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Vincenzo Malinconico - Avvocato d'insuccesso

Vincenzo Malinconico 2 si farà? La risposta del regista Alessandro Angelini

Il finale della fiction “Vincenzo Malinconico – Avvocato di insuccesso” in onda su Rai1 giovedì 10 novembre, lascerebbe spazio a nuovi racconti, se ce ne saranno Fanpage.it l’ha chiesto al regista Alessandro Angelini. Dopo aver portato in scena il mondo della creatura nata dalla penna di Diego De Silva, con sensibilità e sagacia, è il primo a sperare in seguito.
A cura di Ilaria Costabile
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"Vincenzo Malinconico – Avvocato di insuccesso" la fiction di Rai 1 tratta dai libri di Diego De Silva e con protagonista Massimiliano Gallo, si fermerà alla prima stagione o ne avrà anche una seconda? È una delle domande che abbiamo posto ad Alessandro Angelini, regista degli episodi che con la puntata di giovedì 10 novembre giungono al termine. Portare in scena il mondo dell'avvocato Malinconico non è cosa semplice, le arringhe che si svolgono in un'aula di tribunale, insieme a quelle squisitamente interiori che pronuncia contro se stesso, sono il frutto di riflessioni, divagazioni, filosofiche considerazioni che rendono il personaggio nato dall'estro dello scrittore salernitano un unicum.

Alessandro Angelini è riuscito nell'impresa di portarlo sulla scena, con la giusta leggerezza e la maestria di chi abbraccia un progetto in tutta la sua essenza, riconoscendone le potenzialità: "La scrittura di De Silva non è una scrittura che arriva sul set e può essere presa in tutto e per tutto, va nutrita, alimentata, corroborata si adegua, in qualche maniera va di pari passo con le riprese", ci racconta.

E tra un'intuizione e l'altra, una traduzione dalla pagina all'immagine e una battuta sorniona tipica di Vincenzo Malinconico, ammette: "Sarei felice di una seconda stagione, di spunti ce ne sono e poi Malinconico non è solo un avvocato di insuccesso, ma soprattutto un acrobata dei sentimenti, un po’ come tutti noi, la gente l'ha capito e lo sente come un amico". 

Soddisfatto di questa prima stagione che volge al termine?

Sì, molto. Mi pare che sia un personaggio molto amato e che il pubblico lo senta vicino, lo considera come un amico che si ha piacere di ascoltare, perché portatore di buon umore. Non posso non riconoscere l’importanza e la bravura di Diego De Silva per il personaggio che ha creato e la bravura di Massimiliano Gallo che è riuscito a dargli i giusti colori.

"Vincenzo Malinconico – Avvocato di insuccesso" è senza dubbio un prodotto diverso dagli altri. Crede sia arrivata al pubblico questa diversità?

Uno dei più bei complimenti che mi hanno fatto è stato il considerare Malinconico come qualcosa di nuovo, diverso dal panorama delle fiction di Rai1, eppure ritenerlo comunque un classico. Questo significa essere arrivati al cuore delle persone in maniera originale, ed era anche l’intento che ci eravamo prefissati. È vero che siamo un po’ diversi, ma siamo originali.

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Nella fiction, come accade nei libri di De Silva, si seguono le divagazioni mentali di Malinconico che potrbbero portare un po' fuori traccia tanto il lettore quanto lo spettatore. C'era il desiderio, assecondando questo andamento, di abituare il pubblico ad una narrazione non canonica? 

Non credo ci sia stata l'intenzione di "educare" i pubblico, ma la voglia di proporre qualcosa di diverso che avesse un Dna preciso. I libri di Diego De Silva sono solo apparentemente semplici, la sua scrittura una volta messa in scena resta un materiale vivo, che sul set va continuamente nutrito. Con la sceneggiatura gli attori si esprimono attraverso le parole, sul set le parole vengono tradotte in gesti, in atteggiamenti col corpo, perciò quando si ha a che fare con livelli narrativi diversi, passando dal dramma alla commedia, all'introspezione, come accade nei romanzi d Malinconico, il lavoro deve essere ancor più rifinito. Spesso è stato necessario trovare delle idee per rendere questa molteplicità.

Qual è stato l'elemento più ostico da mettere in scena con tutto questo materiale emotivo e narrativo da indagare?

