Dalla Pellegrini a Berrettini, 10 personaggi sportivi del 2019 da ricordare
Il 2019 dello sport lascia il ricordo di campioni da record, di squadre perfette, di storie che aprono il cuore e la mente. Di prime volte da non dimenticare e ritorni che fanno ancora emozionare. L'anno che se ne va incorona Leo Messi e Jurgen Klopp, trasforma Sinisa Mihajllovic in un simbolo che unisce. Ha il volto di Megan Rapinoe che conquista il Mondiale femminile da protagonista e allarga gli orizzonti invitando alla tolleranza. E' l'anno delle grandi donne italiane, Dorothea Wierer e Federica Pellegrini; di Matteo Berrettini, protagonista del tennis azzurro sempre più al centro del mondo. E' l'anno di Marc Marquez e Lewis Hamilton, dominatori dei motori, e dei Toronto Raptors, prima squadra non Usa a vincere il titolo NBA.
Leo Messi
Messi rimane il mistero senza fine bello del calcio mondiale, per quel suo rapporto così intimo col pallone come base dell'esistenza. Ha lanciato il suo primo anno interamente da capitano del Barcellona con il gol numero 400 nella Liga. Ne ha segnati 50 nel 2019 tra club e nazionale, un traguardo che ha toccato in nove degli ultimi dieci anni. Si è goduto la prima standing ovation dei tifosi avversari dopo la tripletta al Betis del 17 marzo e firma la rete che vale il matematico successo nella Liga. Messi è capocannoniere con 36 centri (a +15 sul secondo) e miglior assistman della Liga 2018-19. Con i suoi gol, ha fatto guadagnare più punti di chiunque altro alla sua squadra l'uomo ad aver fatto guadagnare più punti alla propria squadra. Segna anche il gol dell'anno per l'Uefa, la punizione perfetta contro il Liverpool. E' l'andata di una semifinale che fa storia. Come il suo sesto Pallone d'Oro, uno di quelli che ha diviso di più: chi difende la scelta sottolinea la bellezza delle giocate, il valore dei gol, il peso di Messi nel sistema Barcellona; chi la critica, avrebbe preferito vederlo assegnato a Van Dijk o un altro simbolo del Liverpool campione d'Europa.
Jurgen Klopp
“Chi è soddisfatto, è inesorabile” scriveva Victor Hugo nel suo romanzo “L'uomo che ride”. Un titolo che non stonerebbe per un ritratto di Jurgen Klopp. Dopo una lunga e paziente costruzione, ha cancellato l'imprevisto e la sconfitta dall'orizzonte di una squadra che si identifica in una passione intensa quanto spesso non ripagata. Si è preso il tempo per assemblare quella che è oggi la più perfetta macchina da gol e da vittoria in Europa. Non ha vinto niente per due anni e mezzo, ha continuato ad abbracciare la sua idea del calcio come divertimento, personale e collettivo, a sorridere per il privilegio di essere lì, a trasformare una passione in una milionaria professione. Senza cercare alibi, senza protestare per i gol annullati o i rigori non dati. Perché sorridere, lo insegnava anche Hugo, è già un modo per iniziare a dimenticare.
Sinisa Mihajlovic
Un “hombre vertical”, un uomo verticale. Una definizione che abbraccia dirittura morale e capacità di affrontare gli avversari senza piegarsi all'accettazione del destino. Così, Sinisa Mihajlovic sta affrontando anche la malattia. Uscendo lui per primo dalla retorica della battaglia da vincere, perché chi perde non è uno che ha lottato meno o con meno spirito. Finora aveva appassionato e diviso. Ora che si concede al pianto e al sorriso di sua moglie, che va in panchina con la testa che galleggia dentro un cappello alla “Peaky Blinders”, Mihajlovic unisce la squadra e i tifosi, anche avversari.
Megan Rapinoe
Gli USA hanno dominato il Mondiale di calcio femminile. Hanno vinto tutte le sette partite giocate segnando sempre almeno due gol. Non sono mai andati in svantaggio né ai supplementari. Fino alla finale contro l'Olanda, le partite seguono uno stesso schema: gli USA sbloccano entro il primo quarto d'ora, poi gestiscono e colpiscono in verticale. In finale, l'equilibrio si spezza dopo un'ora di gioco. Segna il capitano e capocannoniere Megan Rapinoe, Pallone d'oro femminile del 2019, che poi conduce il carisma da leader fuori dal campo. Più dei suoi sei gol resta il suo discorso a New York, con la Coppa del Mondo sul braccio. Una lezione sulla tolleranza che porta un pensiero politico radicalmente opposto alla presidenza Trump. “Dobbiamo essere migliori” ha detto. E siamo tutti coinvolti.
