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Brett Favre ha il Parkinson, l’annuncio del leggendario quarterback: il suo sport aumenta il rischio

Il leggendario quarterback di football americano Brett Favre ha annunciato di avere il morbo di Parkinson: potrebbe essere il conto pagato per centinaia di commozioni cerebrali subite in carriera. Un recente studio della Boston University ha infatti mostrato che chi ha praticato questo sport ha una probabilità maggiore di contrarre il Parkinson, ancor di più se lo ha fatto a livello professionistico.
A cura di Paolo Fiorenza
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Brett Favre ha dato in diretta agli Stati Uniti una notizia che mai avrebbero voluto sentire: il leggendario quarterback dei Green Bay Packers, vincitore del Super Bowl nel 1997 e tre volte di fila MVP del campionato NFL (unico nella storia ad esserci riuscito), ha annunciato di avere il morbo di Parkinson, malattia neurodegenerativa che si manifesta con sintomi motori incontrollabili come tremori, rigidità, lentezza ed instabilità nell'equilibrio.

Impegnato in un'audizione al Congresso, Favre ha parlato di Prevacus, un'azienda farmaceutica ormai defunta che ha ricevuto circa 2 milioni di dollari di fondi tramite un programma di assistenza federale degli Stati Uniti e che annoverava Favre come il suo più grande investitore individuale: "Purtroppo ho perso un investimento in un'azienda che credevo stesse sviluppando un farmaco rivoluzionario per le commozioni cerebrali che pensavo avrebbe aiutato gli altri. E sono sicuro che capirete perché è troppo tardi per me, perché di recente mi è stato diagnosticato il Parkinson. Questa è anche una causa che mi sta a cuore".

Il fondatore di Prevacus, Jacob VanLandingham, si è dichiarato colpevole di frode telematica a luglio, ammettendo di aver utilizzato i soldi dell'assistenza sociale del Mississippi per pagare debiti di gioco e altri debiti. Favre, ritiratosi nel 2010 a 41 anni (i quarterback hanno la carriera più lunga di tutti i giocatori di football americano), oggi di anni ne ha 54 e deve fronteggiare una diagnosi che molti atleti come lui temono, al pari di forme di demenze che sono correlate al suo sport.

Già nel 2018 aveva espresso le sue paure al riguardo, voltandosi indietro per contare quante volte era stato placcato o comunque colpito con violenza dai difensori avversari. In quella circostanza gli era stato chiesto quante commozioni cerebrali avesse subito, lui aveva risposto di essere a conoscenza solo di "tre o quattro", ma riteneva di averne subite più di mille durante la sua carriera di 20 stagioni nella National Football Association. "Quando senti un ronzio alle orecchie, vedi le stelle, è una commozione cerebrale – disse Favre – E se questa è una commozione cerebrale, ne ho avute centinaia, forse migliaia, nel corso della mia carriera, il che è spaventoso".

Brett Favre braccato dai difensori dei New England Patriots nel XXXI Super Bowl vinto dai suoi Packers nel gennaio del 1997
Brett Favre braccato dai difensori dei New England Patriots nel XXXI Super Bowl vinto dai suoi Packers nel gennaio del 1997

Favre peraltro era anche uno che non saltava mai una partita, stabilendo un record in tal senso tra il 1993 e il 2009. Il quarteback resterà per sempre nei libri di storia del football americano – 11 volte all-star, quarto di sempre sia per yard passate (71.838) che per touchdown (508) – ma potrebbe aver pagato un prezzo molto pesante. Il condizionale è d'obbligo, ma vari studi – tra cui uno recentissimo condotto lo scorso anno dalla Boston University – hanno mostrato che giocare a football americano potrebbe aumentare il rischio di sviluppare il morbo di Parkinson.

Utilizzando i dati di un ampio sondaggio online realizzato dalla Michael J. Fox Foundation for Parkinson's Research, i ricercatori di Boston hanno scoperto che i partecipanti che avevano praticato football americano avevano il 61% di probabilità in più di ricevere una diagnosi di Parkinson o parkinsonismo rispetto a coloro che si erano cimentati in altri sport. Una probabilità che saliva ancora di più per gente come Favre: il rapporto indicava infatti che coloro che avevano giocato a football a livelli più alti (a livello professionistico o universitario) avevano quasi tre volte più probabilità di essere affetti dal Parkinson rispetto a coloro che avevano giocato a livello giovanile o delle scuole superiori.

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