Alessia Maurelli: “Troppo fango sulle Farfalle. Ricordo il giorno in cui decidemmo di cambiare nome”
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Alessia Maurelli si è raccontata a Fanpage. Una delle ginnaste più medagliate in assoluto nonché uno degli sportivi italiani più vincenti di sempre per 20 anni sulle pedane di tutto il mondo e per 10 Capitana delle Farfalle. Una carriera a dir poco straordinaria (139 medaglie, di cui 62 d'oro e 3 partecipazioni alle Olimpiadi, 8 ai Mondiali, 7 agli Europei), che l'ha vista suo malgrado protagonista anche nel momento più nero della storia della ritmica italiana, con l'oramai tristemente noto "scandalo Farfalle", mentre era Capitana: "Un periodo traumatico, davanti a quel fango capii che era giunto il momento di toglierci di dosso quel nome che aveva assunto solo connotati negativi".
Un periodo difficile, che ha segnato un punto di non ritorno ma che non ha scalfitto l'amore incondizionato per la ritmica che ha visto Alessia Maurelli scrivere altre pagine straordinarie della storia di questa disciplina, con le ultime Olimpiadi a Parigi, ultimo atto prima del ritiro avvenuto a dicembre: "Un momento che mi ha ripagato di tutto, con una straordinaria ondata d'affetto. Non mi arrogo il diritto o il pensiero di aver cambiato uno sport, ma ho avuto la conferma che sono riuscita ad avvicinare e a far conoscere ancora di più la ritmica e la sua bellezza".
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A proposito, lei è una delle più grandi sportive italiane in assoluto, però in "un altro sport" che non è il seguitissimo calcio: com'è l'ha vissuta?
In realtà da piccolina non ho mai pensato di cercare di praticare uno sport principale in Italia, quindi mi ha sempre trascinato la passione. E questa passione me la sono portata avanti fino a appunto a gli ultimi mesi della mia carriera. Certo, quando ti rendi conto di determinate dinamismi e di alcune dinamiche che ci sono dietro, ogni tanto viene rabbia, però poi io penso che la il motore principale di tutto sia sempre la passione. Quindi l'ho accettato quando ho capito certe situazioni, facendo mia questa cosa di sentirmi soprattutto me stessa e sentirmi appagata di quello che facevo.
La ginnastica in particolare è uno sport in cui si inizia da piccolissimi e si finisce che si è ancora molto giovani, le sta creando difficoltà?
Qualche difficoltà la crea ma si possono superare, ricominciando. Non sono nemmeno trentenne eppure sono ginnasticamente vecchia…
Nel senso che si ritrova a ad affrontare letteralmente una nuova vita?
Assolutamente sì: io da quando ho 8 anni, fino a 28, ho fatto ginnastica ritmica ed è uno sport totalizzante. Dalle mie prime 2-3 ore al giorno, si è passati a 6 e, quando a 17 anni sono entrata in Nazionale, sono diventate 8-9 ore tutti i giorni. Il tutto lontana da casa. Quindi sicuramente è uno sport che ha richiesto quasi la totalità del mio tempo di tutta la mia vita finora.
Mai pensato di fare un passo indietro sul ritiro?
No, la decisione di smettere per me è stata una decisione che posso definire fortunata perché comunque l'ho fatta in un momento felice della mia carriera con una medaglia olimpica, con il terzo ciclo olimpico da capitana. Quindi tante cose che mi mi appagano di tutto il mio percorso. E poi penso anche a tutto ciò che sono riuscita nel tempo a crearmi di qualcos'altro in maniera, diciamo, anche furba.
E lei cosa si è costruita durante la carriera per il dopo ginnastica?
Io ad esempio, a settembre di quest'anno dovrei laurearmi, quindi ho portato avanti i miei studi universitari. Ho scritto due libri e ho collaborato con tantissime persone, brand, ho conosciuto tantissime persone e questo ha comportato per me uno sforzo ulteriore per non pensare sempre alla routine allenamento-fisioterapia-riposo senza altra possibilità di scelta. Mi sono in qualche modo sforzata di ampliare tutto quello che c'era al di fuori della mia bolla ginnica e in questo anche i rapporti umani, quindi le amicizie, l'amore e tutto quello che come persona poi veramente ti tengono ancorato alla realtà e ti danno un equilibrio stabile sia mentre fai attività che ora che ci si trova a dover stravolgere la propria vita.