Matteo Berrettini
Il 2019 è l'anno del tennis italiano. Fabio Fognini diventa il primo azzurro a conquistare un Masters 1000, a Montecarlo. Matteo Berrettini raggiunge gli ottavi a Wimbledon, il più importante torneo al mondo, e una storica semifinale allo Us Open: uno dei quattro tornei più prestigiosi in calendario che formano il Grande Slam. Chiude la stagione da numero 8 del ranking, è il primo italiano dopo 40 anni a partecipare in singolare al Masters, l'evento di fine anno con gli otto migliori della stagione, e il primo azzurro di sempre a vincere una partita in questo torneo. Dietro, sta arrivando Jannik Sinner, il miglior diciottenne al mondo. In più, dal 2020 ci saranno due italiani alla guida dell'ATP, al governo del tennis maschile: l'ex numero 1 d'Italia Andrea Gaudenzi e Massimo Calvelli, manager fiorentino, direttore marketing di Nike.
Dorothea Wierer
L'Italia ha vissuto un anno segnato dalle grandi donne, come Dorothea Wierer, prima azzurra a conquistare la Coppa del Mondo generale di biathlon: uno sport duale, bisogna essere rapidi sugli sci e precisi al poligono di tiro. “Doro” ha fatto esplodere in Italia la passione per il biathlon e l'ammirazione per una campionessa che ha dimostrato di superare limiti e confini arrivando dove nessun'altra azzurra prima. Campionessa del mondo nella mass start, capace di successi carichi di meraviglia, è “Doro”, con e senza apostrofo.
Federica Pellegrini
Ai Mondiali di Gwangju, Federica Pellegrini ha stupito ancora. L'ultima vasca della finale dei 200 stile libero, la sua distanza per eccellenza, finisce di diritto nella storia dello sport italiano. È il suo quarto oro mondiale nella gara in cui si rivelò al mondo con l'argento olimpico ad Atene 2004, a sedici anni. A Budapest, dopo il Mondiale di due anni fa, aveva detto basta con i 200. Ma anche una leggenda con due medaglie olimpiche, undici mondiali e 15 europee non resiste al primo amore. Torna e vince ancora alla sua maniera. Si mette dietro Ariarne Titmus (classe 2000) e Sarah Sjoestroem (1993). Si rivede e si emoziona. Succede anche alle leggende.
Marc Marquez
Il primo pilota a superare i 400 punti nel Motomondiale in una sola stagione. Il più veloce di sempre a vincere otto Mondiali complessivi e sei in classe regina. I numeri da record inquadrano la stagione da dominatore della MotoGP di Marc Marquez che ha ottenuto 10 pole position, 12 vittorie e 18 podi in 19 gare. Ha passato in testa più della metà dei giri percorsi in gara in stagione. “Fa la differenza con il suo talento”, ha detto il capo-tecnico Santi Hernandez, “non so dove sia il suo limite”. Anche gli avversari vorrebbero scoprirlo.
Lewis Hamilton
Come Marquez, anche Lewis Hamilton gareggia contro se stesso e la storia. Ad Abu Dhabi, ha certificato il sesto titolo mondiale firmando in sesto Grande Slam (pole, vittoria, giro veloce, tutta la gara in testa). Ha battuto il primato di punti mai realizzato in una singola stagione (413), è diventato il primo pilota della storia in testa in 19 gran premi in un anno e il primo a punti 21 per volte in un solo campionato. Nel 2019 ha vinto 11 gare, è salito 17 volte sul podio. Gli manca ancora un Mondiale per eguagliare i sette di Michael Schumacher, e sette vittorie per raggiungere le 91 del tedesco.
Kawhi Leonard
Per la prima volta, una squadra non statunitense ha vinto il titolo in NBA. In finale, contro i Golden State Warriors, i Toronto Raptors fanno la storia nel segno di Kawhi Leonard, terzo nella storia ad essere eletto miglior giocatore delle finali con due squadre diverse dopo Kareem Abdul-Jabbar e LeBron James, e primo di sempre a farlo con due franchigie delle due conference. Un canadese su due ha guardato in tv l'ultima partita della serie di finale. Niente male per uno sport sconosciuto o quasi in Canada prima del 1995.