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Hadi Tiranvalipour alle Olimpiadi da rifugiato: “In Italia senza soldi, ho dormito 10 giorni al parco”

Hadi è scappato dall’Iran, licenziato dopo aver difeso pubblicamente i diritti delle donne. Dopo essersi trovato senza casa, è stato selezionato dal Cio nella squadra olimpica dei rifugiati per le prossime Olimpiadi di Parigi.
A cura di Gabriele Mento
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Hadi Tiranvalipour è uno dei 36 atleti selezionati dal Cio per partecipare alle Olimpiadi di Parigi nella squadra dei rifugiati. Viene dall'Iran, da cui è scappato dopo essere stato licenziato per aver difeso pubblicamente i diritti delle donne iraniane. Vive e si allena in Italia, grazie al supporto della Federazione italiana di Taekwondo. Scappato dal suo Paese, da anni non vede la sua famiglia, e si è trovato per diverso tempo a non avere un posto dove dormire. Ma adesso vuole essere un simbolo per i rifugiati di tutto il mondo.

Hadi, come ti sei sentito quando sei stato nominato per le Olimpiadi?
Ho pianto dalla gioia, ho pensato a tutte le difficoltà che ho dovuto affrontare per arrivare fino a questo punto. Dopo aver fallito la qualificazione a Sofia, ero così arrabbiato da aver perso le motivazioni per allenarmi. Allora non sapevo che avrei avuto questa possibilità, e poter partecipare ai Giochi per me è un sogno.

Come sei arrivato in Italia?
Mi ero iscritto all'Università di Torvergata, ma non sarei potuto venire direttamente in Italia. Così nell'ottobre del 2022 sono venuto in Italia. Però non lo potevo dire al Governo iraniano. Così ho fatto un biglietto aereo per la Turchia, dicendo al Governo che sarei andato lì, dove noi iraniani possiamo andare liberamente. Poi da lì ho acquistato un altro volo per l'Italia.

Come è stato l'impatto con il nostro Paese?
All'inizio ero completamente solo e molto confuso, perché non avevo nessuno a cui appoggiarmi e avevo pochi soldi in tasca. Non potevo permettermi un albergo e non avevo un posto dove dormire. Per 10 giorni non ho avuto una casa, e ho dormito in un parco. Poi sono riuscito a contattare altre persone iraniane che vivevano a Roma. Mi hanno trovato una stanza, ma vivevamo in 10 persone una casa molto piccola. Poi dopo un po' di tempo mi sono trasferito in un'altra casa dove eravamo in tre e si stava meglio, ma dormivo comunque su un divano. Trovare casa a Roma è molto difficile, soprattutto se sei un immigrato.

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Come sei entrato in contatto con la federazione?
All'inizio ho mandato delle mail, ma non avevo ricevuto risposta. Poi un giorno ho deciso di andare direttamente nella loro sede, dove ho potuto parlare direttamente Presidente, che mi ha aiutato molto. Lì ho potuto spiegare la mia carriera agonistica e raccontare le mie difficoltà. Lavoravo in un ristorante come lavapiatti, non avevo un posto dove poter vivere e allenarmi come si deve.

Cosa ti è stato risposto?
Il presidente della Federazione mi ha detto "Tranquillo, farò del mio meglio per te". Dopo un paio di mesi mi ha fatto parlare con il ministro dello sport, che mi ha detto che si sarebbe risolto tutto e che dovevo solo aspettare. E grazie al supporto della Federazione, sono riuscito ad avere lo status di rifugiato.

Quanto è stato importante il supporto della Federazione?
Mi ha aiutato tantissimo, dal Presidente all'ultimo degli impiegati, che mi hanno permesso di vivere una "seconda vita". Devo ringraziare molto tutto lo staff e gli allenatori della Federazione, specialmente Claudio Nolano (allenatore anche di Vito Dell'Aquila ndr) che mi ha permesso di allenarmi con lui.

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Cosa significa per te poter partecipare ai Giochi?
È un sogno che diventa realtà, che coltivavo fin da bambino. Quando gli altri dicevano di voler fare il dottore o l'ingegnere, io rispondevo che volevo diventare campione olimpico.

Cosa ti aspetti dalle Olimpiadi?
Tutti vogliono vincere la medaglia d'oro, ma per me è importante ogni giorno lavorare sulla tecnica e la tattica, migliorare il più possibile e combattere fino all'ultimo secondo come un gladiatore per mostrare le mie abilità e le mie capacità a tutte le persone.

Vuoi essere un simbolo per i rifugiati?
Voglio essere la loro voce, i rifugiati hanno una vita molto difficile, e voglio dimostrare che finché hai un sogno devi continuare a inseguirlo.

A proposito di sogni, vorresti trovare in finale Vito Dell'Aquila?
Sarebbe fantastico. Per me lui è un grande esempio, è campione olimpico ed europeo in carica, ed è stato campione mondiale. È una grossa opportunità per me potermi allenare con lui, e sarebbe bello anche per tutte le persone italiane, che sono sempre state gentili con me, se ci sfidassimo in finale.

C'è qualcuno a cui ti ispiri?
Alla mia famiglia. Ho una relazione molto stretta con loro, li sento ogni giorno e gli sono molto grato. È molto dura anche per loro sapermi in un paese straniero e non potermi vedere. E alle Olimpiadi combatterò per loro.

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Perché sei scappato dall'Iran?
Per poter vivere una vita libera. C'è una situazione molto difficile in Iran, dal punto di vista sia politico che economico. E se fossi rimasto in Iran, non sarei mai arrivato alle Olimpiadi. Gli atleti iraniani, per esempio, non possono combattere con atleti israeliani, ed è molto dura dover rinunciare a competere, dopo tutti i sacrifici e gli sforzi che si fanno, per questioni che non hanno niente a che fare con lo sport.

Speri di poter tornare in Iran un giorno?
Sì, amo molto il mio Paese, dove sono cresciuto. È un paese in difficoltà sia economiche che politiche, ma spero un giorno di poterci fare ritorno e tornare dai miei cari. Non so come e quando potrò farlo.

Come hai iniziato a fare taekwondo?
Guardando in televisione alle Olimpiadi Hadi Saei, la nostra leggenda del taekwondo nazionale che ha vinto due titoli olimpici e ora è presidente della federazione mondiale, e aveva il mio stesso nome, forse un segno del destino.

È vero che in Iran conducevi un programma televisivo?
Sì, ho fatto il presentatore per due anni di un programma mattutino nel quale invitavo le persone a fare sport. Ma un giorno, dopo aver parlato all'interno di quella trasmissione ho parlato a supporto delle donne iraniane, e per questo mi hanno licenziato.

Rifaresti tutto quello che hai fatto? O hai dei rimpianti?
Rifarei tutto, anche con tutte le difficoltà che ho incontrato, perché sono state mie scelte, e fanno parte della mia vita. Ho imparato molto da tutte le difficoltà che ho incontrato, anche se mi manca veramente tanto la mia famiglia. Da rifugiati non abbiamo il permesso di tornare nel nostro Paese, ma spero di poter tornare a vedere la mia famiglia.

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