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Ma la decisione del ritiro è nata in un momento particolare o l'ha maturata nel tempo?
Devo essere sincera: io ero convinta di smettere dopo le Olimpiadi di Tokyo. Il Covid mi aveva completamente demolita a livello soprattutto mentale e quindi io ero convinta. Dentro di me sapevo che ero ero stanca, soprattutto mentalmente, avevo voglia di di uscire dalla palestra e scoprire quello che veramente può offrire la vita oltre lo sport.
Poi cos'è accaduto?
Di ritorno da Tokyo in aereo è è scattato qualcosa in me. Quando sono ritornata in palestra ho capito che forse quei 3 anni che mi separavano da una nuova Olimpiade, valeva la pena provarci e ripetersi. Così è stato: hanno continuato insieme a me anche le mie compagne, quindi è stato un percorso bello di 3 anni intensi che ci hanno poi portato a vincere un'altra medaglia.
Cosa le manca di più della ginnastica che è stato il suo mondo per oltre 20 anni?
Ciò che mi manca e mi mancherà secondo me ancora di più col tempo è quell'adrenalina di gara, quella voglia di mettersi in gioco. Anche se soprattutto nelle ultime gare le ho fatte con la consapevolezza che quei momenti, quei boati, quelle emozioni sapevo non l'avrei ritrovate sicuramente in contesti diversi. Mi sono stampata nella nella mia immaginazione, nei miei occhi e nel mio cuore tutto: mi ripetevo che quei momenti non sarebbero tornati più nella mia vita e me li sono goduti come se davvero fossero gli ultimi.
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Ma il pensiero sul ritiro non l'ha condizionata in gara?
Ho cercato che non fosse così, con quella mentalità che la ginnastica mi ha insegnato a coltivare, perché la ginnastica è fatta di presente, di momenti, di piccoli attimi che devono essere essere completati come li hai studiati in palestra. Però tutto questo mi ha fatto in qualche modo riempire quel quadro che che volevo alla fine stampare, avere chiara tutta la mia carriera. In qualche modo mi mi fa vedere oggi tutto molto lucido, molto netto.
La ginnastica le manca?
Ora no, ma penso che fra qualche mese soprattutto quando inizieranno le nuove gare mondiali e le prossime Olimpiadi, ci sarà sempre quella cosa che mi porterà a sentire la mancanza di quell'adrenalina di gara.
E le amicizie, il gruppo, le sue compagne e amiche di viaggio?
Quello, fortunatamente, no perché in qualche modo siamo rimaste sempre in contatto. Poi per il momento sono a Milano, quindi l'Accademia è qua vicina e almeno una volta al mese o se non due sono lì dalle ragazze a salutarle. D'altra parte con le mie compagne più strette c'è un un timer fisso che scatta per vederci perché alla fine ci manchiamo. Quella quotidianità delle 24 ore su 24 sicuramente ha creato in noi un legame così forte che non vogliamo si spezzi.
Per molti sportivi il ritiro è un salto nel vuoto, per lei?
No, anche se non penso di avere la soluzione universale perché sarei presuntuosa a dire questo, però ecco, io mi baso su su come sto. Tanti atleti hanno raccontato il proprio ritiro come una perdita, quasi un grosso lutto e quindi in qualche modo ero preparata al peggio. Credo che sia importantissimo sensibilizzare tutti su questo aspetto perché la fine di una carriera soprattutto se è lunga e anche ad alto livello in cui veramente hai dato tutto te stessa può essere davvero complicato.
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E lei come ci è riuscita a gestirlo?
Da atleta cerchi sempre il di più, poi però ti devi accontentare un po' di di quello che hai fatto, vedendo tutto da un'altra prospettiva. Io mi porto dietro le cose belle, le persone belle, tutto quello che ti ha lasciato veramente lo sport, perché questa mentalità, secondo me, del cercare sempre quello che non hai piuttosto di quello che hai vissuto e avuto è logorante, crea davvero, secondo me, un circolo in testa che che ti demolisce.
