Diego Perotti: “Vivo senza orari, mi piace comprare case. La Kings League con Fedez è stata dura”

Diego Perotti, a Fanpage.it, racconta cosa fa oggi dopo il ritiro e ripercorre le tappe più importanti della sua carriera dalla Roma alla Kings League. El Monito svela il suo segreto sui calci di rigore e com’è stato vivere da dentro lo spogliatoio giallorosso lo scontro Totti-Spalletti.
A cura di Vito Lamorte
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Diego Perotti non guardava la palla quando batteva i rigori ma fissava gli occhi del portiere in attesa di una mossa. In quel momento decide dove calciare. Sui trenta calciati ne ha sbagliati solo tre: una media pazzesca. Figlio del Mono Hugo Perotti, che giocò e vinse un campionato argentino al Boca Juniors con Diego Armando Maradona, a lui è toccato il soprannome El Monito (‘La Scimmietta') e proprio il Pibe de Oro lo convocò per la prima volta nella Seleccìon. Storie e percorsi che si intrecciano.

Agli inizi della sua carriera lo avevano etichettato come il classico “figlio di papà” ma Diego in campo si è sempre fatto valere dimostrando padronanza tecnica, intelligenza e una grande abilità nel creare palle gol, per se stesso e i compagni. In Europa c'era arrivato grazie al Siviglia, dove si è fatto conoscere prima di spiccare il volo per l'Italia tra Genova, Roma e Salerno.

A Fanpage.it Diego Perotti ripercorre le tappe più importanti della sua carriera tra Roma, Genoa, Siviglia e l'Argentina: El Monito svela il suo segreto sui calci di rigore e com'è stato vivere da dentro lo spogliatoio giallorosso lo scontro Totti-Spalletti, fino alla recente esperienza in Kings League.

Cosa fa oggi Diego Perotti?
"Sono entrato nel mondo del padel più o meno da quando ho smesso di giocare a calcio. Ho ufficializzato il mio ritiro da sei mesi ma sono due anni che non gioco. Mi piace tantissimo, gioco tutti i giorni e prendo anche qualche lezione per migliorare. Poi un po’ di palestra per tenermi in forma e passo molto tempo con i miei bambini. Sono entrato in società con Diego Tavano, un procuratore, e cerco di capire un po’ di più questo mondo. Non ho più orari e le giornate scandite come prima, mi sto godendo un po’ di più questa vita da ex calciatore".

L’abbiamo vista nella prima giornata della Kings League Italia, ha giocato nella squadra di Fedez e Moggi. Ci racconta che esperienza è stata?
"Mi piace molto il calcio ma sento che faccio una grande fatica a giocare a 7 o a 8 perché i ragazzi alla Kings vanno a mille, hanno un’intensità e una grande voglia di giocare. Il tocco rimane ma se non corri è dura… la bellezza del padel, ad esempio, è che ti diverti giocando un po’ da fermo. La Kings è un format molto seguito e non puoi andare lì pensando di stare fermo in mezzo al campo, toccando la palla e basta. Lo danno in diretta ovunque, i ragazzi che giocano con te magari si aspettano che fai qualcosa in più e non puoi pensare di andare lì tanto per farlo. È stato bello, l’idea è carina, ma ho fatto fatica quella mezz’ora perché poi inizi 1 vs 1, poi 2 vs 2. Sono altri tempi, altre distanze. È impegnativo".

Perché il suo soprannome è El Monito?
"Mio padre, che giocava anche lui, lo chiamavano El Mono e in spagnolo vuol dire ‘la scimmia’. Io sono diventato Monito in quanto suo figlio. Non mi è mai piaciuto molto ma in Argentina funziona così".

Ci racconta come nasce il tuo modo di battere i rigori e qual è il segreto di questo tipo di esecuzione?
"È nato a Siviglia. Inizialmente non li battevo io, ma mi allenavo. A prescindere da chi li tira e dal modo, il calcio di rigore è un vantaggio per chi lo batte: statisticamente sei più avvantaggiato rispetto al portiere. Ho iniziato a provare questa cosa con i portieri di riserva dopo gli allenamenti, chiedendogli cosa li mettesse più in difficoltà in quella situazione… se quello che aveva di fronte correva veloce o faceva un certo movimento. I portieri hanno le loro strategie nel capire dove calci".

