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Antonio Rossi: “Eravamo fortunati ad avere Galeazzi alle Olimpiadi. Viveva con noi, conosceva tutto”

Antonio Rossi ripercorre il suo viaggio ai Giochi Olimpici e a Fanpage.it racconta le emozioni vissute, i momenti più toccanti e come ha visto cambiare l’evento dal 1992 al 2008.
A cura di Vito Lamorte
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Antonio Rossi è un'icona dello sport italiano. Il canoista nato a Lecco fa parte dei 20 atleti azzurri, tra uomini e donne, che sono stati capaci di andare a podio in almeno 4 diverse edizioni dei Giochi Olimpici. Una cosa difficilissima anche da pensare.

L'atleta lombardo nel 1992, insieme a Bruno Dreossi, ha vinto la sua prima medaglia di bronzo, nel K2 500 m a Barcellona nel '92 e poi arrivarono gli ori di Atlanta nel K1 500m e nel K2 1000m. Nel 2000 arrivò l’oro a Sydney e quattro anni dopo l’argento ad Atene. Non sono mancate le soddisfazioni ai campionati del mondo con tre ori (nel 1995, 1997 e 1998) e due d'argenti (nel biennio 1993 e 1994). Una carriera straordinaria con momenti iconici come quello di Sydney, che venne raccontato dal grande Giampiero Galeazzi e che Rossi ricorda così: "Ancora adesso quando vado nelle scuole e faccio vedere le gare ti posso assicurare che mi emoziona".

Antonio Rossi ripercorre il suo viaggio ai Giochi Olimpici e a Fanpage.it racconta le emozioni vissute, i momenti più toccanti e come ha visto cambiare l'evento dal 1992 al 2008.

Cosa fa oggi Antonio Rossi?
"Io sono tornato nella Guardia di Finanza e poi collaboro con la fondazione di Milano-Cortina 2026. Mi occupo delle City Operations, cioè dei rapporti con le istituzioni”.

Le manca un po’ la vita d’atleta?
"Devo dire sinceramente manca proprio la vita dell'atleta, al di là delle gare o delle emozioni che hai quando vai in gara. La vita che fa un atleta è sicuramente una bella vita nel senso che ha la possibilità di allenarsi, di viaggiare, conoscere e poi mi manca anche perché c'è una conoscenza del tuo corpo diversa. Ti senti decisamente meglio, quindi sicuramente sì. Anche se poi vuol dire che facevi tanta fatica, ti allenavi tanto, non potevi fare tante cose".

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Cinque Olimpiadi con tre ori, un argento e un bronzo: cosa rappresentano i Giochi per un’atleta?
"Sono l’evento più grande in assoluto. A livello tecnico non cambia tanto da un Mondiale diciamo, anzi forse a volte con le qualificazioni e i metodi di qualifica, forse chi partecipa all'Olimpiadi fa una gara che è anche più facile rispetto rispetto al Mondiale. Perché penso al K4 sono solamente 10 imbarcazioni quelle che fanno le Olimpiadi rispetto al Mondiale che invece sono 30. Di fatto cambia tantissimo per quello che rappresentano i Giochi, ti senti più dentro il Team Italia rispetto al Mondiale ed è insomma il sogno di molti atleti quello di partecipare ad un’Olimpiade. Poi c’è tutto il fascino dei Giochi, di vivere insieme al villaggio, con tanti atleti, non soltanto italiani, ma è completamente diverso da quello che può essere il più bel Mondiale in assoluto".

Qual è il ricordo a cui è più legato dei Giochi?
"A quando sono stato portabandiera a Pechino. Sicuramente è un ricordo che racchiude tanti altri ricordi, che apre il file dei ricordi dell'Olimpiadi, però quello è quello che mi dà più emozioni ancora oggi".

Tutti abbiamo nella mente la telecronaca indimenticabile di Giampiero Galeazzi alle Olimpiadi di Sydney 2000: cosa si prova ad essere parte di uno dei momenti dello sport italiano più ricordati?
"Siamo stati veramente molto fortunati in quel periodo perché a fare le nostre telecronache c'era un amico e una persona, un giornalista, che aveva provato il nostro sport e quindi sapeva benissimo trasmettere le emozioni al pubblico che magari di canoa o di canottaggio sapeva ben poco. Poi ci sono state Olimpiadi dove Giampiero ha proprio vissuto con noi e penso a Sydney, che è stato quasi un mese insieme a noi. Conosceva tutto… punti forti e punti deboli, insomma, siamo stati fortunati perché veramente trascinava tantissima gente, ma ancora adesso quando vado nelle scuole e faccio vedere le gare ti posso assicurare che mi emoziona".

Quali sono le emozioni che si provano le settimane prima delle Olimpiadi?
"Beh, si fanno gli ultimi ritiri e si mettono a posto le ultime cose ma dipende sempre dove gareggi e che sport fai. Per esempio, noi delle canoe eravamo sempre nella seconda parte delle Olimpiadi, quindi eri ancora in ritiro in Italia. In quel momento hai proprio voglia di gareggiare, non vedi l'ora di arrivare sul campo gara. Rimani sempre più concentrato e sicuramente sei molto dentro alla cosa e non pensi ad altro che a quello. Poi ci sono momenti veramente belli, in cui capisci che stai andando all'Olimpiadi come quando ti fanno vedere tutto l'abbigliamento. Anche questo è un rito che segna sempre, che ti dà energie in più. Poi bisogna stare attenti a tutto per evitare brutte sorprese e perché manca sempre meno. C’è sempre più la voglia di arrivare alla cerimonia d'apertura velocemente”.