Ha mai paura ora, per la su nuova vita?
Ripartire da zero fa paura, però dal mio punto di vista mi ritengo fortunata ad avere un carattere positivo, delle persone a fianco che mi sostengono e mi aiutano. Io mi butto nelle cose, nei momenti duri mi ripeto "Ok, io ora non sono più Alessia ginnasta e e mi piaceva da morire questo ruolo perché mi sentivo veramente me stessa. Ora sono Alessia persona e quindi Alessia persona ha degli interessi, ha delle passioni, ha tantissimi altri talenti che deve scoprire e coltivare.
L'essere stata per tanti anni Capitana l'ha aiutata?
Sì, nel mio sport forse ancor più di altri perché la ginnastica ti forma mentalmente e fisicamente in un modo davvero enorme. Io ho fatto la squadra negli ultimi anni in nazionale e tra l'altro ero la capitana, quindi questo ti forma mentalmente, ti responsabilizza in un modo diverso da altri sport. In 20 anni di carriera non mi sono fermata dagli allenamenti più di tre settimane alla continua ricerca poi della perfezione. Io ho sempre avuto un carattere molto forte e questo in squadra ho imparato a sfruttarlo al meglio, con l'aiuto della squadra e della mia allenatrice pian piano l'ho canalizzato nei nei modi giusti e ho cercato di trasformarlo in un punto di ulteriore
Agli inizi aveva capito di avere la scintilla dei campioni o è nato tutto cammin facendo?
Beh, allora non mi sarei mai aspettata di fare tre Olimpiadi di cue due da capitana, vincere due medaglie e, insomma, tutto quello che ho fatto. Però devo dire che fin da piccola ho sempre avuto una gran bella grinta e quando mi chiedevano qual era il mio sogno, quello erano le Olimpiadi e salire sul podio olimpico. Anche quando poi è arrivata la chiamata in nazionale dopo mille volte: mi han chiamato, mi han scartato, mi hanno tante volte ripreso. Tutto questo ti dà una marcia in più rispetto magari a chi quell"aiutino in più ce l'ha: io mi sono sempre costruita da sola tutto e questo ha forgiato ancora di più il mio carattere.
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Un rimpianto ce l'ha?
Beh, allora, probabilmente mi fiderei un po' meno di tutte le persone che sono passate nel mio percorso, perché ovviamente all'interno della squadra poi tendi sempre a a vedere tutti come bravi, buoni e che si ha lo stesso obiettivo. Però tante volte ti scontri con l'invidia, c'è tanta competizione e la voglia di tirarsi giù anche da dietro. Tante volte giudichi le persone sempre in modo buono e pensi che non possano fare cose che non ti aspetti. E io su questo mi faccio fregare tante volte, quindi, ecco, vorrei essere stata un po' più vigile su questo.
Che consiglio darebbe a chi si avvicina allo sport e alla ginnastica in particolare?
Quando mi sono ritirata ho ricevuto una valanga di affetto che in parte non mi aspettato. Tante persone mi hanno detto che in qualche modo ho cambiato una prospettiva di uno sport intero, farlo conoscere e diventare importante. Non ho la presunzione di dire che ho cambiato la storia, però, ecco, ma sono fiera se ho aiutato ad affrontare lo sport in un modo molto più giocoso, molto più leggero. Di per sé il nostro sport è pesante, con tutti gli allenamenti e la ripetizione infinita dello stesso esercizio: però ecco, se alle persone è arrivato questo messaggio di gioia sono realizzata.
Si può dire che oggi la ginnastica ritmica è uno sport più popolare grazie a lei?
In realtà è stato più un lavoro di gruppo. In alcuni momenti abbiamo cercato di sfruttare la televisione, i media e tutto quello che che unisce l'Italia che ti che ti guarda, sono momenti preziosi per noi. Anche la nostra allenatrice ha saputo dare la giusta pausa e il giusto spazio per questi momenti che poi ti porti dietro per sempre: vedere Sanremo e dire da quelle scale sono scesa anch'io… sono momenti in cui abbiamo creato, secondo me, qualcosa per per il pubblico, portando la nostra spontaneità, la nostra il nostro modo di far ginnastica, la nostra professionalità. Tutto questo ci ha avvicinato il pubblico, portando la ritmica sulla bocca di più persone, quindi anche questa secondo me è una bella vittoria.
