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Davide Brivio: “Vi spiego la differenza dalla MotoGP alla Formula 1. Lì non è andata come speravo”

Davide Brivio è ripartito dal team Trackhouse Racing in MotoGP dopo la sfortunata parentesi in Formula 1: “Ci sono 700-800 persone che gravitano attorno a due macchine. Non è andata come volevo ma ho imparato molto”.
A cura di Fabio Fagnani
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Davide Brivio è uno dei manager più esperti del motorsport, con una carriera che lo ha visto protagonista sia in MotoGP che in Formula 1. Attualmente è alla guida del team Trackhouse Racing in MotoGP, una nuova realtà ambiziosa che punta a consolidarsi tra le squadre di vertice. Dopo aver guidato Suzuki al titolo mondiale nel 2020 e alla leggendaria parentesi in Yamaha con Valentino Rossi, oggi è ripartito da un team indipendente con Aprilia. Dopo il primo gran premio in Thailandia, il suo team è uscito rinvigorito soprattutto per la grande prestazione del rookie giapponese Ogura (quarto nella Sprint e quinto nella gara lunga).

Dopo questo inizio di stagione, siete carichi?
Ovviamente siamo ancora con il trend positivo della prima gara dell'anno. In Argentina è stato un bel weekend, un'altra grande giornata per Ogura. Ha fatto una grande ripresa, partendo quindicesimo ed è riuscito a chiudere ottavo, grazie a sorpassi e lotte con piloti esperti.

Come mai è stato sanzionato?
La sanzione post gara contro Ai (Ogura, nda) è molto deludente. Dobbiamo accettare la decisione degli Steward ma ci dispiace molto perché il software – che è stato contestato ed oggetto della penalizzazione – non gli ha dato alcun vantaggio ed è così deludente togliere punti da una grande gara e dalla grande prestazione che ha fatto in pista. Nello specifico abbiamo usato solo una versione sbagliata del software nella ECU (l'elettronica, nda). Ha fatto una grande gara, un recupero fantastico e andiamo avanti.

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Voi cosa vi aspettate da lui?
Voglio buttare un po' d'acqua sul fuoco. Sono state due gare belle, quella in Thailandia è stata impressionante, nonché una graditissima sorpresa, ma il nostro lavoro con lui è un altro. È un rookie e deve imparare il più possibile della MotoGP. Una gara così conferma il suo talento, ma dobbiamo continuare con questo lavoro di apprendistato senza gasarci troppo. L'importante è che continui a crescere gara dopo gara, accumulando esperienza e migliorando il feeling con la moto. Non dobbiamo avere fretta di mettergli pressione con aspettative troppo alte.

Lucio Cecchinello ha detto che hai la grande abilità di scoprire talenti che magari altri non considerano subito. Come rispondi a questa descrizione?
L'ho ringraziato per le belle parole. Non so se sia un'abilità, le scelte si fanno insieme, come team. Quando scegli un rookie, fai valutazioni su statistiche, podi, gare vinte, ma poi devi fidarti anche dell'istinto. La scelta di Ai, così come in passato con Maverick Viñales, Alex Rins o Joan Mir, nasce da una scommessa basata su potenziale e lavoro di squadra. La mia filosofia è sempre stata quella di dare una possibilità ai giovani, ma non è una regola fissa. Ogni scelta dipende dal contesto e dalle opportunità del momento. A volte il talento è evidente, altre volte bisogna scavare più a fondo per riconoscerlo. L'importante è mettere i piloti nelle condizioni migliori per esprimersi.