Com'è iniziato il suo lungo viaggio con la canoa?
"Se penso a Beniamino Bonomi o Daniele Scarpa, i ragazzi con cui ho gareggiato, io sono arrivato relativamente tardi, perché avevo circa 13-14 anni mentre gli altri hanno iniziato prima. Io ho iniziato a Lecco, alla Canottieri Lecco, che è una polisportiva e partii con il nuoto. Poi sono uscito una volta in canoa sul lago e mi sono subito innamorato di questo sport ed è iniziato un viaggio molto lungo. Mi appassionava molto lo sport, la disciplina, stare con gli amici, godersi l'acqua e quindi piano piano mi sono avvicinato al primo titolo italiano con la canottieri e da lì ho sognato un po' di vestire la maglia azzurra. L'Olimpiade era ancora qualcosa di lontanissimo e di insperato, insomma non ho mai sognato in grande a differenza di altri atleti non è che sono nato con quel pensiero. Mi sembrava veramente tanto lontano e tanto impossibile, ed è venuto tutto passo dopo passo. Quando a 23 anni a Barcellona ho preso il bronzo per me era come aver vinto un oro. Essere lì alla prima Olimpiade era qualcosa di sensazionale. Puoi immaginare la gioia che ho avuto pensando a quando neanche vincevo un campionato regionale".

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Che momento sta vivendo il movimento della canoa in Italia ora.
"Ma, guarda, i ragazzi non stanno andando male. La ‘canadese’, che quando remavo io è sempre stata diciamo il punto debole della federazione, ha dei ragazzi che stanno andando fortissimo e che possono anche puntare a qualcosa di importante. Sia De Gennaro che la Horn possono puntare in alto. L'unica cosa è proprio il mio settore, cioè lo sprint, che non è riuscita a qualificarsi però negli altri settori è più che in salute. Se si guardano i numeri degli Under 23, insomma, in Italia si stanno facendo degli ottimi risultati sia in campo maschile che in femminile, quindi, insomma, il materiale umano sicuramente c'è. Bisogna capire cosa succede ai ragazzi e alle ragazze quando fanno il passaggio di categoria, c’è sicuramente bisogna lavorare di più però sono dati tecnici che vanno analizzati bene".

Tre anni fa venne colpito da un infarto alla Granfondo Pinarello a Conegliano. Come sta oggi?
"Tutto bene. Però la cosa buona è che sono riuscito a godermi le Olimpiadi dato che ero in convalescenza (ride, ndr)".

È vero che ha scelto Jury come secondo nome per suo figlio in onore di Jury Chechi? Che rapporto è il vostro?
"Sì, sì, assolutamente. Ci conosciamo da 30 anni ed è un'amicizia molto forte".

Sono 20 gli atleti azzurri, tra uomini e donne, capaci di andare a podio in almeno 4 diverse edizioni dei Giochi olimpici. Cosa vuol dire essere un’icona dello sport italiano?
"Non ho mai guardato queste classifiche. Anche quando vincevo mi hanno sempre insegnato a mettere le medaglie nel cassetto e a guardare avanti. Adesso mi rendo conto di aver fatto parte della storia dello sport, della canoa, dello sport italiano. Sicuramente mi rendo conto che facevo degli allenamenti però sinceramente credo che ho incontrato tanti sportivi di grandissimo valore, che hanno vinto molto meno di me, ma che mi sono stati d'esempio. Sono statistiche che ovviamente fanno piacere, ma magari fanno piacere ancora di più alla gente che mi conosce, ai miei genitori, alla mia famiglia, ai miei amici. Sinceramente non gli ho mai dato troppo importanza. Sono stato fortunato perché ho trovato anche persone che mi hanno aiutato ad arrivare a quei risultati, quindi devo dividere questo merito con tante persone".

Lei ha vissuto cinque edizioni dei Giochi: quali sono state le differenze più grandi che ha riscontrato?
"Io ho vissuto la trasformazione, il cambiamento della parte tecnologica della comunicazione. Quando sono entrato in finanza era l'88, c'era ancora il muro di Berlino e c'erano due Germanie. Era un altro mondo. Nell'89 ho trovato una Germania in meno, ma ho trovato tutte le nazioni dell’est che non erano più dentro l’Unione Sovietica. La prima Olimpiade ha vissuto tutti questi cambiamenti e sicuramente dal punto di vista tecnologico quando ho iniziato io c'erano i primi cardiofrequenzimetri, ma adesso un atleta può contare su tutta la tecnologia possibile e ci sono veramente tanti dati con cui poterti allenare al meglio. Dal punto di vista della comunicazione a Barcellona, ma soprattutto dopo Atlanta in Rai fecero uno share alto ma diverso da oggi. Ora ci sono i social e c'è un modo sicuramente diverso di comunicare in ogni momento. È cambiato tutto, è cambiato il mondo".

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