Coniugare tutti questi registri, il drammatico, il comico, il surreale spesso in una stessa scena è stata la cosa più complicata, ma anche la più bella. Credo che qualsiasi regista voglia cimentarsi con un personaggio e con un progetto così complesso come quello di Malinconico e al tempo stesso, così popolare, ironico, che consente di uscire fuori dai canoni.

Interessante è l'uso della voce fuori campo di Vincenzo Malinconico. Se in alcuni prodotti tv, come succede anche a teatro, la voce serve a creare un contatto con il pubblico, rompendo la cosiddetta quarta parete, qui sembra che il personaggio sia il suggeritore di se stesso. Come mai questa scelta stilistica?

La voce fuori campo è in realtà il pensiero di Malinconico, la sua voce interiore. Quando parla con sé stesso è libero di scegliere le parole, ma anche il metodo comunicativo che vuole adottare, scegliendo di scuotersi con un linguaggio più forte, oppure crogiolarsi in quello stato d’animo un po’ sornione, come per esempio quando si dice “mi sento felice e per questo mi chiedo, dove ho sbagliato?”. In fondo è la cifra stilistica di De Silva, nonché la bellezza della sua scrittura.

Questo filosofeggiare di Malinconico, l'atteggiamento sornione di cui sopra, rischiavano di far scivolare il personaggio in una macchietta. Ha temuto potesse succedere?

In realtà no, perché c'era un grande rispetto nell’approcciarsi ai libri, sapendo che ci sono tantissimi lettori ad amarli. La fiction su Malinconico ha tanti valori aggiunti, dalla scrittura di Diego De Silva, al cast, poi è fondamentale avere buoni compagni di viaggio davanti alla macchina da presa perché sono quelli che ci mettono la faccia, la voce, le azioni, ma anche dietro. Jerry Lewis diceva che far ridere è un mestiere molto serio, in un certo senso è come se avessimo dovuto mantenere ancora più alta l'attenzione per non scivolare.

Una delle caratteristiche dei romanzi di De Silva è il fatto che non si descrivano né luoghi, né personaggi. Lei, quindi, ha dovuto immaginare tutto per poi metterlo in scena. 

È stato un processo affascinante, ed è stato bello scoprire con Diego che certi luoghi che sono stati scelti erano proprio quelli in cui aveva scritto Malinconico. Ad esempio l’aula di Tribunale che segna l’inizio della serie. Da persona intelligente e sensibile qual è, mi ha lasciato libero di lavorare, salvo poi confrontarci nel momento in cui avevamo idee divergenti. Mi ha confidato che adesso, quanto scrive, immagina proprio i nostri personaggi. È una cosa che mi rende molto felice.

Adesso si può dire che sia stato lei a regalare nuove immagini alla fantasia dello scrittore. 

Ci siamo scambiati, è il senso di lavorare insieme, quello di scambiarsi esperienze, informazioni, emozioni, sensibilità, restituirle e valorizzarle.

Ci racconta il lavoro fatto sui personaggi? Ad esempio, parlando con Denise Capezza è emerso che il personaggio di Alessandra Persiano è stato reso in maniera leggermente diversa dai romanzi. 

Nel passaggio dalla pagina scritta al set, quindi dal personaggio all’essere umano, ho cercato di tenere il rapporto tra la Persiano e Malinconico, come quello tra due persone molto diverse tra loro che cercano di scambiarsi qualcosa. Alessandra Persiano, così corteggiata in tribunale, vede in Malinconico quella spensieratezza che non trovava dai tempi del suo fidanzato dell'adolescenza. Cerca quella leggerezza che nei rapporti tra adulti spesso non c'è.

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E Mr Fantasy? Com'è nata l'idea di creare un amico immaginario e con il volto di Carlo Massarini?

Malinconico è un appassionato di musica leggera, nei libri ci sono delle vere e proprie analisi. L'idea di Mr Fantasy, a mio avviso geniale, è del nostro produttore Rai, Ivan Carlei, che ha tradotto questo mondo musicale in qualcosa di universale. Massarini con la sua esperienza e con le sue trasmissioni è riuscito a diffondere la musica in una forma diversa, con i video, gli aneddoti sui cantanti. Quindi abbiamo ipotizzato che questo amico immaginario potesse essere un esperto di musica, un po' il contrario di Malinconico che invece è più filosofo.

