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Mondiali 2018 di volley femminile in Giappone

Chi è Paola Egonu, simbolo di un’Italia multietnica e vincente nel volley

Paola Egonu è il simbolo di una meravigliosa Italia di volley che domani si giocherà la finale dei Mondiali contro la Serbia. Così come la giovane classe 1998 sono tanti gli atleti azzurri di seconda generazione o arrivati in Italia per diversi motivi: storie che spesso finiscono sotto i riflettori soltanto quando salgono sugli scalini di un podio ma ci sono figli di immigrati e giovani atleti adottati da famiglie italiane in tenera età che portano la bandiera italiana in giro per il mondo con risultati fantastici.
A cura di Vito Lamorte
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In Italia è così, bisogna aspettare di vedere grandissimi risultati affinché qualcuno si accorga che "non di solo calcio vive l'uomo". La meravigliosa vittoria da parte della Nazionale contro la Cina nella semifinale dei Mondiali di Volley che si stanno disputando in Giappone e domani  affronteranno la Serbia nella finale che vale lo scettro intercontinentale. Il sogno azzurro è ancora vivo dopo una maratona chiusa solo al tie break, 17-15, in seguito ad una quantità di errori, di prodezze che segneranno la pallavolo italiana per anni. Tra le protagoniste di questa gara a tratti folle c'è, senza ombra di dubbio, Paola Egonu che con 44 punti è stata la vera trascinatrice della selezione azzurra verso l'ultimo atto del torneo mondiale.

Un fenomeno di nome Egonu

Il fenomeno del momento è lei. Delle gesta in questo Mondiale siamo tutti al corrente ma è interessante capire chi è davvero il nuovo simbolo del volley femminile italiano. Dopo aver  mosso i primi passi nella realtà pallavolistica locale di Cittadella, cittadina dove è nata nel 1998, Paola è entrata a far parte del Club Italia, società federale con sede a Roma dove in quattro anni ha affinato la tecnica e mostrato tutta la sua classe. Dopo alcune stagioni nella capitale, Paola  approda all’AGIL Volley di Novara in Serie A1 e si aggiudica la Supercoppa italiana 2017 e la Coppa Italia 2017-18, venendo premiata in quest’ultima occasione come MVP.

Le sue grandi prestazioni non sfuggono ai tecnici della Nazionale e la sua trafila in azzurro inizia nel 2014. Con la selezione under 18 si è messa al collo l’oro mondiale, togliendosi anche un’altra grande soddisfazione: è stata anche eletta “miglior giocatrice” del torneo. Ha giocato in under 19 e under 20, con cui ha vinto la medaglia di bronzo al campionato mondiale 2015, e subito dopo sono arrivate le prime convocazioni con la Nazionale maggiore. Nel 2017 si è assicurata la medaglia d’argento al World Grand Prix.

La Egonu gioca nel ruolo di opposto-schiacciatrice, salta fino a 3,44 metri di elevazione e possiede una potenza fuori dal comune. Una ragazza dal talento smisurato che ad appena 19 anni è già diventata una delle giocatrici più forti del mondo e sta facendo vivere un sogno a tutti gli appassionati di volley e di sport tricolori.

Chi ha paura della diversità e dello sport multietnico?

Diversi studi hanno constatato negli anni che le diversità sono più che positive e ogni team ha le proprie caratteristiche, derivanti proprio dalle diversità di ogni giocatore (età, etnie, stili di gioco) che non ostacolano niente e nessuno ma, anzi, sono una sfida che può spronare la squadra a fare sempre meglio.

La diversità, in questo delicato momento storico che sta vivendo il nostro paese, mette paura a tanti, troppi e riesce ad essere un valore solo quando le cose vanno bene e si portano a casa risultati. La multietnicità e l'integrazione dovrebbero essere i valori su cui una società nel secondo decennio degli anni 2000 deve basarsi per evitare di cadere in errori che storicamente hanno sempre portato a crisi culturali molto complesse da risolvere. Atleti come Ivan Zaytsev, Miriam Sylla, Ofelia Malinov, Paola Egonu, Kevin Ojiaku, Brayan Lopez, Raphaela Lukudo, Daisy Osakue, Yadisleidy Pedros, Mario Balotelli e tanti altri hanno tutto il diritto di difendere i colori italiani e se questo processo viene ostacolato o criticato a priori allora c'è qualcosa che non va.

Alcuni sono nati, cresciuti e hanno studiato in Italia e  sono quelli dello Ius soli, che ancora devono aspettare i 18 anni per fare la richiesta di cittadinanza e quindi avere la nazionalità italiana poter gareggiare con la maglia della nazionale, mentre ci sono altri che sono semplicemente naturalizzati. Si tratta di storie e percorsi personali che spesso finiscono sotto i riflettori soltanto quando salgono sugli scalini di un podio ma ci sono figli di immigrati e giovani atleti adottati da famiglie italiane in tenera età che portano la bandiera italiana in giro per il mondo con risultati magnifici.

Il mondo dello sport è spesso lo specchio di una società e nonostante l’Italia ci si imbatte spesso in dimostrazioni di intolleranza davvero al limite (basti pensare ai cori che si sentono negli stadi o a episodi di aggressione come quella a Daisy Osakue) sarà anche grazie alle modalità e alle tempistiche con cui riusciremo a integrare questi ragazzi che la cultura sportiva, e non solo, a tinte tricolori potrà nuovamente dire la sua.

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