Filippo Macchi: “Ho pianto dopo l’argento alle Olimpiadi. Arbitri scarsi e troppa discrezionalità”

Una vita per il fioretto, il fioretto per la vita. La già sorprendente giovane carriera di Filippo Macchi potrebbe essere riassunta in questo motto. "Non c'è mai stato dubbio… Nemmeno ho provato a fare altre armi: mio padre fiorettista, mia madre pure, mio nonno anche, il mio primo insegnante prevalentemente maestro di fioretto… Tutti parlavano bene del fioretto e male delle altre armi…" ha raccontato a Fanpage.
Il due volte argento di Parigi 2024, nell'individuale e nella gara a squadre maschile, si è goduto anche due podi alla sua prima Olimpiade. Medaglie dal sapore completamente differente: amarissima la prima, straordinaria la seconda. Che però, Filippo Macchi si porta gelosamente nel cuore: "La prima sa di profondo rammarico. In pedana sono stato calmo, poi ho pianto e i danni li ho fatti dopo…". E la seconda? "Semplicemente unica".
Come giudica questo inizio di carriera?
La voce degli argenti inizia a essere troppo alta… bisogna un po' recuperare con qualche oro. Sicuramente sono soddisfatto, è che scherzo da quando sono nato. Avevo riposto molte aspettative in questo sport, nella scherma e oggi a 23 anni posso essere fiero e orgoglioso di quello che sono diventato e di quello che sto diventando piano piano.
Quindi va bene così?
Sono una persona che si accontenta difficilmente, non sono completamente soddisfatto del mio palmares, ho qualche sassolino nella scarpa che probabilmente rimarrà per per sempre… però la lotta fa parte della mia quotidianità, quindi non mi sono mai tirato indietro. Ogni sfida può essere stimolante per il mio futuro, quindi che ben vengano le medaglie, le vittorie più spesso, più frequentemente e piano piano aumenteremo tutte le voci del mio palmarès.
Sta dimostrando di saper vincere sia a livello individuale che a squadre. Che differenze trova?
Domanda difficilissima perché è quasi come se fossero due due sport completamente diversi perché nel momento in cui gareggiamo da soli, siamo noi, tutto dipende da noi e siamo gli artefici del nostro successo o del nostro insuccesso. Quando invece gareggiamo a squadre, bisogna rendere conto anche ai propri compagni di squadra, quindi è un peso maggiore. Non le metto in competizione perché le trovo molto diverse come gare.

Dove si trova meglio?
Diciamo che la gara squadre è sempre stato, fino a qualche tempo fa, un po' il mio tallone d'Achille, perché ho sempre faticato di più, perché tiriamo a cinque stoccate invece che a 15, quindi c'è molto meno tempo per entrare nel match e bisogna entrare e uscire. Invece nella gara individuale fai le tue 15 stoccate e una volta finito hai due ore prima di affrontare un altro assalto.
Quanto conta essere affiatati anche giù dalla pedana?
Conta tantissimo, negli ultimi anni abbiamo fatto una squadra a cinque straordinaria. E' vero che alle Olimpiadi eravamo in quattro quattro, perché il nostro capitano, Daniele Garozzo, purtroppo, non ha potuto partecipare con noi alle Olimpiadi. Ma ci teniamo a ricordarlo sempre soprattutto perché per quanto mi riguarda, Daniele è un punto di riferimento fisso.
Mai successo di non andare d'accordo con qualcuno?
Ovviamente essendo in cinque abbiamo caratteri diversi, quindi non è detto che a tutti piaccia fare le stesse cose fuori dalla pedana. È anche vero però che siamo persone grandi e siamo persone mature: siamo persone che sanno cosa vogliono e siamo dei vincenti. Questo penso sia la cosa più più importante. Nel momento in cui saliamo in pedana, tutti vogliamo la stessa cosa. Soprattutto quando gareggiamo a squadra ci mettiamo a disposizione l'uno dell'altro.

E i risultati, infatti, si vedono…
Non sempre accade, perché il livello della schema mondiale sta diventando sempre più alto, sta crescendo a dismisura. Penso a Nazioni che fino a qualche anno fa probabilmente non facevano nemmeno scherma, ora hanno campioni olimpici e quindi l'Italia non è più così dominante come lo era prima. Ma non importa chi ci sia in squadra: chi entra in squadra sa già che noi siamo un unico nucleo per per affrontare qualsiasi avversario.