E il segreto qual è?
"Alzare la testa prima di calciare, perché il 95% dei portieri un passo lo fa, a meno che non hanno una forza di gambe importante: quelli che hanno questa caratteristica ti mettono in difficoltà e alcuni me l’hanno parato. Sono stati bravi. Il segreto era quello lì, avere quel secondo in più prima dell’impatto con pallone di veder il movimento del portiere. Naturalmente, anche loro ti conoscono e ti studiano ma io in allenamento ne calciavo tanti. Poi in partita le cose cambiano: ci sono quelle con 50mila persone, i derby o i rigori al 90’. Ci sono tante situazioni, ma io sono dell’idea che più provi e più sei preparato per quella situazione".

Perotti ha scritto pagine importanti in molti club. Partiamo da Roma: che esperienza è stata?
"Siamo rimasti a vivere qua, quindi penso che è un po' la sintesi di tutto. Credo che il modo più sincero e bello per dire come ci ha colpito questa città dall'inizio, da quando siamo arrivati. Sfortunatamente non siamo riusciti a vincere un trofeo ma sono contento di andare per strada e vedere di aver lasciato al tifoso un bel ricordo. È una cosa che ti aiuta anche nella scelta di dove rimani a vivere, dove fai crescere i tuoi figli. Già da quando siamo arrivati, nel 2016, mia moglie si era innamorata della città e avevamo già deciso. Poi non si sa mai, però è stato l'unico posto dove ho comprato casa".

Perotti scherza in panchina con Totti.
Perotti scherza in panchina con Totti.

Ha vissuto in prima persona il giorno dell’addio di Totti, segnando il gol decisivo: che momento è stato?
"Sono quelle cose che finché non passa il tempo non ti rendi conto. È stato triste per i tifosi e per tutti noi, però è anche un orgoglio dire che sei stato là in quel momento. La fortuna nel calcio, e nella vita, serve sempre. A livello personale potrò dire ai miei figli che ho giocato con lui anche se non era nel suo ‘prime’, però è stato bello essere stato lì nella sua ultima partita. Ho dato il mio aiutino per rendere quel giorno un po’ meno triste grazie al gol per entrare in Champions, perché sarebbe stata veramente un'ingiustizia non entrarci dopo la stagione che avevamo fatto. Oggi credo che con quei punti avremmo vinto il campionato ma in quel momento c'era la Juve che non perdeva una partita. È stata una doppia sensazione perché oggi posso dire che ho giocato con lui e nella sua ultima partita ho aiutato la squadra a vincere. È stata una chiusura perfetta".

Lo scontro Totti-Spalletti visto da dentro lo spogliatoio com’è stato?
"Io ho sempre detto che ci sono momenti e ci sono giocatori che vanno gestiti in un altro modo. Per questo io non farò l'allenatore, perché credo che per farlo devi avere un qualcosa in più ed essere in grado di gestire 25-26 uomini diversi, di diverse nazionalità, culture e religioni. Devi essere molto preparato. Io non mi considero preparato per farlo, non mi è mai piaciuto e non lo farò. Io lo so che Francesco non è uguale a me, così come quando ero al Boca non ero uguale a Riquelme. Io so che se lui non si allena in settimana e poi gioca, non mi posso incazzare. Sarei stupido a pensarlo e il giocatore certe cose le capisce. Ci sono situazioni che vanno gestite in un altro modo, come accaduto anche con Daniele (De Rossi, ndr) da allenatore. Comunque rimango dell'idea che due bandiere come Francesco e come Daniele devono essere trattate con in maniera speciale, diversa del resto".

Perotti esce dal campo e dà il 'cinque' a Totti.
Perotti esce dal campo e dà il ‘cinque' a Totti.

Su Totti ho ritrovato una sua intervista in cui diceva: "Quando vedi Totti ti rendi conto che tutto quello che hai fatto non è stato giocare a calcio”. Ci spiega cosa intendevi?
"Sì, perché a volte pensi ‘ma veramente io faccio lo stesso sport di questa persona?’. Perché lui lo ha fatto troppo meglio di me. Avere lui come compagno, Riquelme o Messi in nazionale, è bellissimo; però ti fa capire che non ci arriverai mai a quello che loro fanno. Puoi lavorare più ore, puoi mangiare meglio, puoi dormire tre ore in più e puoi fare meditazione: non ci arrivi. Poi vederlo tirare in porta in allenamento e 5 volte su 5 mette la palla sotto all'incrocio… pensi che è fico poter vedere dal vivo una roba del genere anche se, ripeto, sai che tu non ce la farai mai".

