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Us Open, Flavia Pennetta vince e lascia il tennis

Durante la cerimonia di premiazione, Flavia Pennetta annuncia di voler abbandonare il tennis. Finirà comunque la stagione: quasi certa la qualificazione ai WTA Championships. Da lunedì sarà numero 8 del mondo, il suo best ranking.
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"Prima di questo torneo ho maturato una decisione importante. Lascio il tennis". Flavia Pennetta spiazza tutti nel discorso durante la cerimonia di premiazione dello Us Open. "Ho sempre voluto lasciare in un momento così. Questo è stato il mio ultimo match in questo torneo". E' un'uscita di scena elegante, che spiazza e commuove. Elegante come il suo torneo, elegante come la finale giocata combattendo l'emozione di giocare contro un'amica. Commovente come l'abbraccio che ha accompagnato il finale di partita con Roberta Vinci che per un set ha provato a fare il meglio che il residuo di energie fisiche e nervose le hanno consentito dopo l'ebbrezza stordente dell'impresa in semifinale contro Serena Williams. Forse, a freddo, rivedendoli, potrà anche rimpiangere i due dritti mancati che hanno deciso il tiebreak del primo set. Forse, ripensandoci, si dirà che magari avrebbe potuto pazientare un po' di più e aspettare che venisse la pioggia per farla respirare.

Ma quel che resta di questa finale unica e storica, anche se non bellissima, è il dopo. E' Roby finalista sconfitta che ride e sorride nemmeno l'avesse vinto lei il torneo, che scherza con l'amica Flavia, sedute vicine a parlare come se non avessero appena portato l'Italia dove nessuna aveva mai nemmeno osato sognare prima di loro. E' Roby che scherza e vorrebbe prenderle trofeo e assegno, è Flavia che ancora raggiante annuncia la grande decisione, e all'inizio confesso di aver pensato volesse domandare in mondovisione a Fabio Fognini di sposarlo.

Invece Flavia, che solo venti giorni prima confessava al suo coach e al suo fisioterapista di non sentirsi pronta a raggiungere, e a giocarsi, una finale Slam, non solo la gioca e la vince, ma lascia da campionessa. Lascia come Pete Sampras, che però ha ufficializzato il suo addio un anno più tardi del suo ultimo Us Open. "Dopo l'infortunio al polso" ha detto Mats Wilander, opinionista di Eurosport a caldo dopo la finale, "Flavia è tornata più serena, più tranquilla. Il suo è un grande esempio per tutte: dopo la pioggia arriva sempre il sole".

"Finirò l'anno perchè ho ancora voglia di giocare un po' ma poi è finita" spiega poi allo svedese e a Barbara Schett su Eurosport mentre il cielo si apre in un temporale che sembra quasi un pianto di commozione che riempie l'Arthur Ashe. Ora, sotto gli occhi del presidente federale Angelo Binaghi, di Matteo Renzi e di Giovanni Malagò, presidente del CONI e del circolo romano dell'Aniene che l'ha ospitata, Flavia felice anticipa il saluto.

Davanti agli occhi le saranno passati tutti i momenti di una storia fatta di ostacoli e grandi soddisfazioni. Una storia che l'ha portata nella storia del nostro tennis, prima giocatrice a entrare nell'elite più ambita del mondo, la top-10. "La mia vita è cambiata, all'improvviso ero una celebrità" raccontava nel libro di Malagò, Storie di sport, storie di donne. "Dopo che ti fai un mazzo cosìper anni sentirti dire quanto sei forte, quanto sei in gamba è gratificante. Pensi: finalmente".

Perché Flavia è testarda, è dura, è della materia di cui sono fatti i sogni. E la finale di New York ha dimostrato che quando li coltivi abbastanza a lungo, come la ginestra leopardiana o la stella alpina che è fiorita sulle montagne, poi si avverano. Ha lavorato tanto sul suo sogno Flavia, che si è aperta una strada a suon di corse e sudore. Prima italiana al numero 1 del ranking, anche se "solo" in doppio, in coppia con Gisela Dulko, è cresciuta con i capelli corti, alla maschietto, e le racchette al posto delle bambole. Con un papà come Oronzo, factotum e guida del tennis a Brindisi, è inevitabile. Oronzo ha fatto di tutto per riportare Flavia a giocare la Fed Cup a casa quest'estate. Erano passate dieci anni dall'ultima volta, e di fronte c'era proprio Serena Williams, c'erano gli Stati Uniti. A voler rileggere con la lente emozionata della dietrologia, si direbbe un segno del destino. Un cerchio che si chiude. Un universo che si svela nella saggezza del poi.

A vederla oggi, così matura e consapevole, così felice dei passi e della strada percorsa, la mente torna a quel tatuaggio del 2007, a quelle tre M che allora non significavano nulla o quasi, solo il ricordo di una scritta ossessiva sulle foto lasciata dalle sue amiche: "Flavia la Meior del Mundo Mondiale". Se la porta addosso, e un po' se la porta dentro, quella scritta, quella convinzione di essere più forte del destino, più forte delle delusioni d'amore, su tutte quella sofferta per la rottura con Carlos Moya, più forte degli infortuni alla spalla e a entrambi i polsi, della fascite plantare, di un tennis che fa giocar bene le avversarie, di una carriera che sembrava scritta nel segno e nel senso del vorrei ma non posso.

Tanti successi di squadra, il ruolo di guida nella nazionale che nell'ultimo decennio ha quasi monopolizzato la Fed Cup, lampi a volte isolati come le 15 vittorie di fila nell'estate della top 10, i sei match point salvati a Vera Zvonareva sullo stesso Arthur Ashe Stadium che oggi l'ha incoronata, o il titolo a Indian Wells. Ma qualcosa sembra sempre mancare, e l'occasione contro Angelique Kerber, la semifinale sfuggita nonostante un break di vantaggio al terzo contro la tedesca che ancora non era la top 10 che ha giocato e perso la scorsa settimana uno dei match dell'anno contro Azarenka, sembrava fotografare una carriera in altalena.

Ma stasera è cambiato tutto. Ed è stato come fotografare un momento, come assistere alla realizzazione di un sogno a lungo accarezzato, cullato come un bimbo. E' stato come assistere all'ultima metamorfosi della bambina che voleva solo essere una buona giocatrice italiana e magari giocare una volta al Foro Italico, perché papà e mamma la portavano sempre a vedere gli Internazionali. In quelle parole commosse, precedute dalla cerimonia di premiazione più sentita, genuina, divertente e divertita che si ricordi, lo stadio più grande del mondo, che si aspettava di vivere un'altra storia, ha finito per innamorarsi del meglio che l'Italia e la Puglia sa esprimere. E' qui che Flavia ha voluto dire addio. Sa qual è la sua strada, sa dove vuole andare per andare dove vuole andare.

"Ci sono momenti in cui bisogna pensare a chi sei e a ciò che hai fatto", diceva al presidente Malagò, "altrimenti ti perdi". Buon viaggio, e grazie.

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