spegnere le luci nel modo "giusto".

Il rugbista, che ha giocato la finale della Coppa del Mondo nel 2015 con l'Inghilterra, ha sviluppato nel corso degli anni una serie di rituali da compiere sempre più articolati, che richiedevano conseguentemente sempre più tempo, con un impatto devastante sulle sue attività e sulla qualità della vita. Questi comportamenti ‘obbligati' includevano una routine prima di andare a letto della durata addirittura di un'ora, picchiettando le dita dei piedi sul pavimento e facendo altre azioni compulsive. E ancora mettersi i calzini in un certo modo e allacciarsi le scarpe da gioco in maniera particolarmente complessa.

Henry Slade con la maglia dell'Inghilterra nell'ultimo Sei Nazioni
Henry Slade con la maglia dell'Inghilterra nell'ultimo Sei Nazioni

Nella testa di Slade c'era la convinzione fortissima che tutte queste azioni avrebbero influenzato la sua vita nel caso non le avesse eseguite alla perfezione, fino ad essere costantemente preoccupato di cosa sarebbe successo alla sua famiglia e ai suoi amici se non le avesse compiute. "Avrebbe aggiunto stress e preoccupazione – ha detto il rugbista a Sky Sports – Durante la mia infanzia dovevo fare certe cose per sentirmi al sicuro e avere la certezza che non sarebbe successo nulla di brutto ai miei amici e ai miei cari. L'interruttore della luce sul muro dovevo accenderlo e spegnerlo nel modo giusto".

"Se non lo avessi fatto, avrei dovuto farlo un certo numero di volte – ha spiegato – Per cambiarmi dovevo battere le dita dei piedi sul pavimento, prima il piede sinistro: avevo un certo ordine in cui mi cambiavo. Avevo una routine della buonanotte che richiedeva un'ora. Pensavo che se non lo avessi fatto, sarebbe successo qualcosa di brutto a me, alla mia famiglia, ai miei amici, si sarebbero fatti male, sarebbero morti o si sarebbero ammalati. Le cose sono peggiorate nel corso degli anni, trascorrevo gran parte della mia giornata preoccupandomi del modo in cui facevo le cose e ho dovuto continuare a farne sempre di più, una specie di lista di controllo. Non ne ho mai parlato con nessun altro, pensavo solo che fosse qualcosa che uno fa".

Il nazionale inglese alla fine è riuscito a fare il passo che gli ha cambiato la vita, ottenendo l'aiuto di uno psicologo dopo essersi aperto sulla sua condizione coi compagni di squadra dell'Exeter e adesso è arrivato ad una consapevolezza che gli fa ammettere che il suo disturbo ossessivo compulsivo era "ridicolo". "Non è stato fino a quando non ne ho parlato con un paio di persone mentre giocavo all'Exeter e loro hanno detto: ‘Sì, è un po' strano, non dovresti farlo'. Non appena ho ricevuto supporto, sono stato in grado di aiutare me stesso più di ogni altra cosa. Il modo in cui spegni l'interruttore della luce non significherà la morte dei tuoi genitori, ma la mia mente me lo faceva pensare. Era radicato nella mia vita ed è entrato naturalmente nel mio rugby. Il rito più importante erano i lacci degli scarpini prima di una partita. Avevo un modo molto specifico in cui dovevo allacciarli, la quantità di anelli in cui dovevano passare i lacci, quanto stretto li stringevo e cose come queste".

L'azzurro Garbisi prova a placcare Slade nell'ultimo Italia-Inghilterra
L'azzurro Garbisi prova a placcare Slade nell'ultimo Italia-Inghilterra

Il processo che ha portato Slade a superare il suo disturbo ha tuttavia vissuto un rallentamento drammatico per una terribile casualità. Dopo aver ricevuto aiuto psicologico, la prima volta che il rugbista si è allacciato le scarpe da gioco "normalmente" prima di una partita purtroppo si è procurato una terribile frattura alla gamba durante il match: "La prima volta che ho provato ad allacciarli normalmente, mi sono incasinato con quello che facevo di solito e ho pensato: ‘Andrà tutto bene, non preoccuparti'. In quella partita mi sono rotto una gamba e questo non ha funzionato". Oltre a non aiutare nel suo percorso.

"L'avevo fatto durante la settimana in allenamento per vedere se sarebbe andato bene, e stavo bene durante la settimana – ha raccontato Slade – Ho pensato che in partita sarebbe andato tutto bene e mi sono rotto una gamba. È uno degli infortuni peggiori che abbia mai avuto. Non era l'ideale e ha sicuramente minato la mia fiducia per un po', facendomi tornare indietro di qualche passo".

Un problema molto grave per il quale ha dovuto sottoporsi ad un'operazione importante: "È stato uno degli infortuni peggiori che abbia mai avuto. Ha messo a dura prova la mia fiducia e ho bruciato gli scarpini. Nello sport bisogna sempre fare piccoli passi ed è più o meno la stessa cosa quando si controlla il disturbo ossessivo compulsivo. Ora sono a buon punto, mi godo la vita molto di più rispetto a qualche anno fa. Se le cose vengono affrontate e discusse, puoi affrontarle".

Slade oggi a 31 anni: la sua vita è migliorata tantissimo dopo la presa di coscienza del problema
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Il campione di rugby ha incoraggiato chi soffre degli stessi problemi a parlare delle proprie preoccupazioni a chiunque gli sia vicino: "La prima cosa che direi loro è di non aver paura. Se lo lasci e continui così, probabilmente la situazione aumenterà e peggiorerà. Il vecchio detto è che un problema condiviso è un problema dimezzato. Non appena mi sono aperto un po' e ho ricevuto un po' di aiuto, sono stato in grado di aiutare me stesso più di ogni altra cosa. Anche se non sei uno psicologo, se ti apri al tuo compagno, a tua mamma o a tuo fratello, loro saranno in grado di avere una prospettiva diversa su ciò che stai vedendo e magari indicarti una direzione in cui inizierai a migliorare".

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