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E' stata la ginnastica a dare di più ad Alessia o il contrario?
Penso la ginnastica a me perché io mi rendo conto che nella linea temporale di uno sport noi siamo atleti che vanno e che vengono. Pensare e dire "Ho cambiato la ginnastica, la storia" non non mi appartiene, non lo sento mio. Io ho lasciato sicuramente una piccola impronta, quello sì, con la mia squadra, perché, ripeto, senza la squadra non sarei arrivata a nulla.
Si è sentita più farfalla o più tigre?
Dipendeva dai momenti, non mi piacciono le distinzioni tra bianco e nero. A volte entravo con la convinzione in gara di affrontarla da tigre e e poi in realtà uscivo con le mie compagne, ci guardavamo e dicevamo "Com'era leggera la pedana", quindi in realtà eravamo farfalle. Alla fine credo che la combinazione delle due cose, l'alternanza per affrontare sia gli allenamenti che la gara, sia la chiave giusta.
A proposito delle farfalle: lei è stata Capitana in uno dei momenti più bui della ritmica italiana, cosa ricorda di quanto accaduto?
Diciamo che quel periodo è un periodo in cui ho dei buchi di memoria enormi… purtroppo è stato davvero troppo traumatico anche per me.
Ci può raccontare come visse quei momenti?
È stata una situazione sicuramente arrivata dal nulla, quindi quando ti precipita qualcosa addosso e non ne capisci l'entità, non capisci nemmeno quanto sia grave. Anzi, senti solo che la nostra immagine, della nostra squadra e della nostra allenatrice è completamente infangata, è usata e strumentalizzata per raccontare semplicemente qualcosa di brutto, mentre la tua volontà è solo quella di portare avanti, come dicevamo prima, una passione bellissima che è la ginnastica ritmica.
Davanti allo scandalo cosa provò?
Cercare di non ascoltare tutto quel rumore e non entrare in un circolo vizioso, in cui non sentivamo la nostra voce in mezzo al coro. La mia volontà è stata quella di estraniarmi completamente da tutto, per quanto fosse possibile perché abbiamo subito determinati attacchi anche molto pesanti. La cosa migliore ci sembrava di spogliarci di tutto e metterci a nudo. Allontanare ciò che ci faceva male, quando si arrivò oltre il limite.
E che cosa oltrepassò il limite?
Quello di sentire parlare chiunque di una farfalla infangata. Eravamo su tutti i giornali, dipinte come qualcosa che andava contro ogni elemento distintivo di una farfalla, quindi la leggerezza, la libertà. Era diventato un simbolo negativo, pesante, una catena.
Ci fu un momento particolare che la portò da capitana a dire: ora basta?
Sì. Ricordo un titolo che mi ferì moltissimo: "Come l'Accademia brucia le proprie farfalle". Tutte cose che non ci rispecchiavano. A quel punto abbiamo preferito toglierci da questa responsabilità, quella di avere un nome che in quel momento ci faceva male, ci distruggeva dentro piuttosto che sentirci effettivamente libere.
Secondo lei, si può tornare forse un domani a parlare ancora di farfalle?
Penso proprio di sì… perché in realtà se n'è sempre continuato a parlare. Tante persone, la stessa Federazione, non hanno mai abbandonato quel termine. Per tanti soprattutto bambine, resta un immaginario collettivo che non è stato scalfitto. Io credo fortemente alla libertà di pensiero e di parola. Ognuno è libero da poterci definire come meglio crede, come meglio ci ha viste in pedana e e vedrà in pedana le prossime ginnaste.
La sua speranza su questo argomento qual è?
La cosa che spero è che al di là di farfalle o di guerriere (come le ragazze della ritmica sono state chiamate a Parigi, dopo lo scandalo di Desio, ndr) le persone ricordino che non siamo solamente delle macchine produttrici di risultati, ma anche persone che lasciano qualcosa. Quindi il mio nome o quelli di Martina (Centofanti) o Agnese (Duranti), questi piccoli nostri nomi siano ricordati come persone. Non sono solo delle farfalle, non si nascondono dietro il nome di farfalle, ma hanno una propria personalità come chiunque altro faccia ginnastica.