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Come mai la scelta di puntare su un rookie e non su un pilota affermato, magari non un top rider, ma esperto come poteva essere Jack Miller o Johann Zarco, piuttosto che altri?
Il discorso è che ora sono in un team indipendente, il ragionamento è stato anche questo. I piloti più blasonati o quelli più forti vogliono essere in un team ufficiale, e quindi hanno scelto il team ufficiale. Allora, la sfida è quella, proviamo a scegliere un debuttante che magari non ha posto in un team ufficiale. Viene da noi, cresce e speri che si costruisca in casa il tuo top rider, il tuo pilota forte. Questa è stata un po' anche l'idea e il progetto, quello di dire prendiamo un debuttante, se la scelta è stata buona, è stata corretta, potremmo avere l'anno prossimo, dopo che ha fatto un anno di apprendistato, magari un pilota che ci può dare delle soddisfazioni. E quindi ti adatti un po' alle situazioni. Però vedi, nel motorsport spesso succedono delle cose impreviste: Rossi che lascia la Honda e viene convinto a firmare per noi in Yamaha all'epoca oppure proprio di recente l'addio di Marc Marquez, sempre dalla Honda, e quindi Gresini sfrutta questa possibilità e prende un top rider da team indipendente. Oppure Lewis Hamilton che sogna di andare in Ferrari, quindi la Ferrari lo prende. Quindi non esiste una regola secondo me, bisogna essere magari bravi a sfruttare le occasioni del momento. La scelta del debuttante è stata fantastica adesso, non è detto che lo sarà anche la prossima volta. Magari più avanti ci sarà l'opportunità di prendere un pilota fortissimo, deluso, che decide di scegliere questa sfida per rilanciarsi e tu magari la cogli al volo.

Dopo tanti anni nel paddock, qual è la cosa che sai fare meglio nella gestione di un team?
Non mi piace celebrarmi, ma credo che l'aspetto più complesso e interessante sia gestire un gruppo di persone con culture e caratteri diversi. In un team MotoGP abbiamo inglesi, spagnoli, italiani, un meccanico malesiano, un pilota giapponese. Il mio compito è farli lavorare bene insieme, risolvere problemi e conflitti. Nel motorsport ogni settimana hai una sentenza: vinci o perdi, e questo rende tutto più sfidante. Inoltre, gestire un team significa anche saper prendere decisioni rapide sotto pressione. Bisogna essere flessibili e capaci di adattarsi a situazioni impreviste. La MotoGP, come tutti gli sport motoristici, è in continua evoluzione, e un buon manager deve saper anticipare i cambiamenti.

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Dopo l'esperienza in Formula 1, cosa ti ha fatto tornare in MotoGP?
Sono molto contento di aver fatto quell'esperienza, anche se non è andata come speravo. Volevo capire come funzionasse un team di Formula 1, con 700-800 persone che gravitano attorno a due macchine. Ora conosco meglio quel mondo e ho potuto portare alcuni insegnamenti in MotoGP. Anche le esperienze meno positive insegnano qualcosa. Diciamo che in Formula 1 non ho avuto la stessa influenza che ho avuto in MotoGP. Il mio ruolo era diverso, e l'organizzazione di un team è molto più complessa. In MotoGP ci si muove in un ambiente più agile, e questo mi si addice di più.

Cosa manca oggi alla MotoGP per attrarre più pubblico?
Credo che la Formula 1 abbia fatto un grandissimo lavoro, grazie anche a Stefano Domenicali. Hanno trasformato lo sport in intrattenimento. Oggi molti eventi sportivi non sono solo gare, ma esperienze. In MotoGP dobbiamo migliorare in questo senso, rendere il paddock più accessibile, creare eventi che attraggano più persone, senza snaturare la competizione. La MotoGP è uno sport incredibile, ma deve comunicare meglio con il pubblico giovane. Le serie TV e i documentari hanno aiutato la Formula 1 a crescere, e penso che dovremmo esplorare strade simili.

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A fine stagione sarai felice se…
Se Raul (Fernandez, nda) sarà costantemente vicino ai migliori e se AI (Ogura, nda) avrà imparato il più possibile, mostrandoci altre gare come quella della Thailandia. Ma soprattutto, se il nostro team continuerà a crescere, dimostrando che siamo sulla strada giusta per diventare una squadra competitiva e stabile in MotoGP.

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