Cindy Ngamba è la prima medaglia per i Rifugiati alle Olimpiadi: ma se torna a casa rischia l’arresto
La squadra dei rifugiati ha conquistato la prima medaglia nella storia delle Olimpiadi. A Parigi, la pugile Cindy Ngamba ha battuto la francese Davina Michel nei quarti di finale della categoria -75 kg ed è già certa di salire sul podio dei Giochi con almeno il bronzo al collo. La semifinale contro la vincente del match tra Atheyna Bylon di Panama e la polacca Elzbieta Wojcik dirà se può ambire anche al metallo più prezioso, intanto ha già scolpito nell'albo a Cinque Cerchi un risultato incredibile.
Dopo il successo la 25enne boxeur originaria del Camerun, ma da quasi 15 anni residente in Gran Bretagna che ha concesso asilo politico a lei e alla sua famiglia, ha abbracciato i tecnici inglesi che erano all'angolo e ha rivendicato con orgoglio la sua partecipazione ai Giochi sotto le insegne dell'EOR (l'Équipe Olympique des Réfugiés). Non ha ancora il passaporto del Paese d'Oltremanica, forse lo avrà per l'edizione di Los Angeles 2028. Per adesso assapora fino in fondo la gioia personale incontenibile che le ha regalato la decisione unanime degli arbitri.
Chi conosce la sua storia sa perché il gesto che ha fatto a fine combattimento è molto sentito: ha indicato lo stemma che aveva sul petto, quello della delegazione dei "senza patria" di cui è stata portabandiera. Ha sempre sperato, come ammesso in alcune interviste di recente, che la sua vicenda potesse essere d'aiuto a quanti si sono trovati (e si trovano) nella sua condizione: "Che non perdano mai la speranza di farcela, proprio come ce l'ho fatta io ed è successo a me".
Ngamba è arrivata in Inghilterra nel 2009 all'età di 11 anni con suo fratello per ritagliarsi un futuro e una vita migliori rispetto all'esperienza in Camerun. Lì non può più tornare, né ha intenzione di farlo. Ha dichiarato la propria omosessualità e sa già che se mette piede nello Stato africano, considerate le leggi vigenti, rischia l'arresto, la prigione, le torture "finanche la morte…". Lo status di rifugiata la mette al riparo dalla minaccia del suo Paese di riportarla in patria ma gli inizi al di là della Manica non sono stati tutti rose e fiori.
Anzi, il pericolo che fosse rispedita a casa l'ha sfiorata quando da giovane venne rinchiusa per un breve periodo in un campo di detenzione per migranti a Londra. "Non sapevamo cosa ci sarebbe successo – confessò -. Nessuno può saperlo ma solo aspettare in maniera angosciante che non ti rimandino a casa". Ne uscì grazie ai buoni uffici di uno zio che lavora per il governo britannico ma la paura che un giorno, mentre cammina per le strade di Bolton (dove vive), la polizia possa bussare alla sua porta non l'ha mai abbandonata.
Certe cose te le porti dentro per sempre. Finora le è stata ripetutamente negata la cittadinanza britannica nonostante abbia vinto ben tre titoli nazionali in altrettante categorie di peso e goda del sostegno della GB Boxing (l'associazione inglese di pugilato) che ha perorato la sua causa presso il Ministero dell'Interno. Ngamba continua a tirare pugni, prima o poi arriverà anche questo verdetto fuori dal ring.