Dunque si potrà ricucire quell'ala spezzata?
Speriamo…
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Cosa si porta oggi dentro di quel periodo?
Amarezza, ma nel tempo ho capito come non sia un nome, e tanto meno un articolo di giornale che determina chi tu sia, cosa hai fatto e cosa devi fare, chi devi essere. Col tempo ho capito che il silenzio che abbiamo mantenuto in questi anni sia la cosa migliore. Io non so quello che sia successo prima del mio arrivo, sinceramente, ma ho ben lucido tutto quello che è successo nei miei 11 anni. Io so il mio percorso, iniziato nella mia società di Ferrara a livello dilettantistico, finché poi sono arrivata in Nazionale.
Lei si ritiene fortunata rispetto a quanto descritto da altre ragazze?
Non lo so, io posso solamente dire che ho sempre riscontrato una professionalità nello sport ad alto livello. Certamente rispetto a quello dilettantistico c'è una una disciplina più ferrea, ci sono degli orari da rispettare, delle delle regole da seguire, qualcosa che in un certo senso è anche diverso dalla vita sociale che tutti conosciamo, perché poi l'obiettivo è altissimo, si chiamano campionati, Olimpiadi, Mondiali. Però alla fine, personalmente mi ritengo comunque una sorta di di ambasciatrice.
In che senso?
Di ciò che è stato per me l'ambiente in Nazionale, in 11 anni. Mi ritengo una persona sana, una persona che ha avuto i suoi alti e bassi ma ha saputo vivere 11 anni fuori da casa, quindi tante volte ti mancano gli affetti più cari. Quando le gare andavano male, dentro di te qualcosa va male.
E questo può portare anche a distorcere la realtà?
Il livello di responsabilità è enorme, le persone dimenticano che siamo giovanissime, in una fase costante di crescita anche personale. Ora che guardo tutto da fuori, ogni tanto mi domando e dico: "Ma come abbiamo fatto a salire in pedana?". Cioè, gareggi sotto il nome dell'Italia, hai mille persone che investono su di te, quindi tante volte questa cosa ti pesa soprattutto quando le cose non vanno bene. Affrontare così giovani un percorso così non è mai facile.
E lei come c'è riuscita?
Facendomi aiutare. Io quando diventai capitana mi cercai subito una mia psicologa e ho iniziato un percorso perché non mi sentivo all'altezza del ruolo. Pensavo di non riuscire a motivare le mie compagne, avevo quel fuoco dentro però saperlo trasmettere agli altri è un'altra cosa. Nel mio caso ho sempre cercato degli appigli psicologici, anche alimentari, tutto quello che mi serviva per gestire il mio percorso. Oggi queste figure col tempo sono arrivate, sono stabili in Nazionale, però ecco io le ho ricercate nei momenti miei in cui ne sentivo davvero l'esigenza, a prescindere.
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Se dovesse tenersi nel nel portafoglio un ricordo, una fotografia di tutto quello che lei ha vissuto, che fermo immagine avrebbe?
Senza dubbio l'abbraccio che ci siamo date dopo l'oro mondiale nel 2021, a prescindere dalla medaglia. E' stato il come abbiamo fatto il nostro esercizio, erano 2 anni che lo provavamo e lo abbiamo portato anche a Tokyo. Poi, la magia della musica di Cacciapaglia (L'albero della vita, ndr) che per noi era così bella, c'era entrata così dentro… Eravamo consapevoli che era l'ultima volta che facevamo quell'esercizio, quindi a prescindere dal risultato, avevamo stretto un patto tra noi.
Cioè?
Ci siamo dette "saliamo in pedana e spacchiamo tutto". A prescindere da quello che sarà, godiamocela. E così è stato: siamo uscite che piangevamo, ma non perché era era riuscito bene, effettivamente ai limiti della perfezione, ma proprio perché tutte e cinque abbiamo sentito quell'emozione, una sensazione unica… E poi quell'abbraccio finale, poi vabbè, il punteggio, l'oro. Sì è questa è la mia più bella fotografia che porterò con me.