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Alex Schwazer racconta il calvario nella sua ultima marcia: “È saltata via la carne dai talloni”

L’atleta 39enne, costretto al ritiro nell’ultima gara (la prima dopo 8 anni di squalifica), ha corso perché non poteva deludere i suoi figli: “Sapevo già che non ce l’avrei fatta ma non potevo rinunciare”.
A cura di Maurizio De Santis
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L'ultima marcia di Alex Schwazer è stata quella dell'orgoglio. Anche se finita male, perché costretto al ritiro a causa di un forte dolore alla schiena per la sciatalgia, ha corso per se stesso e, più ancora, per i figli (Ida e Noah) che in pista non lo avevano mai visto gareggiare. Il podista 39enne sapeva già che non ce l'avrebbe fatta, la fitta avvertita nelle settimane che hanno preceduto la gara ad Arco di Trento gli aveva già prefigurato lo scenario a cui sarebbe andato incontro: fermarsi e rimandare tutto anche per un paio di mesi, sperando a ottobre di essere pronto; calzare ugualmente le scarpette e indossare la divisa per non deludere la sua famiglia, in particolare i bimbi che tanto attendevano la sua prova.

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Ha corso per una motivazione forte: non poteva deludere i figli

Dopo aver perso tutto perché travolto da due inchieste sul doping (perché reo confesso e per una seconda con molte ombre), Schwazer non poteva rinunciare e regalare un dispiacere ai suoi cari. Aveva incassato anche l'ennesimo boccone amaro dopo 8 anni di squalifica: gli era stata respinta la richiesta di partecipare alle Olimpiadi di Parigi. E allora a scegliere non è stata la testa ma il cuore del padre e dell'atleta che a Pechino 2008 infilò l'oro al collo nella 50 km di marcia.

"Dovevo mettere il pettorale per l'ultima volta – ha raccontato in un'intervista al Corriere della Sera -. E dovevo farlo per i miei bambini, Ida e Noah. La prima ci teneva moltissimo, ogni giorno ne cancellava uno dal calendario tanta era l'attesa. Non potevo rimandare, non me la sentivo di deluderli".

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Il dolore provato durante l'ultima gara

Di fronte a una motivazione del genere, tutto il resto contava nulla. Nemmeno le precarie condizioni fisiche gli avrebbero impedito di fare ciò che sentiva dentro di sé. "Tre settimane prima della gara, alla fine di un allenamento ho sentito un dolorino. Il giorno dopo ho preso freddo alla schiena ed è stato anche peggio. Da lì in poi è stato impossibile marciare normalmente".

Il racconto del calvario mette i brividi addosso e scolpisce il senso profondo di quelle lacrime versate nell'abbraccio con i suoi cari, quando ha dovuto alzare bandiera bianca. "A causa del dolore, dovevo appoggiare il piede in modo diverso: giro dopo giro, è saltata via la carne dai talloni. Non riuscivo più a marciare con la gamba tesa, rischiavo la squalifica dei giudici. Lì non potuto fare altro che fermarmi e arrendermi".

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Il lato oscuro del marciatore: "È stato anche la mia forza"

Schwazer ha tenuto duro, lo ha fatto anche per un'altra ragione: per quella vocina-demone che 16 anni fa lo spinse a non mollare quando tutto sembrava compromesso. In Cina arrivò l'oro poi la sua carriera ha preso una china completamente differente: è precipitato nella polvere cadendo dal gradino più alto del podio. "C'è un lato oscuro che fa parte di me. È quello che a Pechino, quando volevo ritirarmi a metà della 50 km perché non ce la facevo più, mi aiutò ad andare avanti".

Schwazer non sa ancora cosa farà in futuro

Cosa farà adesso Schwazer? Il futuro è un traguardo ancora lontano all'orizzonte. Può solo tenere uro e vedere, passo dopo passo, dove arriverà, cosa ci sarà dopo ogni curva. "Se l’atletica non mi vuole, spero che il ciclismo o il calcio siano più aperti. Oppure le aziende e le scuole perché ho molto da raccontare". Non resterà fermo, che sia in ambito sportivo oppure in altri contesti. "Da ragazzo ho fatto il lavapiatti e il cameriere a Innsbruck. Non mi vergognerei di fare l’impiegato o l’operaio a Vipiteno".

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