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Francesca Palumbo ancora una volta nella storia del fioretto italiano: “La mia miglior stagione”

All’indomani dell’ennesima straordinaria storica impresa dell’Italia ai Campionati Assoluti europei di Plovdiv, ai microfoni di Fanpage.it è intervenuta Francesca Palumbo, fresca medagliata in Romania e neo campionessa italiana di fioretto.
A cura di Alessio Pediglieri
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29enne potentina, fiorettista di professione, Francesca Palumbo dal campionato del Mondo Under 20 di Porec 2013 non si è più fermata nel salire e scendere dai vari podi, che fossero olimpici, italiani o internazionali con l'apoteosi nel doppio oro nel fioretto a squadre agli Europei e ai Mondiali dello scorso anno. E dopo un 2022 da favola, il 2023 l'ha incoronata anche a livello individuale in una nuova stagione straordinaria, "forse la migliore per crescita e risultati", dove insieme alle altre fiorettiste Martina Batini, Martina Favaretto e Alice Volpi ha scritto una nuova pagina di storia di questa disciplina, monopolizzando con 4 medaglie il podio continentale.

Un'impresa unica, incastonata in un panorama difficilissimo, che sta ancora oggi pagando le conseguenze della guerra in Ucraina: "Un periodo complesso, pieno di contraddizioni e ricco di frustrazioni per noi atleti, gestito in modo pessimo".
Ma che ha permesso di trarre ancora una volta una delle lezioni più importanti da tenere con sé e regalare agli altri: "Perché alla fine lo sport ti insegna anche questo: surfare le onde piuttosto che lamentarsi e piangersi addosso rischiando di mandare tutto all'aria".

Francesca, iniziamo dalla fine: è arrivata la prima medaglia individuale agli Europei.
E' stato il mio primo podio in assoluto ad un campionato europeo: l'anno scorso lo avevo solamente accarezzato, mancandolo per un soffio e mi era rimasto l'amaro in bocca che mi sono portata dietro fino alla mattina stessa della gara quando ho poi realizzato che avrei potuto farcela e conquistare anche questo traguardo. E' stata una gioia immensa conquistare questo podio e anche tanto rammarico perché mi sarebbe piaciuto fare meno errori nella parte finale dell'assalto nel derby con Martina Batini. Però alla fine, va bene così perché nei nostri tanti derby azzurri ci conosciamo alla fine così tanto bene che può anche capitare di essere magari meno lucidi per la complessità degli assalti.

Le quattro fiorettiste che hanno monopolizzato la scena agli Europei nella prova individuale
Le quattro fiorettiste che hanno monopolizzato la scena agli Europei nella prova individuale

Come hai vissuto questa ultima positiva esperienza?
E' stata una gara tosta perché l'Europeo di per sé è una competizione impegnativa, molto corta con pochi avversari ma di un livello immediatamente molto alto dove è fondamentale fare bene ai gironi. Per fortuna noi arriviamo agli Europei sempre dopo il campionato Italiano, che devo dire ci prepara, perché anche agli Assoluti la gara è corta ci si confronta subito tra i migliori. Personalmente mi reputo soddisfatta anche perché la dimensione è diversa e più importante: ho tirato molto bene sin da subito dovendo affrontare una polacca di altissimo livello [Hanna Łyczbińska, ndr], che mi ha messo in difficoltà: felicissima di aver portato in pedana lucidità e concentrazione che poi mi hanno premiata.

L'intera squadra femminile di fioretto è poi salita sul podio
In realtà non abbiamo capito subito cosa fosse accaduto, è stata una situazione del tutto strana: tiravamo tutte su pedane diverse e abbiamo concluso i nostri incontri in momenti leggermente diversi. Poi ci siamo ritrovate solo presso la delegazione azzurra, tutte sorridenti perché ognuna aveva portato a compimento positivamente il proprio incontro. E poi perché almeno per una volta non eravamo finite nella stessa parte del tabellone perché purtroppo spesso capita che ci si elimini a vicenda. Ricordo ad esempio cosa accadde nello scorso Europeo quando io vinsi il primo derby per entrare negli otto contro Favoretto e poi persi subito dopo contro Errico per l'accesso tra i quattro.

Quando avete realizzato di aver riscritto la storia della scherma?
La battuta che abbiamo fatto tra di noi è stata: "ragazze abbiamo vinto noi sui maschi! Tutte e quattro sul podio!" Perché l'anno scorso proprio i maschi erano riusciti a piazzarne tre sul podio e ci tenevamo a provare a vincere anche questa sfida interna. Poi, là per là non ci siamo subito rese conto che effettivamente questo evento non fosse mai successo prima e che rappresentasse un fatto straordinario anche per il nostro sport, perché subito dopo il momento di felicità siamo ritornate a concentrarci per concludere la gara. Probabilmente ce ne siamo rese conto più il giorno dopo, quando ci è stato detto che avevamo compiuto qualcosa di incredibile con il fioretto femminile che ha scritto una pagina della storia di questo sport.

Una stagione difficile, non solo gli stessi Europei, condizionata dalla guerra in Ucraina
Inutile nascondere che per tutte noi quest'ultimo periodo è stato pesantissimo perché abbiamo dovuto affrontate sei gare in sei settimane, tutte importantissime e di qualifica olimpica che necessitavano una preparazione vicino alla perfezione. Noi abbiamo finito il blocco di gare a marzo e abbiamo iniziato subito a lavorare per quello che pensavamo sarebbe stato solamente un mese di stop, per preparare le ultime tre gare di coppa del mondo e poi avvicinarsi agli appuntamenti di Europei e Mondiali.

