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François Pienaar, l’uomo che con Mandela ha fatto ripartire la storia del Sud Africa

François Pienaar era il capitano del Sud Africa quando gli Springboks scendono in campo il 24 giugno 1995 nella finale di Coppa del Mondo contro gli All Blacks di Jonah Lomu. Ma è anche l’uomo con cui Mandela ha voluto un rapporto stretto al fine di dimostrare come il Sud Africa fosse già il Paese in cui bianchi e neri potevano collaborare per la vittoria finale.
A cura di Jvan Sica
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Non ci potevano essere uomini più diversi e iconologicamente all’opposto di François Pienaar e Nelson Mandela nell’estate del 1995, momento in cui il mondo guardava al Sud Africa per quello che stava accadendo da un punto di vista politico e sociale, ma anche per la Coppa del Mondo di Rugby che si stava svolgendo.

Mandela era un uomo di colore, anziano, che per quasi tutta la vita è stato imprigionato, senza evitare però che lui non fosse ovunque grazie alle sue parole e al suo esempio. Pienaar era un giovane uomo bianco, che faceva il rugbista e per tanti era la faccia del potere ottuso e violento che aveva voluto e attuato la società razzista più orribile dell’epoca moderna, l’Apartheid in Sud Africa.

Da mondi così lontani i due però si incontrano e fanno letteralmente la Storia, come racconta il libro “Playing the Enemy: Nelson Mandela and the Game that Made a Nation” di John Carlin e poi il film di Clint Eastwood del 2009, “Invictus”, da cui trarrò delle citazioni.

“Se io non so cambiare quando le circostanze lo impongono come posso chiedere agli altri di cambiare?”

François Pienaar, che oggi compie 54 anni, non era un rugbista qualsiasi, era uno dei terza linea migliori al mondo ed era capitano degli Springboks, nato e cresciuto in uno dei posti a più alta densità rugbistica al mondo, la provincia del Transvaal, che proprio l’anno precedente finì di esistere per una riorganizzazione del territorio.

“Il perdono libera l'anima e cancella la paura”.

Non era un atleta qualsiasi, tanto è vero che il 26 giugno 1993, a Durban, al suo esordio con la Nazionale nella partita successiva al ritiro internazionale del precedente capitano, Naas Botha, fu lui ad essere eletto capitano della squadra. E da capitano della squadra su cui tutte le speranze erano riposte per la costruzione da zero di una nazione-ghetto fino a pochi anni prima, affronta i Mondiali casalinghi con un peso enorme sulle spalle.

“Sono io il padrone del mio destino, il capitano della mia anima”.

Gli Springbok dovettero subito affrontare un avversario difficilissimo, l’Australia campione del mondo in carica, dopo aver battuto tutti nella Coppa del mondo 1991, a cui il Sud Africa non aveva partecipato perché ancora non invitata per colpa della sua politica sociale. Il Sud Africa però vince subito, 27-18 e ha poi vita facile contro Romania e Canada che fanno parte dello stesso girone.

“Il giorno in cui avrò paura di rischiare, non sarò più adatto a fare il leader”.

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Si arriva ai quarti e gli ostici atleti delle Samoa occidentali reggono l’urto Springboks per poco tempo, perché l’ala di colore Chester Williams li distrugge con ben quattro mete. In quella partita Williams diventa il mito di tutto il Sud Africa, senza nessuna differenza ed è un altro dei grandi protagonisti di quella cavalcata verso l’idea di Paese arcobaleno voluto da Mandela.

“Tutti i bianchi tifano per il Sud Africa. Tutti i neri tifano per l'Inghilterra. Questo deve cambiare”.

In semifinale meravigliosa partita contro la Francia di Ntamack e Lacroix, brillante nel gioco e nelle idee. È una partita che resterà per la bellezza e anche per la vittoria ancora una volta del Sud Africa, per 19-15. Si arriva al giorno della finale, 24 giugno 1995, all’Ellis Park di Johannesburg. Ci sono i sudafricani, ma gli altri? Beh, gli altri sono una squadra incredibile, guidata da un atleta incredibile, la Nuova Zelanda di Jonah Lomu.

“I tempi cambiano. E dobbiamo cambiare anche noi”.

La Nuova Zelanda aveva letteralmente asfaltato la Scozia ai quarti e schiantato l’Inghilterra in semifinale. E quando scriviamo asfaltato e schiantato lo diciamo letteralmente, in quanto Lomu ha spesso spianato corpi avversari passando oltre come se uomini di 130 kg di muscoli non esistessero.

Il pronostico della finale quindi pende fortemente verso gli All Blacks, ma Pienaar prima del match richiama alla mente e al cuore dei suoi compagni il desiderio inarrestabile di farcela che ha da sempre guidato uomini bianchi e neri del Sud Africa, da poco tempo per fortuna tutti fratelli.

“Secondo gli esperti, arriveremo ai quarti di finale e non oltre. Secondo gli esperti, tu ed io dovremmo essere ancora in cella”.

E facendo appello a questo rinnovato spirito comunitario, il Sud Africa riesce a vincere, per 15-12, giocando una partita di puro sacrificio, lottando davvero allo spasimo su tutti i palloni e impedendo di far realizzare mete alla macchina perfetta tutta nera. L’azione decisiva è il drop di Joël Stransky nel secondo tempo supplementare. Ma l’ultimo momento della partita vede in mischia gli Springboks contro gli All Blacks e sarà una spinta colossale di Pienaar a disordinare il pacchetto neozelandese e a far sì che l’arbitro inglese Morrison fischiasse la fine. Quando si inginocchia dopo un secondo dal fischio finale, Pienaar è sommerso dall’abbraccio di tutti i suoi compagni.

“Oggi eravamo sospinti da 43 milioni di persone”

Ma il momento più emozionante ancora non era arrivato. A consegnare la Coppa sul prato dell’Ellis Park al capitano è proprio Nelson Mandela, che indossa la sua maglia, la maglia di un afrikaner che da quel momento però diventa la maglia di tutti i sudafricani, perché tutti insieme in un solo popolo e in un solo Paese. Ed è bello finire proprio con le parole di François Pienaar in ricordo di quel momento esatto:

“Quando Nelson Mandela mi diede la Coppa, mi disse; “Grazie per quel che ha fatto per il Sudafrica”, ma io gli risposi: “Grazie per quel che ha fatto Lei!”.

Due uomini all’opposto che si uniscono per far ripartire la Storia.

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