Riquelme era un altro che la palla la metteva dove voleva…
"Per me, è di quel livello, perché Messi e Cristiano li lascio fuori…  lui è stato, insieme a Francesco, qualcosa di unico. Riquelme è uno dei motivi per cui sono sono tornato dal Siviglia al Boca, ovvero giocare con quel calciatore che tuttora a volte vedo su Youtube. Il modo in cui proteggeva la palla e la teneva sotto la suola del piede, non ho mai visto nulla di simile".

Perotti esulta dopo il gol del 3-2 al Genoa il giorno dell'addio al calcio di Totti.
Perotti esulta dopo il gol del 3-2 al Genoa il giorno dell'addio al calcio di Totti.

Prima della Roma, c’è stato il Genoa: tappa importantissima per la sua carriera…
"Io venivo dal prestito al Boca Juniors, dove non ho giocato quasi mai perché mi ero fatto male e prima al Siviglia avevo preso una strada completamente in discesa. Arrivo a Genova con un allenatore tostissimo, che poi è diventato un papà per me, ed è il più forte che ho avuto in carriera: in quel momento pensavo che non ce l’avrei fatta. Il calcio italiano è molto più fisico rispetto a quello spagnolo e io che venivo da una situazione un po' al limite ho iniziato a vedere il modo di di allenare di Gasperini, l'intensità con cui giocavamo a tutto campo, uno contro uno, e ho pensato che potevano succedere due cose: o che dovevo smettere di giocare a calcio o che riuscivo a mettermi in condizione".

Ed è andata bene.
"Poi sono girate delle cose perché molti calciatori avevamo avuto dei momenti un po' così: Iago Falque, Rincon aveva problemi al ginocchio, Bertolacci lo stesso… a volte capitano queste cose grazie ad un allenatore forte che ha saputo leggere le qualità di ogni giocatore. Io ho pensato sempre che l'allenatore forte è quello che riesce a far esplodere quello che non fai bene perché quello che già fai bene può solo migliorare. Abbiamo fatto una stagione da Europa League, che poi non abbiamo fatto per discorsi legali, ma abbiamo fatto un'annata pazzesca con un allenatore che ti fa dare il 100%. Io in quel momento avevo bisogno di quello e di una piazza che mi spingesse. Mi hanno dato il numero 10, mi sono sentito voluto bene e il fisico mi ha permesso di giocare. Quando il fisico mi permetteva di giocare era tutto molto più più facile".

È vero che Roberto Mancini la voleva all’Inter nel 2015?
“Sì, mi ha chiamato a casa in Argentina. Non mi ricordo adesso se era troppo presto o troppo tardi e io non ho risposto. Mi ha fatto chiamare il mio procuratore dell'epoca al telefono di casa: io mi vedevo già lì. Quando ti chiama l'allenatore è diverso, un conto sono le voci di mercato o che il tuo stesso procuratore parla con qualcuno, ma io avevo fatto una grandissima stagione al Genoa che mi aveva preso per poco e la differenza economica era tanta. Andava bene a tutti. Lui mi ha chiesto se io ero disposto ad andare lì perché voleva giocare 442: io avevo giocato sempre così a Siviglia, quindi per me non c’erano problemi. Mi ha detto: vabbè, inizia il ritiro col Genoa e poi vediamo. Inizio il ritiro e mi manda un altro messaggio, questa volta su Whatsapp, dove mi disse che le cose si erano un po' raffreddate ma dovevo avere pazienza, che la trattativa si sarebbe chiusa. Poi hanno preso in due giorni hanno preso Eder (fa confusione con Jovetic) e Perisic e da lì non ho più saputo più niente dell'Inter“.

Diego Perotti in azione con la maglia del Genoa.
Diego Perotti in azione con la maglia del Genoa.

Altro momento fondamentale per la sua crescita è stato Siviglia: il suo primo contatto col calcio europeo.
"Una città storica, bella, una piazza calda con i tifosi si facevano sentire. Sono arrivato lì a 18 anni ed è stato un grande cambiamento per me: un altro paese, un'altra moneta, e non eravamo preparati. Mia mamma che andava e tornava dall’Argentina ogni due mesi ma è stato bello perché comunque era quello che uno ha sempre sognato. Io ero passato da dalla Serie C in Argentina al Siviglia: è vero che all'inizio sono andato nella seconda squadra però dopo un anno sono passato con la prima, quindi è stato tutto molto veloce. Peccato per gli infortuni degli ultimi anni che mi hanno fatto giocare poco e per qualche problema con la tifoseria, però è una squadra a cui tengo e sono molto grato perché grazie a loro ho creato la mia carriera in in Europa".