Ma c'è qualcuno a cui si ispira in particolare?
Per quanto riguarda la l'ispirazione, beh, ho citato già Daniele prima e penso che sia doveroso citare anche Alessio Foconi, perché ha 36 anni e diciamo che è oltre… E non vuole smettere, non ci pensa neanche e già per mettere le cose in chiaro ha vinto due gare di Coppa del Mondo individuale quest'anno, quindi ha fatto capire l'antifona… Ho cercato di prendere tanto da loro e affiancare al mio talento: sono consapevole oggi a 23 anni che se pur giovani, il duro lavoro paga sempre in un modo o nell'altro.
A proposito di talento, lei è cresciuto a pane e scherma. Mai pensato di fare altro?
Beh, io ho giocato a calcio per un periodo, come tutti i ragazzi. Una volta si fece una trasferta al Marassi a Genova e feci anche gol, con l'Atletico Calci. Poi da piccolo ho fatto un anno o due anni di karate. L'obbligo della mia famiglia non c'è mai stato di fare la scherma, c'era però l'obbligo, di pari passo con lo studio, che dovevo fare uno sport per forza. E lo sport mi hanno sempre dato la possibilità di sceglierlo. Sono andato in palestra di scherma visto che tutti parlavano di scherma a tavola, colazione, pranzo e cena, e mi son detto "Vediamo cos'è, com'è questa scherma".
E com'è questa scherma?
Sono andato e mi è piaciuta. Poi ho definitivamente deciso di fare solo scherma perché a 12 anni i miei mi dissero "Sì, va bene lo sport, ma devi anche studiare". Ho fatto un calcio e scherma per un periodo e mi hanno detto "Se fai calcio e scherma poi togli troppo tempo allo studio. Quindi scegli uno tra questi due". Avevo già iniziato a fare le prime gare di scherma e stavano andando particolarmente bene.
Cosa significano le Fiamme Oro per lei?
Tutto. A 17 anni qualcuno che ti chiama e ti dice: "Noi ti diamo il lavoro per fare quello che ami di più"… penso che sia l'attestato di stima e fiducia più grande che si possa avere da qualcuno, quindi alle Fiamme Oro devo tutto.
Perché il il fioretto e non un'altra arma?
Non c'è mai stato dubbio. Nemmeno ho provato a fare altre armi: mio padre fiorettista, mia madre pure, mio nonno anche, il mio primo insegnante prevalentemente maestro di fioretto… Tutti parlavano bene del fioretto e male delle altre armi…
Cos'è che manca alla scherma oggi per restare ai massimi livelli di visibilità al di là di mondiali o Olimpiadi?
Sono d'accordissimo che manchi qualcosa ed è fuori fuori discussione. Il maestro di scherma che va nelle palestre o nelle scuole non basta più, bisogna far sì che questi ragazzi giovani si appassionino alla scherma. Basandosi su investimenti di marketing o mirati, come con i social: oggi abbiamo la possibilità di divulgare tanto e vedo altre federazioni che hanno TikTok, Instagram con oltre un milione di follower e e la Federazione Italiana Scherma ne ha forse 100.000.
Un po' come li utilizza Alessio Foconi, un social manager della scherma?
Forse ne ha più lui della Federscherma, per quello che fa. Alessio è molto bravo. Sì, è un fenomeno da quel punto di vista. Lo è sia in pedana che che sui social. Quindi è necessario, sfruttando l'immagine di noi atleti che stiamo andando forte e che siamo visti dai ragazzi più giovani, come punti di riferimento sia nel momento in cui perdiamo o vinciamo, Olimpiadi o no.
A proposito di Parigi 2025, sono state le sue prime. Come le ha vissute?
Per spiegarlo devo raccontare un aneddoto: nel 2021 durante le Olimpiadi di Tokyo che erano state posticipate per il Covid, io ero a fare fare il bagnino a Maccarese, allo stabilimento della Polizia di Stato, perché non ero in squadra e avevano bisogno di personale. Sono partito e vedevo che tutti guardavano le Olimpiadi, però io ero lì a a a lavorare… E quindi questa cosa mi ha un po' turbato e in quei giorni io scrissi sul mio telefono una nota, "Parigi 2024" e da lì ho buttato giù tutti i pensieri che mi sono passati nella testa nel triennio successivo.
E alla fine cos'è successo?