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Un nemico-amico si potrebbe dire. 

La chiave che ho trovato con Carlo e con Massimiliano, è stata quella di non avere un amico immaginario che desse dei suggerimenti giusti, ma che fosse spesso osteggiato, che ci fosse un po’ di contrasto tra loro. Mi sembrava di rendere questa interazione più originale.

Ho letto che lei per questa fiction si è ispirato alla commedia di Nanni Loy. Cosa di quel mondo ha voluto portare in scena?

È una cosa che è venuta spontanea leggendo i primi adattamenti. Intanto c’è Lina Sastri che è l’interprete di uno dei più bei film di Nanni Loy, “Mi manda Picone”, e questo ha segnato una sorta di collegamento. Poi, un episodio di Malinconico può svolgersi anche solo con Malinconico che attraversa la strada, metaforicamente, perché viene fermato da un tipo che gli dice una cosa, lui ci riflette, poi viene portato via torna al punto di partenza e lì incontra qualcun altro. Questo sistema di scatole cinesi che si aprono e portano il personaggio sempre più lontano da quello che è l’obiettivo che si è prefissato all’inizio, ci sembrava molto vicino a quel mondo di Mi Manda Picone, dove c’è questo schema e dove si incontrano personaggi molto particolari, come ad esempio Tricarico.

Tricarico (Francesco Di Leva ndr.) se mi permette, è davvero una chicca.

L’incontro con Tricarico nei libri non è così. Con questo look in giallo, volevamo caratterizzarlo alla maniera di Malinconico, un camorrista che non rispecchia i soliti canoni. Volevamo raccontarlo come fosse un cantante neomelodico, magari lo è sotto la doccia, però si doveva creare un cortocircuito tra il fuori e l'essenza di quel personaggio.

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Tirando le somme, spazio per una seconda stagione ci sarebbe, le chiedo quindi: ci sarà?

Bisognerebbe chiederlo alla Rai, ai produttori, la storia soprattutto guardando l'ultima puntata si presta ad un seguito e poi, chi ha letto i libri di De Silva, sa che ci sarebbe ancora molto da raccontare.

Cosa dobbiamo aspettarci da quest'ultima puntata?

In quest’ultima puntata, scopriremo se Malinconico riuscirà ad avvicinarsi alla verità sulla morte di Brooke, se la sua storia d’amore con la Persiano proseguirà o meno, però è importante questa serata perché segna l’entrata in scena di due nuovi personaggi, due nomi molto amati dal pubblico televisivo, ovvero Michele Placido, un principe del foro sui generis, spassosissimo e Ana Caterina Morariu, una seducente ereditiera.

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Secondo lei la fiction avrebbe meritato di più in termini di ascolti? Lei che si è misurato anche con la regia di serie tv targate Rai piuttosto seguite come "Tutto può succedere", ha visto una differenza?

La verità è che è diventato molto complicato fare un calcolo che sia esatto. Credo ci sia una percezione reale da una parte dall'altra virtuale. Se devo dar conto ai messaggi che ho ricevuto, le manifestazioni d’affetto, anche dei commercianti sotto casa, gli amici o persone che non sento da tempo, allora posso dire che un bel riscontro c'è stato. D'altro canto bisogna tener conto che i dati non sono quelli di tanti anni fa, per diversi motivi, dall'esistenza di RaiPlay alle modalità di fruizione dei prodotti televisivi che sono cambiate. E poi, posso dire una cosa?

Certo, dica pure. 

Quando ci si chiede: cosa serve per fare un bel lavoro? Per me servono una buona scrittura, un cast che funzioni, dei collaboratori bravissimi, un produttore che ami il progetto e poi mi ci metto per ultimo, serve anche un regista che capisce e dirige bene il tutto, magari con delle idee. Salvo l’ultimo punto che non posso dirmelo da solo, ho avuto dei grandi collaboratori dietro la macchina da presa, una bravissima casting che è Barbara Melega, un musicista che ha fatto un lavoro stupendo, Giorgio Ciampà, ma anche Nicola Saraval per la fotografia, Nicolini per il montaggio e Daniela Ciancio per i costumi. Se sono contento è anche per loro.

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