A chi segue abitualmente sulle piattaforme di Sky e NOW, ma anche a quelli che sono dell'ultima ora, le avventure del regno di Westeros, sembrerà tanto naturale e semplice assistere a una brutalità enorme come quella della prima puntata della seconda stagione di House of the Dragon. Un figlio per un figlio è il titolo del primo episodio e sembra dire tutto, almeno per quelli che si trovano in pari con il finale tremendo della prima stagione. Invece non è così scontato. Non è così semplice.
L'epica saga HBO sarà disponibile, come ormai abitudine, per otto episodi in contemporanea con gli Stati Uniti alle 3.30 circa tra la domenica e il lunedì su Sky (e sempre su NOW) in lingua originale e al lunedì sera, in prima serata. Il ritmo di questa nuova stagione è forsennato. Forse pure troppo. In ogni episodio dei primi quattro avuti a disposizione c'è sempre un cambio di rotta, un colpo di scena, una morte brutale, una sanissima scopata. Mai un rallentamento. La linea tracciata nella prima stagione viene qui proseguita e rivendicata e il primo shock arriva proprio sul finale della prima puntata, intitolata senza troppi giri di parole Un figlio per un figlio.
Eravamo rimasti alla tragica morte di Lucerys, il giovane figlio di Rhaenyra (Emma D'Arcy), per mano del drago Vhagar del vendicativo e mai risolto Aemond (Ewan Mitchell). La faida tra i Verdi, lo schieramento di Alicent Hightower (Olivia Cooke), e i Neri, quelli che appoggiano come legittima erede Rhaenyra – la guerra civile dei Targaryen che i più conoscono come la Danza dei Draghi – è ormai partita. Due famiglie Targaryen in lotta: la prima per riconquistare il trono, la seconda per tenerselo. E il sangue che scorre. Un tragico errore (?) di valutazione da parte degli assassini assoldati dalla solita testa calda di Daemon (Matt Smith) per vendicare Lucerys, porta a qualcosa di ben più grave, più sanguinolento, più imperdonabile. È guerra, ormai. Allo spettatore non resta che l'impassibilità e lo sgomento aggrappato al suo divano e la sequela di conseguenze delle scelte dei protagonisti, le strategie, i colpi di testa, i compromessi onerosi.
House of the Dragon è stata già rinnovata per una terza stagione. Il segnale chiaro che la nuova produzione non ha intenzione di fermarsi qui, non ha intenzione di abbassare gli standard della tensione e, soprattutto, non ha intenzione di abbassare la qualità e la coerenza di un universo che, in passato, ha perisno finito col deludere i suoi appassionati (chi scrive, non è mai rimasto deluso; anzi, ha difeso e attaccato a oltranza come Jon Snow nella Battaglia dei Bastardi). Tutto considerato, House of the Dragon sembra quasi un risarcimento per chi è rimasto deluso dal finale di Game of Thrones.
Una serie che non sembra inibita dal clima un po' woke che c'è in giro. Nella quarta stagione di The Boys, uscita da poco, tutti lamentano una eccessiva femminilizzazione dei personaggi maschili. Sui vari forum, tra social e Reddit, vengono postati confronti tra i look dei personaggi tra la prima e l'ultima stagione (quello di Latte Materno, il più bersagliato per il suo eccessivo ingentilimento anche nei costumi, nel modo di parlare). Qui, semmai, si riconosce agli uomini quel caro vecchio ruolo, un po' demodé: rovinare sempre tutto a causa dell'orgoglio e dell'uccello.