E' successo dopo Tokyo, arriva Stefano Cerioni e mi ha dato una dose di fiducia incredibile: ha visto in me le qualità di un grande atleta, di un potenziale campione. La sua fiducia l'ho percepita fin da subito. Mi ha sempre messo un po' di pressione e sempre fatto capire nella sua vicinanza e la sua stima. Voleva vedere giustamente come reagissi, mi chiedeva risultati, mi mi diceva "Oh, qua siete in cinque e i posti sono tre per la gara individuale…". E io ho sempre risposto ho sempre risposto presente.
Fino al sogno olimpico che si è avvicinato sempre più.
L"ultimo anno è stato l'anno un po' più particolare, succedeva che tornavo a casa dopo gli allenamenti, non mi allenavo bene e magari mi mettevo a piangere da solo. Io son sempre stato un ragazzo super solare… per me era una cosa stranissima, non non non capivo.
Cosa stava succedendo?
Non lo so. Fortunatamente ho avuto e ho tutt'ora persone importanti al mio fianco e in particolare il mio psicologo che ho da quando c'ho 16 anni. Ho sempre avuto questa figura nel mio staff e piano piano ne sono uscito da questa situazione qua. Quando sono arrivato agli europei di Basilea: durante la gara, anche se non andò benissimo, ritrovai le sensazioni positive e il giusto feeling con la pedana. Onestamente da dopo gli europei è stato tutto un crescendo e devo dire la verità, ero sicuro di vincere la gara individuale almeno. Ero proprio sicurissimo.
In che senso?
Ogni giorno che andavo in palestra imparavo qualcosa di nuovo, perfezionavo qualcosa, mi addormentavo la sera alle 11:00, mi svegliavo alle 8:00 e mi sembrava ad essere una persona nuova ogni mattina. Ho affrontato le Olimpiadi con una tranquillità e una serenità con la quale non ho mai affrontato nessuna gara e se uno ci pensa e dirlo ora per me… è paradossale, no?
Che impatto ha avuto con l'ambiente, gli altri atleti, il Villaggio Olimpico?
Appena sono entrato dentro al villaggio olimpico, mi ricordo ho mandato un messaggio sul gruppo della mia famiglia e ho scritto "Ragazzi, sto vivendo un sogno". Perché vedevo tutte quelle persone, tutte tutti i campioni, più grandi campioni dello sport mondiale, io ero lì tra loro. Poi però da quel momento in poi ho resettato, ho tappato tutto, mi sono chiuso in camera, facevo camera, mensa, palestra.
Ma non ha sofferto caldo, cattivo cibo e altri disagi?
No, no, onestamente zero, zero… per me lì era il mio sogno. Andava bene qualsiasi cosa comunque. Anche per strada potevo dormire… Beh, c'è chi ha dormito per terra [Thomas Ceccon, ndr] eh sì, poi ha vinto, quindi ha fatto bene… Forse dovevo dormirci anche io… una dormitina sull'erba non col senno del poi non sarebbe stato male.
Cos'è che so porta con sé di questa esperienza?
La possibilità d conoscere delle persone fantastiche. La cosa che onestamente mi ha dato più forza di tutto e mi ha fatto tornare veramente felice della spedizione che ho fatto oltre oltre alle medaglie, ovviamente, è stato sentire il calore delle persone che mi sono sempre state vicine. La mia famiglia, la mia fidanzata, i miei suoceri, tutte persone squisite che mi hanno accompagnato in questo percorso. La cartolina più grossa la devo a loro, perché se lo meritano, loro sono le persone che si meritano di più di condividere le gioie con me perché hanno condiviso le delusioni.

A proposito di delusioni: 29 luglio, la finale persa 15-14. Cosa è successo in quei momenti?
Ovviamente ho rivisto tutto, tutto l'assalto, tutta la gara, perché i sentimenti che provavo nel corso della gara faccio fatica a ricordarli, onestamente perché ero probabilmente super centrato. Io non non mi ricordo nulla… il buio più totale, di sicuro in trance agonistica….
Succede che lei era sotto per tutta la finale poi riuscì a portarsi sul 14-12, da lì in poi?
Sì, sono stato sotto per quasi tutto il match però non mi ricordo mai di aver avuto paura di di questo svantaggio… cioè ero sempre consapevole del fatto che secondo me sarei potuto riuscire riuscire a vincere. Sul 14-12 la prima stoccata ero sicuro di avere acceso subito la luce, eppure non non si è accesa. A volte succede e vabbè, è andata così, la prima. La seconda lui è stato bravo perché mi ha cambiato il tempo di un affondo e io non sono sono andato a parare troppo in anticipo.
