"Uomini: li vogliamo per la compagnia o per il cazz0?", questo è solo uno dei sagaci spunti di riflessione che pone la serie dramedy Uncoupled con protagonista Neil Patrick Harris. Approdata su Netflix lo scorso 29 luglio, le otto puntate di questa prima stagione si pongono come una sorta di Gay and the City in cui al posto di Carry Bradshaw troviamo Michael Lawson, appena lasciato dopo diciassette anni dal vigliacco compagno Colin.
I tempi di Barney Stinson (How I Met Your Mother) sono lontani anni luce da questo progetto che rinuncia alle facilonerie maistream per tentare l'impresa di indagare tutte le fasi dell'elaborazione del lutto per la perdita di una persona che, improvvisamente, si rivela essere l'opposto rispetto a quella che si credeva di conoscere e amare. Si ride? Abbastanza. Ma, soprattutto, si scorazza per la Grande Mela tra festini assurdi, rooftop con vista, grandi eventi in cui tutti i presenti si odiano cordialmente.
Non solo: Uncoupled, seppur imperfetta, regala l'occasione di ragionare sull'amore e tutte le sciagure che possa comportare. Ne vale la pena? Forse non sarà "leggendario", come amava dire Barney, ma il viaggio è intrigante da intraprendere. Anche quando porta a vomitare in una vasca idromassaggio.
"Sono felice di questo ruolo perché finalmente non rappresenta i gay oltre la quarantina come acqua passata o come gli zimbelli della situazione. Ehi, siamo ancora sexy!", racconta Neil Patrick Harris in un'intervista per il lancio di Uncoupled. La serie, però, non parla solo ed esclusivamente alla comunità queer ma è una vera e propria scialuppa di salvataggio per chiunque abbia ricevuto una delusione d'amore. Dunque, per tutti noi. Seguiamo il protagonista Michael Lawson cercare spiegazioni per l'abbandono, darsi colpe pretestuose, fregarsene di tutto e piazzarsi su Grindr piombando nel mondo del dating che, chiaramente, ancora non è pronto ad affrontare davvero. Che gli si proponga una nottata di passione o la possibilità di una relazione seria, lui fugge. Perché nessuno sarà mai come il suo Colin, l'uomo che ha amato per diciassette anni e che, sicuramente, tornerà da lui. Come succede sempre, no? Ecco.
Ultimo degli eroi romantici pronto al martirio d'autocoscienza per amore, Michael fortunatamente ha un gruppo di affiatatissimi amici che non lo perdono di vista un secondo. Gli stanno vicino, gli ricordano, con tatto, quanto il sacro ex fosse noioso da morire: per tutta la durata della relazione non aveva mai parlato d'altro che di alta finanza e percentuali, di fatto castrando l'animo emotivo e brioso del nostro protagonista. Oltre che di dialoghi brillanti, Uncoupled è fatta di situazioni esilaranti che vedono Harris alle prese con un guru per ritrovare la felicità come anche con una colossale e chiassosa sbronza dopo aver visionato "per errore" il profilo Instagram dell'ex.
Per poi, il giorno seguente, cercare di scattarsi voluttuose foto alle parti intime nel tentativo di sembrare più appetibile sulle app di incontri. Una contraddizione coi piedi, insomma, ma seguire il percorso di rinascita di Michael è davvero catartico. Siamo passati tutti da quella fase di locura e disperazione melodrammatica quando un amore finisce e, c'è da scommetterci, torneremo da quelle parti la prossima volta. Con buona pace della nostra dignità. La buona notizia è che non ci sia nulla di strano in questo pot-pourri di scossoni emotivi e decisioni discutibili.
Se vi aspettate un How I Met Your Mother in salsa queer, rimarrete molto delusi: Uncoupled non è una serie da gag e tormentoni. Di ogni puntata, amerete invece gli sguardi, i non detti, quei rapporti d'amicizia vera che sono così rari e indispensabili quando la vita sbatte la proverbiale porta in faccia. Senza i suoi compagni di viaggio, Michael sarebbe perso in un turbine di pensieri distruttivi e rabbia repressa. A trascinarlo fuori dal buio abisso in cui sta per precipitare, anche se non sempre con delle buone idee, ecco i suoi amici: lo scapolo impenitente, la collega di lavoro, una ricca cliente snob appena divorziata e armata di mazza per distruggere ogni ricordo materiale del marito che si ritrova in casa, l'intellettuale che non disdegna disastrose gite sugli scii per socializzare biblicamente con giovani virgulti bramosi di carne matura.
Il più grande pregio di Uncoupled è il suo non muoversi per cliché. Per quanto possibile, cerca di indagare a fondo le conseguenze di una bruciante e inaspettata delusione d'amore, asfaltando l'orrendo luogo comune, la favoletta per cui "per i gay" sia più facile superare queste cose. Per le persone, per tutte le persone, perdere l'amore è una Caporetto spesso immeritata e disorientante. Mentre il tempo che deve passare farà il suo nel lenire la ferita, chi ha subito il "lutto" dovrà ricostruirsi da zero, di errore in figuraccia, fino a che un giorno si sorprenderà in grado di guardarsi intorno tornando ad amare ciò che già ha e che non è per niente scontato: gli amici (per quanto strambi, alle volte), il lavoro, le passeggiate nelle giornate di sole. Che sono belle sempre, da soli o in coppia non fa differenza.
Uncoupled mostra come giocare con le carte che si hanno in mano non significhi "accontentarsi", ma semplicemente tornare a vivere. Ed esserne grati. È inevitabile e necessario rito di passaggio quello di disperarsi per la perdita della propria metà. Ma, presto o tardi, si rivela per ciò che è veramente: tempo buttato. Perché ognuno di noi è già intero. La felicità è una cosa seria, pure divertente a tratti. E di certo ha tantissimi nomi, non sta scritto da nessuna parte che debba chiamarsi "Colin". Da vedere per smettere, una volta per tutte, di sentirsi "scoppiati".