Doping, Schwazer ancora positivo. La Pellegrini: “Radiatelo”
Il colpo è di quelli che fanno male. Alex Schwazer, ha rivelato la Gazzetta dello Sport, sarebbe stato trovato nuovamente positivo, stavolta agli steroidi anabolizzanti. Se confermata, sarebbe la fine per un atleta che nel bene e nel male ha segnato l'atletica italiana degli ultimi dieci anni. Il suo avvocato, Gerhard Brandstaetter, ha già definito le accuse «false e mostruose» e preannunciato un ricorso.
La dinamica che ha portato alla seconda positività del marciatore altoatesino lascia, almeno stando alle prime informazioni, un po' perplessi. Il test, infatti, risale al 1 gennaio a Vipiteno. È uno controlli a sorpresa previsti dalla IAAF. Perché un atleta squalificato per doping torni alle gare, infatti, deve superare tre test a sorpresa che possono essere effettuati dalla federazione internazionale, dalla WADA o dall'agenzia anti-doping nazionale. Il controllo dà esito negatvo. Ma cinque mesi dopo, la IAAF effettua nuove analisi sullo stesso campione, dopo la vittoria in Coppa del mondo a Roma, in cui ha ottenuto anche il minimo per la qualificazione olimpica nella 50 chilometri di marcia. A cinque mesi di distanza, lo stesso campione già analizzato e risultato negativo, ma su cui probabilmente era stata effettuata solo una verifica di base che non prevede il controllo di tutti i valori, ha rivelato una concentrazione di testosterone 11 volte superiore alla norma.
Già alle Terme di Caracalla, nella sua prima gara dal 2012, il suo rientro non era stato certo visto di buon occhio. Jared Tallent, paladino dello sport pulito, arrivato secondo dietro l'azzurro lo critica dopo la gara. Yohann Diniz, primatista del mondo e campione europeo in carica, twitta: “Il suo ritorno è una brutta notizia, è una persona cattiva”. E riecheggiano le accuse di Gianmarco Tamberi che su Facebook scriveva: “Vergogna d’Italia, squalificatelo a vita, la nostra forza è essere puliti! Noi non lo vogliamo in nazionale”.
Pellegrini: "Radiazione a vita alla prima positività"
"Al momento sono sconvolto, stiamo cercando di capire. Posso solo dire che è una vicenda faticosissima: la Iaaf ci aveva raccontato altri esiti dei controlli, e ora?” si chiede il presidente della Fidal Alfio Giomi, al Quirinale per consegnare il Tricolore ai portabandiera di Rio 2016. "È appena successo e, onestamente, non so se darlo per vero – risponde Federica Pellegrini, che avrà l'onore di portarlo, quel tricolore, alle Olimpiadi -. Vedremo nei prossimi giorni, ma dispiace molto che ci sia ricascato, se si può dire così, di una cosa fatta non volutamente. Comunque, prima di dare un parere, magari un po' più pesante, aspettiamo". Tuttavia, aggiunge, “il problema è tarare le pene: per casi gravi, come Epo o anabolizzanti, io sono per la radiazione a vita, già alla prima positività. E vi assicuro che molti altri atleti la pensano così”. Anche perché l'atletica ha conosciuto casi anche celebri di atleti recidivi come Tyson Gay o Justin Gatlin, squalificati, rientrati, e poi sorpresi di nuovo.
Chi non crede a un Alex Schwazer di nuovo positivo è Massimo Magnani, ct della nazionale azzurra di atletica. “Non posso credere che possa essere ricaduto nel baratro precedente, non c'erano i presupposti – dice -. Sono situazioni che vanno approfondite e chiarite, ci sono delle contraddizioni in una serie di passaggi e procedure. Quello che era regolare a gennaio non si può capire come non possa essere regolare dopo”.
La sorpresa di Magnini: "Perché testare un campione di 5 mesi fa?"