E invece, cos'è successo?
Quasi alla fine del mese di preparazione dove tutte oramai avevamo gestito precisi carichi di preparazione atletica, tecnici, di recupero, improntando il lavoro su determinate tempistiche siamo venute a conoscenza che le gare che stavamo preparando sarebbero state cancellate a tempo indeterminato. E ciò è durato quasi dieci giorni, lasciandoci nel limbo per tantissimo tempo. Poi, è sopraggiunta la riorganizzazione tutta nuova del calendario: in quel momento ci siamo rese conto che non avremmo avuto più un momento libero, utile e necessario per resettarsi, allenarsi e lavorare sugli errori commessi. Non solo noi, tutto l'ambiente si è reso così conto che era quasi impossibile potersi adeguatamente preparare, creando problemi soprattutto nella gestione delle energie fisiche e mentali.

Ti sei chiesta come mai di tutta questa confusione?
Ne abbiamo ripetutamente parlato tra noi e ci siamo ritrovate un po' frustrate perché ci rendevamo conto che erano tutti cambiamenti necessari a livello burocratico, ma che a livello pratico non hanno prodotto alla fine alcun cambiamento: i russi infatti continuano a non poter partecipare alle nostre gare per dei requisiti che al momento non possono ancora ovviamente rispettare. Per quanto mi riguarda era giusto reintrodurli visto che lo sport deve essere e restare un ambito inclusivo e apolitico come si sostiene a parole.

E invece i fatti hanno mostrato tutt'altra situazione
Sì, perché lo sport si è ritrovato ad essere utilizzato come strumento politico nelle mani delle varie strutture e organizzazioni. Era prevedibile tutto questo gran caos, perché nel momento in cui tu reintroduci degli atleti che fino al giorno prima avevi escluso, sai che di andare incontro ad una serie di problematiche che non possono far coincidere tutti gli interessi in gioco contemporaneamente. Senza dimenticare anche la difficoltà che ci sarebbe stata per la gestione dell'immagine della rappresentanza russa alle gare. Insomma, una situazione complessa ma gestita male, in modo del tutto superficiale e irrispettoso nei confronti dei professionisti che siamo, con tempistiche totalmente sbagliate.

Ed entrando nel merito del ritorno degli atleti e atlete russe?
Per noi atleti è giusto che loro tornino a gareggiare perché se vogliamo sposare i reali principi dello sport e della competizione sana e uguale per tutti è fondamentale che in quelle più importanti inclusa una Olimpiade ci sia una federazione forte come la Russia. Perché altrimenti tutto rischia di essere alla fine anche un po' falsato nei confronti di chi magari ottiene dei risultati e pensare di aver conquistato una medaglia laddove non ci sono stati tutti i propri avversari in gioco.

Si può definire l'attuale la tua migliore stagione?
Ci riflettevo proprio alcuni giorni fa e per diversi aspetti devo direi di sì. Il 2019 a livello di Coppa del Mondo fu migliore di questa gareggiando in una finale in più, però a livello di titoli e di risultati importanti, sì è la mia stagione migliore anche come crescita di livello personale. Il titolo assoluto italiano mi mancava così come il podio agli europei che è arrivato al terzo tentativo nella convinzione che non finisca qui.

Che rapporto hai con le altre discipline e gli altri sport?
Premetto che amo seguire moltissimo tutte le altre discipline, dal basket al tennis ma seguo poco in particolare uno sport, il calcio. Un po' anche per una scelta diciamo culturale. Resta uno sport meraviglioso, ma ritengo che tutta la costante attenzione mediatica riservata al calcio non è che sia sempre eccessiva ma che spesso obbliga a essere messe in parte anche altre realtà che sono altrettanto interessanti.

Proprio nel calcio ha sorpreso la presenza inattesa dell'Inter nella finale di Champions League: fondamentale è esserci o vincere in queste situazioni?
Io penso che si debba sottolineare la grande differenza tra l'essere una persona di successo, intesa in questo caso come atleta, squadra o società, e l'avere successo. E questo potrebbe essere il caso dell'Inter ritrovatasi in finale senza aspettarselo seppur con merito, al contrario di una squadra solida e matura costruita nel tempo per questi successi, con tutti i rischi che si corrono.

Cioè?
Quando ti ritrovi ad ottenere dei traguardi così importanti inaspettati c'è il grande rischio di fare scattare una dinamica particolare, perversa, dove non sei abituato a gestire tutto ciò che ne consegue. Il rischio è perdersi perché il traguardo non corrisponde ad una reale crescita, necessaria e graduale, che porta poi a una consapevolezza profonda di ciò che sei realmente in grado di fare. Poi alla fine, l'augurio di tutti noi sportivi è di poter essere sempre lì sul pezzo, di potersi giocare i traguardi importanti ed è giusto che l'Inter si sia goduto tutto fino alla fine. È lo spirito che spinge noi atleti nel profondo, di andare sempre oltre l'ultimo ostacolo ma senza oltrepassare un filo sottile, quello del costi quel che costi. Perché  il costi quel che costi non ne vale mai la pena, significa perdersi sempre qualcosa lungo il cammino, significa perdere anche qualche parte importante di sè. E alla fine ti ritrovi a non saper gestire le sconfitte e le vittorie, due facce di una stessa medaglia che rischiano di distruggere gli atleti anche come persone.

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