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The Crown 6, primi quattro episodi: la vita di Lady D diretta dagli autori del Grande Fratello

La prima parte di The Crown 6 arriva alla morte di Diana e la racconta con una sceneggiatura scritta a colpi di cazzuola. L’equilibrio perfetto tra solenne eleganza e perfidi intrighi a palazzo è solo un lontano ricordo per una serie che non riesce a rispettare nemmeno la principessa triste, ridotta a macchietta che subiamo vivere gli ultimi giorni a tinte insopportabilmente melò.
A cura di Grazia Sambruna
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Chi c’era, se lo ricorda. L’annuncio della morte di Lady Diana in un tragico incidente stradale sotto al Tunnel dell’Alma ha avuto lo stesso impatto delle immagini del crollo delle Torri Gemelle, nella memoria collettiva. Oggi riviviamo le ultime settimane di vita della Principessa Triste grazie alla prima parte di The Crown 6, ultimo capitolo su Netflix da giovedì 16 novembre. Quattro puntate che sanno di voyeurismo, ma soprattutto di soap. Non il trattamento che ci saremmo aspettati dalla serie che è stata in grado di raccontare la corona inglese mediante dialoghi arroccati, non detti, scene delicatissime pur nella loro spietata drammaticità. Ciò valeva fino a The Crown 5, la cui sceneggiatura aveva cominciato a prendere una piega melò che si sposava con i fatti narrati peggio degli stessi Carlo e Diana.

Dal susseguirsi di perfidi sussurri a palazzo, i personaggi erano passati al lancio dei regal stracci. Con l’allora Prince Charles pronto a gridare in faccia alla madre: “Se fossimo una famiglia normale, tu saresti in galera!”. La cattiva notizia è che questa sesta e ultima stagione di The Crown scade ancor di più nell’urlato grottesco, restituendo l’impressione di essere, a livello di scrittura una fiction Ares. Solo, girata (e recitata) bene.

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Il Guardian è stato durissimo: ha assegnato alla corazzata Netflix una sola stellina, definendo la serie “tanto malfatta da parere una esperienza extracorporea”. Il riferimento è soprattutto a uno specifico espediente utilizzato ai fini della narrazione: dopo il tragico trapasso, il fantasma di Diana compare a tutti i personaggi coinvolti, nottetempo, guardandoli con grande compassione e lasciando che loro le indirizzino i propri mea culpa. Non la più delicata delle operazioni e di certo non la baracconata che una serie dalla scrittura alta come The Crown ha saputo essere, può avere diritto di infliggere ai propri telespettatori.

Il problema, forse, è che Lady D sia un personaggio super pop, di cui ogni aspetto è stato mediaticamente scandagliato, perfino da lei in prima persona, un numero infinito di volte dal 1997 a oggi. Difficile, dunque, scriverlo senza sfociare nel parossismo, nel confezionamento di un santino, di un’icona mai fallibile che si fa carico di tutti i problemi dell’universo mondo, dalle mine antiuomo al sacro benessere della propria prole. Se nella quinta la avevamo lasciata intenta a una spasmodica e un filo grottesca caccia all’uomo della sua vita perché “un principe mi ha spezzato il cuore, ora voglio un ranocchio che possa amarmi”, qui incontra Dodi Al-Fayed ma la narrazione non rende l’idea di una irrinunciabile e travolgente passione. Lui vuole sposarla per motivi che troppo poco hanno a che fare coi sentimenti, lei fa spallucce. Come stessero davvero le cose tra loro è impossibile saperlo, raccontati così però paiono due che si sono incontrati per caso una bella estate, più che una coppia di innamorati che sta per andare incontro a un fatale destino che li unirà per sempre.

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Elizabeth Debicki, l’attrice che interpreta Diana, resta una semidea dal punto di vista strettamente recitativo, Peccato che la sceneggiatura non l’accompagni e che lei, dunque, si ritrovi sprecata a prodursi in faccette di barbaradursiana memoria. Ci si aspetta, da un momento all’altro, che offra un caffeuccio a Queen Elizabeth. Il Principe Carlo, oramai dichiaratamente accoppiato con la sua Camilla, prende vita sullo schermo grazie a Dominic West ed è ancora un personaggio che non somiglia all’originale né fisicamente né a livello caratteriale (per come si possa immaginare che verosimilmente sia). Troppo polso, troppo fumantino, così poco regal contegno nei modi, anche nel segreto del palazzo. Fosse stato davvero così, sarebbe diventato re nell’81. Imelda Staunton, la Regina Elisabetta, in queste quattro prime puntate è poco più di una comparsa. Anche perché il focus è su Diana, tanto da lasciar pensare che Debicki abbia firmato un contratto blindatissimo: sarebbe necessariamente apparsa in ogni scena, non importa il contesto. E nemmeno il trapasso.

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Macchiette più o meno coronate infestano la casata Windsor, mentre il telespettatore rivive una delle vicende più scioccanti degli anni Novanta, raccontata con un tono perfin sguaiato, da mercato del pesce, da già citata fiction Ares. Il trailer della seconda e ultima parte, in uscita il prossimo 14 dicembre, lascia presagire che la narrazione seguiterà a discendere per questa stessa china melò: William e Harry affronteranno la loro paparazzatissima adolescenza, poi le nozze, all’ombra della regina che intimerà ai due di non emettere un fiato in pubblico. Come ben sappiamo, non andrà proprio così. Con l’attuale Re Carlo a metterci, finalmente, il carico.

I chiaroscuri della Corona inglese in The Crown 6 sembrano dinamiche da Grande Fratello: caciarone, poco credibili e con frasi messe in bocca ai protagonisti da autori scriteriati. La serie volge al termine per sua stessa fortuna: è alla frutta. Se volete rendere omaggio alla memoria di Diana, oltre ai documentari in cui è lei stessa a parlare della sua vita, consigliamo di guardare altrove. Su Prime Video, per esempio, c’è Spencer, il meraviglioso ritratto della Principessa Triste che Pablo Larraín ha diretto per il cinema. Tensione, nevrosi, affetti, fame d’amore, quaglie e incomunicabilità a palazzo. Un quadro claustrofobico ma rispettosissimo della persona, più che del personaggio mediatico che popola tuttora l’immaginario mainstream.

Un omaggio in punta di piedi che The Crown 6, pur mantenendo Diana come protagonista assoluta di questo primo atto da quattro episodi, ha totalmente mancato di saper fare. Peccato regale.

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Sto scrivendo. Perennemente in attesa che il sollevamento di questioni venga riconosciuto come disciplina olimpica.
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