“Basta, cosa posso fare per provare che sono pulito?” rispondeva Schwazer, rientrato dopo tre anni e mezzo di squalifica, che aveva scelto di effettuare tutta la preparazione con Sandro Donati, consulente della Wada, e da sempre impegnato nella lotta contro l’uso di sostanze proibite. Donati gli chiede comportamenti puliti, sportivi e di vita, e gli impone un regime di controlli anche più severi di quelli della WADA. Prima di tornare alle gare, infatti, Schwazer si sottopone a 14 test volontari, supplemementari, all'ospedale San Giovanni di Roma. In pratica, viene controllato una volta a settimana e nessuno di questi test rivela assunzione di sostanze illecite. Schwazer ha scelto la strada più difficile, più radicale, per cercare di riconquistare la credibilità perduta, per cancellare anche quei dubbi che ancora circondano, a posteriori, il suo oro olimpico di Pechino. Per questo, la sua seconda caduta fa ancora più male. Se cade un paladino della correttezza e dell'onestà, come ha cercato di manifestarsi chiamando al suo fianco Donati, fa molto più rumore. E sarebbe uno smacco anche per lo stesso Donati, che ha messo la sua faccia, ha speso la sua credibilità, per la riabilitazione di Schwazer. Ma una domanda rimane ancora dolorosamente senza risposta: com'è possibile che uno stesso campione, testato due volte, dia a cinque mesi di distanza risultati così radicalmente, drammaticamente opposti? Qui non si tratta di qualche decimo di ematocrito in più o in meno, si tratta di un valore nella norma contro uno che è 11 volte sopra la norma. Com'è possibile? Com'è possibile che nessuno dei 14 controlli volontari abbia rivelato valori diversi dalla norma, che niente abbia lasciato intuire questa positività “retroattiva”, comunque ancora da confermare?
"Sicuramente c'è qualcosa di strano – nota Filippo Magnini – Perché un'analisi di 5 mesi fa, viene ritestata? Se fai i test, li devi beccare subito; altrimenti dopo tanto tempo non ha senso: può essere che vengano manomessi, che certe cose non vengano fatte bene". D'altra parte, è proprio la minaccia della possibilità di verifiche retroattive a costituire la principale arma deterrente di uno strumento come il passaporto biologico. Il dubbio di Magnini riecheggia anche nelle parole di Franco Carraro, membro del Cio che aveva difeso Schwazer nell'ultimo Consiglio nazionale del CONI. “Sono perplesso, come può essere cambiata la tecnologi dei controlli da gennaio a maggio? Comunque, se sarà effettivamente positivo mi dispiacerà perché non sarà stato coerente con se stesso e i suoi propositi di rinascita”.
IAAF, il nuovo corso anti-doping di Coe
Questo secondo “caso Schwazer”, con l'azzurro che parlerà in conferenza stampa alle 18, si inserisce nel contesto più ampio della politica di Coe. Il nuovo presidente di una IAAF messa in ginocchio dagli scandali recenti, dagli sprinter giamaicani sorpresi a doparsi a Lignano Sabbiadoro alle inchieste della tv tedesca che mettono in dubbio buona parte dei podi del mezzofondo olimpico e mondiale, fa della lotta al doping la bandiera della sua rivoluzione. Certo, si potrebbe dire che ormai i buoi sono scappati dal recinto, ma nell'atletica di oggi sembra di rivedere la situazione critica del ciclismo all'epoca della squalifica retroattiva di Lance Armstrong, quando il recupero di credibilità per l'intero sistema passava per la squalifica di nomi di primo piano e anche, nel caso dell'UCI di allora, per l'ammissione di aver nascosto la testa sotto la sabbia.
È la stessa strada che ha portato la IAAF a escludere la Russia dai Giochi di Rio e a incassare l'appoggio del presidente del CIO, Thomas Bach. “Escluderemo non solo gli atleti – ha detto – ma anche funzionari e dirigenti che hanno coperto il doping. L’inaffidabilità del sistema antidoping” in Russia e in Kenya, altra nazione oggetto di insinuazioni sempre più circostanziate, “mette in discussione la presunzione d’innocenza verso gli atleti in tutte le discipline: l’assenza di test positivi non può essere interpretata come assenza di doping”. Vale anche per Schwazer?