Cosa vuol dire per un argentino essere convocato in nazionale da Diego Armando Maradona?
"Quando ho ricevuto quella chiamata, beh… a quell’epoca non c'era Whatsapp, c’era il cellulare normale e ai numeri che non conoscevo non rispondevo mai. Sono quelle cose che rimangono, perché poi era una voce che era completamente riconoscibile: io sapevo che era lui, che non era uno scherzo. Mi ha detto: ‘Va bene, sei convocato con la nazionale, dopo la partita di mercoledì vieni a Madrid’. Quella è stato l'unica cosa che mi ha detto al telefono e io sono rimasto scioccato, perché ero arrivato a Siviglia a 18 anni, a 19-20 ero in prima squadra e a 21 in nazionale… tutto molto veloce. Abbiamo fatto una partita con la Spagna, a Madrid, e devo dire che lui è mi stato molto vicino anche se ero un esordiente. Mi ha parlato molto nei giorni precedenti: io ero in stanza con Demichelis, e quando veniva a parlare con lui a volte si fermava con me. Aveva un'aura, era un qualcosa di diverso. Per me già era al numero uno, dopo quello ancora di più“.

Perotti conduce il pallone durante un'amichevole tra Argentina e Italia.
Perotti conduce il pallone durante un'amichevole tra Argentina e Italia.

Nel 2018 sperava di andare al Mondiale in Russia, perché Sampaoli non l’ha convocata?
“Sì, perché ero stato convocato con quasi tutte le partite e poi è stato l'anno che siamo arrivati in semifinale di Champions con la Roma. Io e Fazio eravamo gli unici argentini in semifinale di Champions League e giocavo spesso titolare. Tutte le cose andavano in quella direzione. È vero che alla fine del campionato, gli ultimi 2-3 mesi, ho avuto dei problemi e giocavo meno. Era complicato entrare nell’attacco dell'Argentina: lasciamo fuori dal discorso Leo, c'erano Di Maria, Lavezzi, Higuain… era davvero complicato entrare, quindi dovevi giocare sempre bene. Non potevi dire mi faccio due mesi di relax così arrivo pronto. Il problema è che sono rimasto fuori dalla lista due volte: la prima quando esce l'elenco  ufficiale dei convocati e dopo una settimana, quando si è fatto male Lanzini. Nella lista delle riserve c’ero anche io ma chiamò Enzo Perez, che giocò tutte le partite pur essendo chiamato come una riserva. Quando non mi chiamò anche la seconda volta mi fece male perché lì mi ero visto dentro anche perché tutti mi dicevano ‘vedrai che ti convoca'".

Ricorda cosa ha fatto con il primo stipendio da calciatore? Una follia o un regalo per qualcuno…
“Guarda, io fortunatamente ho avuto sempre intorno a me una famiglia che mi ha fatto sempre scegliere bene e mi ha insegnato a non fare pazzie. Mi ricordo ancora la prima volta che abbiamo preso lo stipendio a Siviglia con mamma da soli, calcola che all’epoca un euro erano tre o quattro pesos argentini, oggi un euro sono 1000. Pensa l'inflazione che vive il mio paese, la differenza economica è tanta. La famiglia ha saputo guidarmi per non farmi perdere la testa. Poi, alla fine, a 18 anni ci sta anche di comprarti una macchina, magari non quella che puoi prendere quando giochi alla Roma a 30 anni. Un ragazzo di vent'anni non deve andare con la Ferrari. Bisogna avere la fortuna di trovarsi accanto delle persone che ti sanno guidare. E io ce le ho ancora, su quello sono stato molto fortunato“.

Diego Perotti con la maglia del Siviglia.
Diego Perotti con la maglia del Siviglia.

Che progetti ha Perotti per il futuro?
“Come dicevo, sono entrato in società con Diego Tavano e dò una mano a livello di contatti. Non sono procuratore, non ho il patentino, ma sto conoscendo una parte di questo mondo parallelo a quello del campo. Mi è sembrata una persona molto onesta, chiara, trasparente e sto dando una mano con i contatti che ho creato durante della carriera. Mi piacciono molto gli investimenti immobiliari, c'ho un paio di case qua a Roma e anche in Argentina. È un mondo che mi piace molto".

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