Lei ha detto che la sua colpa è stata non aver chiuso prima l'incontro, conferma?
L'errore è stato fatto prima, cioè sì: io dovevo dovevo chiudere prima quell'assalto, dovevo essere più cinico, è qualcosa che ancora oggi forse è il mio più più grande limite perché faccio fatica spesso a chiudere determinati assalti e su questo ci sto lavorando tanto. Ci lavorerò ancora perché quando si arriva a 14 gli assalti non sono finiti, finiscono a 15… quindi devo essere più cinico, più determinato perché nella mia vita sono super mega determinato in ogni ambito e quindi non vedo il motivo per il quale non possa esserlo anche sulla 15ª. E poi l'ultima stoccata su cui rimango della mia idea sulla decisione arbitrale…
Lei ha detto anche che la scherma è uno sport a discrezione dell'arbitro: forse non troppo?
Sì, penso onestamente penso di sì, ma questo lo pensavo e lo pensiamo in tanti, lo pensavo anche prima delle Olimpiadi. Purtroppo il problema della scherma è che se prendi una stoccata ci sono 10 arbitri tra cui cinque la danno in un modo e cinque che la danno in un altro. Spesso noi atleti veniamo messi in difficoltà perché non capiamo mai il metodo di giudizio di ogni arbitro. Sicuramente c'è troppa discrezionalità.

Ma va bene così o è il momento che qualcosa cambi?
Il trattato di scherma è lo stesso da 100 anni, quindi non è mai cambiato e viene aggiornato raramente. Sicuramente dovrebbe essere fatto qualcosa ma non sempre ad arrivare all'episodio da contestare. Le cose devono cambiare perché nel mondo fortunatamente la vita va avanti e le persone si evolvono, le cose cambiano, quindi oggi è sicuro che l'arbitraggio sia troppo determinante.
Ma lei in quella finale ha chiesto hai chiesto spiegazioni?
A fine gara sì, ho chiesto spiegazioni più che altro su quella un po' più eclatante, non l'ultima ma la prima: l'errore un po' più grossolano, diciamo. In quel momento ho chiesto spiegazioni.
E cosa le è stato detto?
Mi è stato confermato il "No". Poi sull'ultima ripeto, nulla da dire: sul ferro ci andiamo in due. Ci vado anch'io, però lui ci va più con i gradi più forti che da regolamento è giusto: onestamente io sull'ultima stoccata anche da dentro l'avevo sentita che avevo un po' torto. Però il problema è la prima delle tre… un arbitro in una finale olimpica dovrebbe giudicarla correttamente: è una stoccata giudicata tante volte in precedenza…
Ma la tecnologia non ha aiutato in quel caso?
No. Noi abbiamo la possibilità di chiamarlo, abbiamo due moviole a testa, anche se sul 14 pari l'arbitro deve andare alla moviola per regolamento. Però proprio per questo motivo se c'è la possibilità di rivedere l'azione e un arbitro dopo averla vista dal vivo, dopo averla rivista in moviola, non si sente giudicare in una finale olimpica dove la posta in palio è così alta, una stoccata del genere…

Malafede?
No. Forse la pressione, ripeto: ancora oggi a distanza di mesi non vedo minimamente malafede perché non ci voglio credere a queste cose qua, onestamente. Vuol dire forse un po' di scarsa preparazione. Era una designazione non proprio eccelsa, mettiamola così.
In quel momento lei è riuscito a controllarsi. Chi ha fatto il diavolo a quattro è stato coach Cerioni…
Sì, sì. Io e Stefano ci siamo sempre presi subito perché siamo molto simili caratterialmente, quindi tutti e due molto fumantini, tutti e due molto irascibili. L'unica cosa in cui sono stato bravissimo è stato il fatto di prendere e andare via, perché avrei potuto fare tanti molti più danni di quelli che invece non ho fatto. Sono stato sono stato bravo, io appena ho capito che era finita ho detto "Fammi andare via qua perché sennò faccio casino".
E poi cos'è successo, dietro le quinte?
I danni li ho fatti poi… Ho pianto, ho pianto molto sì. Sono corso via, sono scappato via. Ho saltato tutti senza alcuna intervista, infatti poi mi sono anche scusato con i giornalisti, perché non era corretto. Sono rimasto con i miei compagni di squadra, la mia fidanzata che, in realtà, è riuscita a entrare in qualche modo. C'erano milioni di controlli, non so come abbia fatto, ma per fortuna: mi ha calmato tantissimo e poi dopo 45 minuti sono risceso e sono andato a fare tutte le interviste.
Tutto ciò le ha lasciato più più rabbia, rammarico o insegnamento?
Oggi o allora?
Oggi.
Allora era rabbia e basta. Oggi rammarico, oggi rammarico sì. Perché quando apro il cassetto e vedo la medaglia d'argento provo forte rammarico, onestamente.

Però poi ritorna in pedana qualche giorno dopo e ritorna ancora sul podio…
Un argento di squadra dal sapore completamente diverso rispetto a quello che avevo ottenuto nella gara individuale.
Perché?
L'argento che abbiamo ottenuto con la squadra è stato un argento veramente importante, veramente tanto importante. Perché perdere una una una pedina fondamentale come Daniele a due mesi dalle Olimpiadi, non era semplice: senza Daniele abbiamo fatto solo due gare a squadre, di cui una era l'Europeo. Poi lui era l'atleta addetto alla chiusura, quindi l'ultimo assalto, l'assalto più importante che porta a 45: era 10 anni che faceva quel ruolo lì, quindi ci siamo dovuti reinventare e in 3 mesi. Siamo stati bravissimi: ci siamo riposizionati, ricollocati, ci siamo supportati e quindi quell'argento è una medaglia speciale. Anche perché andando al ritroso era da Londra che l'Italia non saliva sul podio del fioretto.
Ma lei come ha resettato la delusione nell'individuale e farsi trovare pronto alla seconda finale?
Per quanto mi riguarda mi sono resettato perché come dicevo prima, nel momento in cui uno si mette a disposizione di una squadra deve essere in grado di andare e unirsi e compattarsi per un unico team. Non diventa più la vittoria o la sconfitta di Filippo Macchi, diventa la vittoria o la sconfitta del team Italia. Avevo dei i miei compagni che erano e che sono che erano miei amici e che contavano su di me come io contavo su di loro. Poi io purtroppo ero anche infortunato.

Infatti l'ultimo assalto rimase fuori, cosa accadde?
Durante la gara individuale mi sono strappato al tricipite, 3 cm di strappo ma l'ho scoperto solo dopo. L'ultimo assalto col Giappone non l'ho tirato perché Stefano aveva visto che non ce la facevo più… non sarei mai sceso… mi devono accoltellare prima alla giugulare per togliermi dalla pedana. Stefano mi ha detto "No, non reggi il fioretto in mano, ti cambio".
E così anche Foconi ha partecipato alla vittoria. Riuscendo a prendersi la medaglia. A proposito non è una regola un po' sciocca?
Un modo per far entrare Alessio l'avremmo trovato lo stesso perché ne avevamo già parlato ovviamente. Purtroppo la regola è un po' stupida: durante le Olimpiadi se uno entra poi non può più uscire e se non entra invece non prende la medaglia… Lui è un grandissimo campione, un grandissimo amico e un grandissimo compagno di squadra e non sarebbe stato giusto che non prendesse la medaglia. Un regolamento strano.
Ma è sempre questo il regolamento?
No, perché durante la la stagione in tutte le gare di Coppa del Mondo, europee e mondiali è possibile fare quanti cambi ci pare, quindi direi: o mettiamo una regola che vale sempre o non vale mai. Questa regola non la capisco molto, però magari la cambieranno…
Per questo 2025, un obiettivo?
L'obiettivo nella testa c'è, è uno e non è nel 2025… Ora ci sono tanti passi che dovrò fare in avanti e senza mai dare per scontato il posto in squadra. Questa è una cosa importante che va ricordata perché in Italia combattiamo tanto, siamo in 12 che facciamo le gare di Coppa del Mondo, di questi 12 solo quattro vanno agli Europei o ai Mondiali. Quindi restare nei primi quattro italiani è già un grande un grande successo perché vuol dire che si fatto una una gran bella stagione.
Una piccola promessa?
Eh, tosta che poi le promesse m'hanno mantenute. Una piccola promessa che faccio a me stesso è di finire la stagione dei primi otto del mondo. Ok. Dai, questa posso anche farla…